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Autodifesa militante

Fare antimafia sul campo ti insegna un sacco di cose.

A non lasciarsi intimidire. A non subire minacce. A valutare tutto momento per momento.

Su cosa contano le mafie per impedirti di parlare? Sulla minaccia fisica o sulla minaccia di querela per diffamazione.

Quando la minaccia di querela non basta allora si discute in parlamento una proposta di legge che decide come punire i giornalisti che pubblicano inchieste giudiziarie.

In un modo o nell’altro chi detiene un potere in modo autoritario cerca assolutamente di violare la libertà di opinione degli individui e la libertà di libero dibattito politico dei cittadini.

C’è stato un momento in cui solo pronunciare la parola "mafia" ti costava la vita. Poi a dirlo furono sempre più persone. Alcune sono morte per questo e altre per fortuna no. In un modo o nell’altro chi teme la libertà di pensiero e di opinione, chi teme che venga fuori la verità, prova sempre a fartela pagare.

Osare essere liberi, non sottomessi e disposti a denunciare gravi questioni che costituiscono reali violazioni dei diritti e delle libertà delle persone non è una cosa che passa inosservata.

La mafia come prima cosa usava la denigrazione personale di chi faceva denunce politiche. Se eri femmina diventavi puttana o lesbica. Se eri maschio ricattavano su altri fronti.

Quello che la mafia faceva (e fa ancora) è individuare l’anello debole. Se hai una figlia minacciano quella, se hai un genitore gli fanno avere problemi sul lavoro, se hai fratelli o sorelle gli impediscono di accedere alle professioni. Tentano di usare gli affetti per farti stare zitto. Quello che non sanno è che se sottoposte a pressioni e minacce le famiglie più spesso diventano solidali e determinate a sostenere quella battaglia.

L’embargo è dunque fisico ed economico. L’obiettivo è quello di farti tacere.

Se questa strategia non funziona ti minacciano personalmente, studiano le tue debolezze e i tuoi punti di forza.

Se non hanno voglia di attirare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica allora evitano di farti martire e si danno un tono con minacce *anonime* o con una minaccia di querela.

In tutte queste azioni è essenziale sapere che il silenzio non paga.

Se fai una denuncia pubblica e i riflettori sono puntati su di te tutti sanno chi potrebbe averti fatto del male e costoro sarebbero immediatamente messi sotto accusa.

Lasciarsi intimidire e restare zitti è la cosa che regala spazio a chi ti vuole male.

Quando ricevi una minaccia dalle mafie è necessario alzare il tiro, fare una conferenza stampa, usare quello splendido strumento che è internet, raccontare l’entità e il contenuto delle minacce e approfondire sul perchè.

Se la minaccia ti vuole spingere verso l’isolamento la risposta è la condivisione massima con chiunque a proposito di quello che ti succede. Anzi quella minaccia diventa veicolo "involontario" che trascina con se tutti i contenuti delle tue denunce anche nei posti più improbabili. Induce curiosità, spinge all’approfondimento in sede legale e alle mafie, come abbiamo detto, i riflettori non piacciono. In fondo quello che vorrebbero farti pagare è proprio il fatto di aver acceso i riflettori su di loro.

Chi combatte contro le mafie sa che il proprio isolamento equivale alla morte fisica e sociale. 

Se le mafie concretizzano querele – magari fornendo dati senza nessun valore probatorio o creandoli ex novo – gli strumenti di difesa sono esattamente gli stessi. In più c’è l’opportunità di fare scrivere nero su bianco alcune verità in sede processuale poichè tutto viene sottoposto a verifica.

Un processo su querela da parte delle mafie sulle quali hai fatto delle importanti denunce equivale comunque al martirio. Come intimidire o processare saviano perchè ha parlato di camorra o processare – nel 2010 – franca viola perchè non accettò il matrimonio riparatore con il suo stupratore e lo fece condannare.

Il martirio è un vantaggio per chi viene martirizzato e non per chi martirizza. Questo è bene saperlo.

Ottimo in ogni caso, qualunque tipo di battaglia contro le mafie voi state conducendo, arrivare a questo genere di "appuntamenti" fissati da chi vi vuole chiudere la bocca servendosi delle aule dei tribunali preparatissimi per ogni evenienza.

Contenuti, mail, sms, dati, documenti, dettagli, tutto quello che è pubblico e che viene rivolto a voi personalmente in privato (come il contenuto di messaggi di minaccia con tanto di ip di provenienza), snapshot, materiale video (come quello che viene raccolto nelle piazze per testimoniare i pestaggi contro i manifestanti), audio, eccetera eccetera. Se sapete usare un computer può essere sorprendente quello che riuscite a fare. Conservate tutto e se è necessario usatelo.

Non solo: nel momento in cui tutto diventa contenuto di un dossier, divulgatelo. Dategli massima diffusione. Perchè chi ce l’ha con voi – involontariamente – vi mette al centro dell’attenzione e se questo accade, beh, peggio per loro.

Quando si fanno battaglie contro le mafie restare vivi, in senso reale e sociale, è un’arte fina che bisogna conoscere bene.

Come dire: chi vuole il vostro silenzio comunque non vivrà bene neppure se paga un killer per farvi mettere sotto da un automobile.

Quando hanno ammazzato peppino impastato la piazza si è riempita e la sua battaglia diventò la battaglia di migliaia di persone che continuano a lottare ancora oggi in suo nome.

Quando hanno ammazzato pippo fava il gruppo di ragazzi e ragazze che popolarono la scuola di giornalismo dei Siciliani aumentò e diventò un movimento d’opinione che liberò energie e intelligenze sparse ovunque.

Quando Pio la Torre fu ammazzato per prima cosa approvarono la sua proposta di legge sulla confisca dei patrimoni dei mafiosi.

Il martirio – per chi lo provoca – proprio non paga. E dello stillicidio di minacce quotidiane potete fregarvene. 

In fondo si vive una volta sola. C’è chi vive per difendere i propri diritti e quelli altrui e c’è chi vive per prevaricare, dominare, offendere e violentare. 

E’ una scelta! 🙂

Posted in Omicidi sociali, Pensatoio.