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Seminario ‘Sguardi sui Generis’: postcoloniale!

Seminario ‘Sguardi sui Generis’ (audio e abstract IV incontro)

da Infoaut

(QUI, i primi due incontri su storie dei femminismi e pensiero della differenza; QUI, il terzo incontro su precarietà e genere)

«Relazioni pericolose. Femminismo, teoria queer, critica post coloniale e arte contemporanea».

Intervengono: Liliana Ellena (Università di Torino) e Cristina Giudice (Accademia delle Belle Arti, Torino)

Nel suo intervento, Liliana Ellena ha messo in
evidenza le tappe storiche e i nodi teorici che hanno determinato, a
partire dagli anni Ottanta, l’emergere di nuove soggettività politiche,
definitesi in larga misura attraverso il confronto con il femminismo. I
temi della sessualità e della soggettività, al centro del dibattito e
delle lotte femministe degli anni Settanta, diventano infatti elementi
di mobilitazione per altri «soggetti imprevisti», spesso dislocati
anche geograficamente rispetto all’Europa e agli Stati Uniti. Proprio
l’incontro/scontro con nuove istanze di soggettivazione è alla base, da
un lato, dell’instabilità semantica della categoria «femminismo»,
sottoposta a processi di identificazione e disidentificazione continui,
e, per altro verso, costituisce una spinta fondamentale al
rinnovamento. La capacità del femminismo di mettere sempre di nuovo in
discussione le proprie premesse, definisce, infatti, la sua specifica
intelligenza e attualità politica.

L’incontro con la critica post-coloniale e con la teoria queer avviene
in una fase precisa di sviluppo storico del femminismo. Dopo la
radicalità teorica e pratica degli anni Settanta, si assiste, infatti,
a una fase di progressivo "addomesticamento" che traduce le istanze più
propriamente rivoluzionarie del movimento nel gergo moderato (o forse
addirittura miserevole) dei diritti e delle pari opportunità. In questo
conteso il terreno di una possibile ripoliticizzazione viene indicato
proprio dagli studi post-coloniali e queer. Entrambi gli orientamenti
offrono l’occasione per un ripensamento delle differenze che tenga
conto tanto del loro proliferare, quanto dei processi eterogenei di
gerarchizzazione.

L’incontro/scontro tra il femminismo e la critica post-coloniale
avviene sul tentativo condiviso di rottura con l’umanesimo eurocentrico
ereditato dalla modernità occidentale. Tuttavia il pensiero
post-coloniale non tarda a riconoscere anche nelle pratiche e nel
discorso delle «femministe bianche» il vizio del falso universalismo.
La formula «donna», con cui il femminismo pretende di includere le
donne, designa in realtà la donna bianca, borghese e occidentale. Le
altre donne sono restano così una sorta di oggetto esotico, la cui
parola, quand’anche presa in considerazione, è costretta sempre e
soltanto in una cornice preordinata. Negli anni Ottanta, questo tipo di
critiche si diffondono in particolare grazie a due testi importanti, i
quali mettono rispettivamente sotto accusa il razzismo del femminismo
bianco e il concetto mistificante della sorellanza tra donne.
Quest’ultimo in particolare è colpevole di rimuovere le differenze
concrete – di razza e di ceto sociale, per fare solo due esempi
lampanti – che generano esperienze assai diverse dell’essere donna. Per
molte, ad esempio, l’oppressione di sesso non è né l’unica né la
prioritaria, ma se mai l’aggravante di una condizione di subalternità
riconducibile a cause più ampie.

Sul terreno delle differenze si consuma anche il confronto, a tratti
problematico, tra femminismo e teoria queer. Quest’ultima prende forma
a partire dalla denuncia della progressiva assimilazione e inclusione
delle lotte gay e lesbiche entro forme pre-ordinate del potere. Negli
anni Ottanta infatti, e in particolare a causa del fenomeno Aids, reale
e mediatico al contempo, anche le battaglie omosessuali, al pari di
quelle femministe, si appiattiscono sul terreno giuridico dei diritti
civili. La categoria queer rappresenta un tentativo teorico per
rilanciare discorsi e pratiche radicali, e lo fa in particolare
attraverso una ridefinizione della sessualità in termini non
dicotomici. Il limite del femminismo, da questo punto di vista, è
incarnato dal mantenimento del binomio uomo-donna: qualsiasi tentativo
di autodefinizione, aprioristicamente collocato entro la logica duale,
è condannato al fallimento. La logica dei corpi e dei discorsi, se così
la si può definire, deve, per tanto, divenire plurale, mobile e
inclusiva.


Nel confronto con la critica post-coloniale e la teoria queer, il
femminismo è posto di fronte ad alcuni suoi limiti storici, ma anche, e
soprattutto, alle sue possibilità contemporanee. L’articolazione delle
differenze, la loro politicizzazione costituisce la posta in gioco del
presente, a fronte di un sistema capitalistico perfettamente in grado
di sussumerle e metterle a lavoro, e, al contempo, di "giocarle" nei
processi di inclusione e esclusione sociale. A tal proposito è
esemplare il dilagare di un «uso pubblico del femminismo» per sostenere
e fomentare xenofobia e islamofobia. Operazioni di fronte alle quali, a
partire dalle relazioni pericolose sopra illustrate, è necessario
pensare e costruire soggettività concrete ancor più pericolose.

Arte contemporanea e Post-coloniale.

A partire dal quadro teorico illustrato da Liliana Ellena, Cristina Giudice
ha presentato una serie di opere d’arte contemporanea in cui sono
all’opera le acquisizioni del femminismo e della critica
post-coloniale. Tali opere hanno la capacità di restituire lo sguardo
allo spettatore generando un corto circuito che esplicita la sua
posizione specifica. Esse rappresentano, in tal senso, un’efficace
operazione di politicizzazione dello sguardo.

Ascolta l’initervento di Cristina seguendo le immagini qui di
seguito e sotto nella gallery (a fianco la 1a immagine commentata –
dell’artista palestinese Hilal; sotto "L’Ultima Cena" di René Cox, di
cui si parla più avanti; le altre immagini in ordine cronologico
seguendo l’intervento).

 

 

René Cox "The Last Supper"

 

 

__________

Audio e abstract dei precedenti incontri:

 

 

Posted in Fem/Activism, Iniziative.


One Response

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  1. marco sbandi says

    Vorrei segnalare a questo proposito il saggio della mohicana Beth Brant dal titolo Scrittura come testimonianza (originale writing as witness) in cui l autrice denuncia proprio la discriminazione da parte
    delle bianche nei confronti sia delle native americane
    sia nei confronti delle lesbiche provenienti dalla classe lavoratrice e sottolinea come la maggiore solidarieta
    l abbia ricevuta da un sindacalista gay.
    So che puo sembrare pura pubblicita, avendolo tradotto e pubblicato personalmente ma penso sia utile poterlo leggere in italiano.

    Marco Sbandi
    Edizioni 7 mari – Via Petrarca 20 – 80123 – Napoli
    Libreria e Biblioteca 7 mari – Via Sant Anna dei Lombardi 16 – 80134 – Napoli