Dal blog di Roberta Lerici:
PARAGRAFO TRATTO DA: Minorigiustizia n.2 / 2007 "Il negazionismo dell’abuso sui bambini, l’ascolto non suggestivo e la diagnosi possibile"
DI CLAUDIO FOTI
15. La negazione del danno
Alcuni intellettuali, appartenenti a diverse aree
politico-culturali, in saggi, interviste, talk-show, giungono a
convergere apertamente con tesi care alla letteratura pedofila,
proponendo, globalmente o parzialmente, le
a) non è accertato clinicamente il danno indotto in un bambino
prepubere dall’attivazione del suo sistema sessuale nel rapporto con un
adulto;
b) non c’è nessun danno ipotizzabile da un coinvolgimento sessuale
di un minore che ha raggiunto la pubertà, soprattutto se quest’ultimo è
consenziente o addirittura richiedente la prestazione sessuale;
c) esistono di conseguenza forme di pedofilia che non devono essere
criminalizzate, se dotate di qualità (“gentile”, “altruista” o “ad
iniziativa del minore”) che non risulterebbero nocive per il minore
coinvolto.
Gulotta per esempio sostiene, in contrapposizione
alla Dichiarazione di consenso del Cismai in materia di abuso sessuale
all’infanzia, che non si può affatto affermare che l’abuso
sessuale debba essere sempre e comunque un attacco confusivo e
destrutturante alla personalità del minore. Egli cita a sostegno della sua posizione una ricerca antropologica
“I bambini maschi della tribù Sambia della Nuova
Guinea, dall’età di sette anni fino alla pubertà, effettuano delle
fellatio ai maschi adulti, senza tuttavia mostrare segni di trauma
psicologico o di comportamento sessuale aberrante quale risultato della
loro esperienza infantile. Poiché per i Sambia la ingestione dello
sperma è ritenuto come il solo fattore di maturazione della maschilità,
l’atto non viene interpretato come sessualmente abusivo da questo
gruppo culturale”.
Altrove ho discusso criticamente questa posizione. Qui vale la pena
sottolineare che le riflessioni e le domande che questi autori pongono
sollecitano ad un impegno rigoroso di chiarificazione, senza
il quale rischia di abbassarsi ulteriormente la soglia di vigilanza
sociale e giudiziaria nei confronti dei comportamenti pedofili.
Vittorio Messori in riferimento alla questione degli abusi sessuali all’interno della Chiesa ha affermato: “Un
uomo di Chiesa fa del bene e talvolta cade in tentazione? E allora? (…)
se ogni tanto avesse toccato qualche ragazzo ma di questi ragazzi ne
avesse salvati migliaia, e allora? La Chiesa ha beatificato un prete
denunciato a ripetizione perché ai giardini pubblici si mostrava nudo
alle mamme. (….) È il realismo della Chiesa: c’è chi non si sa fermare
davanti agli spaghetti all’amatriciana, chi non sa esimersi dal fare il
puttaniere e chi, senza averlo cercato, ha pulsioni omosessuali. E poi
su quali basi la giustizia umana santifica l’omosessualità e demonizza
la pedofilia? Chi stabilisce la norma e la soglia d’età?”.
In questo ragionamento vengono completamente negate le conseguenze
sul soggetto in età evolutiva, prima beneficato in ipotesi dall’azione
pastorale, poi usato come strumento sessuale dal suo presunto
benefattore. A Messori si può rispondere affermando
che la capacità di controllo degli impulsi non è un optional, ma un
ingrediente insostituibile della maturità umana e spirituale ed inoltre
che l’omosessualità non va santificata, ma riconosciuta come
un’inclinazione sessuale compatibile con la costruzione di relazioni
sufficientemente paritarie, reciproche e rispettose dell’alterità del
partner.
Questa compatibilità è strutturalmente irraggiungibile da qualsiasi forma di attività sessuale pedofila. La norma e la soglia d’età sono correttamente definite dalla legge n. 66/1996.
Ciò che risulta sempre deleterio per il bambino prepubere coinvolto
sessualmente dall’adulto è da un lato un fattore psico-fisico
(l’attivazione prematura della pulsione sessuale produce alterazioni
neurobiologiche molto gravi46 e sollecita la vittima al ricorso a forme
dissociative per tentare di difendersi dal richiamo confusivo e
disorganizzante dell’eccitazione precocemente sperimentata), dall’altro
lato un fattore relazionale (la relazione di dominio e
colpevolizzazione, che viene ad instaurarsi e a confondersi con la
relazione sessuale, produce danni enormi all’autostima del soggetto
coinvolto).
Ciò che risulta sempre deleterio per il minore pubere infraquattordicenne è comunque l’aspetto relazionale:
la sproporzione di capacità di negoziazione e di potere che nella
nostra cultura esiste in un’interazione sessuale tra questi due partner
configura inevitabilmente una china gravemente manipolatoria e
strumentale che non può non generare nel soggetto più giovane ricadute
distruttive sull’evoluzione del Sé.
In questa situazione, quand’anche è il minore a manifestare qualche
forma di consenso o interesse al rapporto sessuale con l’adulto, questo
comportamento rappresenta sempre una modalità di compensazione di un
grave malessere del minore stesso e non può costituire in alcun modo
una legittimazione della scelta dell’adulto, su cui ricade pertanto
interamente la responsabilità morale e giuridica dell’accaduto.
—>>>continua sul blog di Roberta Lerici
Ma come è possibile sostenere delle tesi così abominevoli per giustificare degli abusi sui più deboli?
Non so se qualcun* di voi ieri ha seguito “Chi l’ha visto”, in particolare il caso di Ottavia de Luise (http://www.rai.it/…1-4c32-89b2-196b70902085.html), bambina di 12 anni scomparsa nel ’75, con la lettura degli atti dei carabinieri che fecero le indagini sul caso e che descrivono questa povera ragazzina (12 anni!) come una “nota poco di buono”. A dir poco agghiacciante