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I figli non sono una proprietà

[Immagine da Riotclitshave]

Vorrei raccontarvi una storia diversa ma non posso. Sono Giordana e devo raccontarvi la storia di mia figlia.
Un giorno mi ha detto “il fatto che sei mia madre non significa che io devo sopportarti”. Così ha preso e se ne è andata.

Ho provato a cercarla per qualche settimana, qualche mese, poi ho smesso. Ho deciso di rispettare la sua scelta. Ho analizzato il mio bisogno di averla con me e ho capito che il mio era puro egoismo. Volevo compensare una mia necessità. Volevo un’altra occasione di riscatto. Volevo che non fosse così traumatico l’evento della separazione. Evento che in ogni caso prima o poi sarebbe dovuto avvenire.


Ho tanto riflettuto
e ho capito. I figli non sono una proprietà. E’ brutto da dirsi ma spesso stanno bene altrove perché i nemici più grandi al loro sviluppo e alla loro crescita finiscono per essere i loro genitori. Ed è in questa consapevolezza che consiste la crescita di un genitore.
Un genitore semplicemente c’è. E’ un porto sicuro, un luogo dal quale partire e al quale tornare se è necessario. Un genitore deve fare sapere che sarà sempre lì a prescindere dal fatto che sarà mai compensato con riconoscimenti e medaglie. Perché essere genitori non è un regalo per se stessi ma è una responsabilità.

Ne vedo tante di persone che ricattano i loro figli, si ostinano per farli diventare la compensazione alle loro frustrazioni e ai loro fallimenti. Ma se un genitore ha una vita non si permette di usare un figlio per apparire socialmente migliore.


C’è il figlio
della vicina di casa che non vuole subire le angherie del padre e dato che la madre non divorzia allora è lui che ha deciso di divorziare. Ha preso armi e bagagli e se ne è andato dalla nonna materna. Ha solo 15 anni ma è perfettamente consapevole di quale ambiente sia buono per farlo crescere in pace.

C’è la figlia di una coppia separata del palazzo accanto. Ogni tanto sua madre l’ha portata da me per qualche ora di babysitteraggio. Ha un brutto rapporto con suo padre. Ogni volta che lui la riporta indietro dal suo turno di visita a lei vengono in mente tanti brutti pensieri. Lui la esibisce come si fa con le bambole. La sfinisce di chiacchiere quando stanno davanti ad una donna che vuole conquistare e poi la lascia sola davanti alla televisione quando si trovano in casa.

C’è il secondogenito di una famiglia al primo piano che continua a martellare i tasti del pianoforte a tutte le ore. La madre gli fa ancora la riga ai capelli. Lui ha quasi 12 anni e già non ne può più. Quando alla sera arriva il padre, un signore timorato di dio, gli dice che il computer, internet e alcuni libri sono opera del diavolo. Il ragazzo un giorno l’hanno trovato a farsi uno spinello nel terrazzo e ci scommetto che quando avrà la possibilità farà le valigie pure lui.

E poi ci sono io che ho tentato di fare del mio meglio. Ho fatto certamente tanti errori ma non ho fatto quello più grande: non ho preteso che mia figlia maggiorenne restasse attaccata alla mia gonna. I figli spesso hanno bisogno di uccidere metaforicamente i propri genitori per poi risuscitarne gli aspetti “utili” alla loro crescita. Per lei deve essere stato così.

Mi ha richiamato dopo un po’ per dirmi che stava bene. Le ho chiesto se avesse bisogno di soldi e mi ha detto che si arrangiava lavorando in un bar. Il mese dopo mi ha invitato a prendere un caffè. Per non disturbarla troppo ho portato una mia amica, così l’incontro diventava meno impegnativo. Mia figlia ne è stata felice.

Dopo qualche settimana mi ha preparato una torta di compleanno e mi ha organizzato una piccola festa nel suo ambiente. Ci teneva a dire che mi voleva bene ma che aveva bisogno di un suo spazio. Dopo qualche mese è tornata a casa prima di prendere il volo per un’altra nazione, alla ricerca di nuovi stimoli e di nuovi obiettivi.


L’ho sentita spesso
, abbiamo chattato, ci siamo parlate in video, mi ha mostrato i capelli viola, poi quelli verdi, infine quelli rosso fuoco con le strisce azzurre. Poi mi ha insegnato via mail come si fa a tingersi l’unghia con disegni e brillantini. E mi ha mandato news su canzoni che in italia non avrei ascoltato mai, mi ha arricchito con curiosità che mi sarebbero altrimenti rimaste sconosciute e infine mi ha perfino invitato per farmi vedere come si era sistemata.

Eravamo due ragazzine, nonostante la differenza d’età, ci siamo divertite. Io l’ho guardata come si guarda una donna e per lei io ero finalmente diventata anche una persona.

Ci vuole distanza per volersi più bene? Non lo so. Per me è stato così. Di sicuro penso, come diceva una canzone dei Police, che se ami davvero qualcuno devi lasciarlo andare.

Un saluto a tutte voi!

Posted in Fem/Activism, Pensatoio, Storie violente.


One Response

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  1. Federica says

    Bellissima testimonianza, grazie per averla postata.