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Il canto delle spose

Siamo nella Tunisia del 1942. La regista Karin Albou ne "Il canto delle spose" ci racconta un mondo femminile attraversato dalla guerra e dal razzismo.

C’è il regime nazista che con la sua propaganda istiga odio tra arabi ed ebrei.

Questo il primo volantino per introdursi nella nazione:

"Al gran Mufti di Gerusalemme

Il partito nazionalsocialista della grande germania, ha sempre combattuto contro gli ebrei di tutto il mondo, sostiene la lotta araba per la libertà, in particolar modo la palestina, contro gli intrusi ebrei.

La Reichfuhrer SS

Heinrich Himmler"

La Tunisia era una colonia francese e come tale, secondo quello che racconta il film, aveva favorito la popolazione non musulmana. Giocando con questa divisione storica tra colonizzatori e colonizzati il nazismo istigò, come ha sempre fatto e continua a fare, odio nella popolazione locale, un odio che non poteva non attraversare persone che fino a quel momento avevano vissuto d’amore e d’accordo.

E’ il caso di due famiglie che vivono nello stesso caseggiato. Una musulmana, patriarcale, arcaica, con una moglie che tira avanti tutto e un padre/marito che passa il tempo a pregare. Nour è la figlia maggiore, già fidanzata con un cugino, con l’obbligo di portare il velo e senza diritto ad una istruzione e a lavorare.

L’altra famiglia è ebrea, composta da una madre e da Myriam, sua figlia. Dopo l’arrivo dei tedeschi, con un accordo temporaneo franco/tedesco, stabiliscono assieme ai capi della comunità ebrea di salvaguardare i privilegi dei più ricchi, salvando l’elite da ammende e sfruttamento e costringendo gli altri a restare senza lavoro, a pagare una ammenda salatissima e in seguito ad essere sfruttati dai tedeschi.

La madre di Myriam resta senza lavoro e decide che la figlia dovrà sposare un uomo vecchio e facoltoso della sua comunità. 

Le due ragazze, Nour e Myriam, diventano ben presto diffidenti l’una verso l’altra. Responsabilità della campagna xenofoba che attribuisce agli ebrei ogni colpa e che recluta giovani arabi per fare rastrellamento di ebrei all’interno della città.

Il fidanzato di Nour è uno di loro, parla dei tedeschi come di brave persone e ordina a Nour di non avere niente a che fare con Myriam. Quest’ultima vive un dramma personale in perfetta solitudine. Deve sposare un uomo che non ama, dal quale non vuole essere toccata e che però paga tutti i loro conti e li mette in salvo dalla persecuzione agli ebrei.

Vedrete voi come va a finire.

A parte la narrazione ottenuta da ricerche e ricordi personali della famiglia della regista quello che viene fuori è una immersione nel mondo carnale degli Hamam, quello che noi conosciamo come bagno turco.

Decine di corpi di donne in scambi intimi di attenzioni, in un rapporto quasi lesbico che sostituisce forse lo scarso feeling fisico che molte donne avevano con gli uomini che erano state costrette a sposare.

Ogni occasione diventa motivo di intimità, di complicità. Viene descritta una ritualità sensuale fatta di depilazioni (per preparare la sposa all’araba, ovvero come una bambina priva di qualunque peluria in ogni luogo), carezze, quell’insieme di dolore e godimento che diventa l’unica forma di piacere concesso ad alcune.

Poi ci sono le tradizioni, che in molti casi resistono ancora oggi, quell’obbedienza al marito, l’obbligo di mostrare il sangue della vergine dopo la prima notte di nozze, la differenza di abbigliamento tra le due ragazze. All’araba era vietato portare il reggiseno perchè da puttana, e altre cose che troverete sicuramente molto interessanti.

L’aspetto politico che emerge, e che comunque è ancora presente tra i fascisti pro-palestina tuttora esistenti, è il forte antisemitismo coltivato nelle zone di maggiore contrasto, dove alla sofferenza e alla gravità dei conflitti locali si unisce una speculazione da sciacallaggio tra quelli che usano ogni strumento per propagandare l’ideale nazista.

Consigliato da leggere: Fascisti noglobal. E attent*, lo diciamo a compagni e compagne, a chi vi trovate a fianco quando andate a manifestare per la palestina.

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