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La banalità del male (affidi e dintorni)

La
nostra storia
di oggi comincia con Angelo, un impiegato dei servizi sociali di
un qualunque paese di questa nazione.

Angelo
non ha un ruolo fondamentale, non uno di quei ruoli che possono decidere la
vita e la morte di bambini e madri, ma ha occhi per vedere, orecchie per
sentire e una tastiera per scrivere.

Angelo
ci racconta la banalità del male di questa brutta materia che tratta di affido
dei bambini. Ci spiega una serie di dettagli raccapriccianti sulla burocrazia
che considera queste creature solo come numeri.

Ci
ha raccontato
una serie di episodi veramente discutibili ma quello che ci è
sembrato più interessante è quello che a suo avviso era meno osceno di tutti
gli altri.

Gli
uffici pubblici
, voi lo sapete, sono fatti di impiegati medi, assunti per concorso,
che il più delle volte vivono con frustrazione quell’incarico e che finiscono
per sfogarsi sui cittadini.

L’obiettivo
preferito del capoufficio di questo tal paese erano le donne intimidite, non
molto sveglie o con uno scarso titolo di studio.

Quando
ci sono di mezzo i bambini alcune delle persone (e ci tiene a dire “alcune”
come ci tiene a specificare che per fortuna tante invece sono persone generose,
pignole e brave nella loro professione
) che lavorano presso i servizi sociali
svolgono un po’ il ruolo dei padreterni.

Nella
separazione
tra coniugi la persona che viene decisamente controllata e spesso accusata di
qualunque cosa è sempre la donna. Generalmente su richiesta dell’ex marito che
ha un contenzioso con lei che vuole risolvere attraverso questo ricatto.

Immaginate
il ghigno di un individuo che sa di avere il potere di vita o di morte su
un’altra persona, su una donna, su una madre.

Angelo
ci racconta l’entità di quel ghigno e il dettaglio sul quale ci siamo
soffermate è stato quello di una data di scadenza.

Ogni
ufficio
ha delle scadenze e se un impiegato ha avuto altre cose da fare, magari
legittime, a volte un po’ meno, si trova alla fine con l’acqua alla gola.

Relazioni
da consegnare, decisioni da prendere, tutto in modo rapido e senza lasciarsi
commuovere. Un po’ come il chirurgo quando immaginando di dover curare una
malattia sceglie di amputare l’arto sbagliato.

Ed
è così
che in quella occasione, una firma qui e un visto distratto là,
l’impiegato, con il suo ghigno da padreterno, lo sguardo svogliato e impaziente
ad aspettare che la lancetta dell’orologio scoccasse la fine del turno di
lavoro, comunicò ad una madre con la terza media inferiore come titolo di studio, quindi non esattamente in grado di difendersi, che se non
faceva vedere il figlio al padre glielo avrebbero tolto.

Stiamo
parlando
di un episodio non recente ma che Angelo ricorda chiaramente e con
rabbia. Ha descritto sfumature e dettagli che purtroppo non possiamo inserire
nel racconto per proteggere la sua privacy.

Quello
che possiamo dirvi è che quella donna riuscì a dire poche cose con grande
chiarezza. Aveva la voce fiera e nel suo scarso italiano chiarì che suo figlio
non voleva vedere il padre perché il padre lo picchiava abitualmente così come
spesso aveva in passato picchiato lei.

Il
tono
della donna era chiaramente di sfida come può esserlo quello di una persona
che ha sofferto molto e che ha tuttavia conservato tutta la dignità e
l’orgoglio di essere sopravvissuta e di essersi liberata in un modo o
nell’altro.

Per
l’esperienza
di Angelo in quel caso l’impiegato avrebbe dovuto indagare il
perché di così tanta fermezza. Era chiaro che la donna non mentiva. La sua
sofferenza era palpabile a chiunque e le sue parole arrivavano dritte e pesanti
come un pugno allo stomaco. Non potevi non sentirtene coinvolto.

L’impiegato
però aveva fretta e non c’era tempo di indagare. Quel caso doveva essere chiuso
entro il giorno dopo e dunque fu infastidito dal tono e lo fu altrettanto della "fermezza". Anzi ebbe la
tentazione di farle abbassare la cresta, dopotutto lui era un capoufficio con il
mignolo dall’unghia lunga e un grosso anello all’anulare.

Dopotutto
si era guadagnato il diritto al rispetto e come fa un cattivo chirurgo affetto
da manie di grandezza quando il paziente osa porre un dubbio sulle sue terapie
allo stesso modo l’impiegato rimproverò la donna e le disse di rimettersi al
suo posto. Che non era lei a dettare le regole e che il suo rifiuto le sarebbe
costato la perdita dell’affido del bambino.

Così
la donna
dovette piegare la testa e abbassare gli occhi, come fa una serva con
il suo padrone, e l’impiegato si sentì appagato dall’obbedienza ottenuta da un
ricatto.

Dopo
un mese
quella donna finì all’ospedale con le ossa rotte. Era stato l’ex
marito. Il figlio non voleva vederlo, provava a ripararsi dietro la madre. L’ex marito
minacciò di tornare con i carabinieri e il bambino si mise a urlare dicendo a
suo padre che non doveva mai più cercarlo. L’ex marito allora se la prese con
la donna dicendo che era tutta colpa sua.

All’uscita
dall’ospedale
la donna tornò nell’ufficio dell’impiegato. Aveva ingessature e
lividi ovunque. Non disse niente. Comunicò solo che se qualcuno avesse ancora
costretto suo figlio a vedere il suo ex sarebbe dovuto passare sul suo
– di lei – cadavere. Nessuno la disturbò più.

—>>>Noi
ringraziamo Angelo
e chiediamo alle tante donne (e anche uomini) che ci stanno
raccontando le loro storie di avere pazienza. Le racconteremo tutte, una alla
volta. Grazie per la vostra fiducia e per l’enorme ricchezza di umanità, dolore
e vita che ci regalate. Ogni frammento
delle vostre storie è un frammento di consapevolezza in più donata alle altre
donne (e agli altri uomini). Grazie!

Posted in Fem/Activism, Misoginie, Omicidi sociali, Storie violente.


One Response

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  1. nessuno says

    che schifezza,,purtroppo anchio ho assistito a scene simili,,,ricordo 1 mattina, non riuscii a trattenermi, e sfidai quel capoufficio a prendersela con me,,,ammutoli’ il codardo, vigliacco, e coniglio,,e mi fermo qui che solo nel ricordare l’episodio, mi fa star male,,
    era 1 persona di oltre 80 anni che aggrediva.