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Le donne son così…

Se
sostituite
alla parola “puffi” la parola “donne” avrete la colonna sonora che
ci accompagna da tutta la vita.

Capita
troppo spesso, e ultimamente anche di più, di sentire parlare gli uomini a proposito
di donne.

Dovreste
immaginare di essere lì, dinanzi a loro, ogni volta che pronunciano la frase
“le donne fanno… dicono… pensano…sono…” per chiedere in modo rude: “ma… le
donne chi? Di chi parli? Tua moglie? Tua sorella? Tua madre? Tua suocera? La
tua compagna di banco alle elementari? La tua collega di lavoro? La tua
dipendente in azienda? Quella che ti ha piantato dopo due settimane di
fidanzamento? Quell’altra che non ha voluto saperne di stare con te? Di chi
parli, insomma?”

Gli
uomini
parlano di noi e quando noi apriamo bocca non ci ascoltano nemmeno.

Rosalba
ha partecipato ad un incontro su questioni che la riguardavano e ci scrive come
le sia sembrato in quel momento di essere stata considerata solo un cadavere da
sezionare. Una cavia da laboratorio.


Parlavano
di donne come se ne avessero una lì davanti, sezionata, squartata, in mezzo all’aula di una di
quelle lezioni antiche di chirurgia all’università.

Da
lì capisci
che non ti considerano neppure una persona. Sei già in obitorio o
chiusa in una gabbia dalla quale ti fanno uscire solo per mostrarti al consesso
accademico e verificare quali illuminati risultati abbia conseguito la scienza.

Le
crediamo
sulla parola e la ringraziamo, come ringraziamo qualunque sorella
abbia voglia di offrirci spunti di riflessione che possano essere utili a
tutte.

Le
crediamo
soprattutto perché di quel tipo di dibattiti ne abbiamo visti tanti
anche in tivù. Ne abbiamo parlato e abbiamo condiviso la nostra brava critica
femminista, ma non basta.

Il
quadro generale
va analizzato nella giusta prospettiva e quella che ci offre Rosalba
ci sembra una chiave di lettura chiarissima e semplice da comunicare.

La
misura
attraverso la quale si capisce come mai le donne in una società come
l’italia, così come in molti altri posti, possano essere trattate come oggetti si identifica principalmente nel fatto che quelle donne stanno proprio lì dove le ha
immaginate Rosalba: su una tavola da obitorio.

Le
donne
non hanno voce e se provano a parlare o a gridare c’è sempre qualcuno che ci ordina di
tacere perché immaginano di poterne avere il diritto.

Come
si permette
in fondo una donna “morta” o moribonda di parlare della propria
condizione. Deve lasciar parlare il luminare, l’accademico, colui il quale su
di lei ha sperimentato da millenni e non si è ancora stancato di imporre “cure”
non richieste, in un accanimento terapeutico che non ha ragione alcuna perché
essere donna non significa essere malata.

Non
vi siete
mai rese conto che parlano di voi come se non esisteste? E se provate
a dire quello di cui avete bisogno non vi siete accorte che rispondono sempre di
dover essere loro a decidere al vostro posto?

C’è
mai qualcosa
che abbia proposto una donna per sé che non abbia subìto l’ostruzionismo,
l’opposizione, il boicottaggio o perfino la guerra da parte degli uomini e
delle signore a loro asservite? (clero, politici, roccella e binetti varie)


Se
voi provate
a iniziare una frase dicendo “io penso e credo e dico…” loro vi
diranno che siete un caso a parte ma che “le donne son  così…”. Ed è in quella occasione che
bisognerebbe dire tutte in coro: “scusi, ma le donne, chi? Di chi parla
esattamente? Io sono una donna, mica un carciofo…”.

Così
succede
che ancora oggi dobbiamo subire la violenza delle cosiddette ricerche
"scientifiche" finanziate per dimostrare l’inferiorità della donna mentre fior di ricerche per
curare malattie importanti sono prive finanziamenti.

Ma
come ci
permettiamo noi di alzarci dal tavolo dell’obitorio per pronunciare
parole in nostra vece. Noi che non possiamo contare neppure sul miracolo della
resurrezione giacchè sembra una chance garantita solo a chi è maschio, biondo,
con la barbetta e di nome gesù.

E
tutti
gli interventi che vengono proposti o immaginati per “fare del bene alle
donne” senza aver consultato le donne, valgono quanto quelli che si potrebbero
immaginare per guarire dalla “donnità” qualunque essere umano di genere
femminile.

E
se l’essere donna
non è stata considerata una parentesi psichiatrica al pari
dell’omosessualità (si fa per dire) lo si deve solo al fatto che fino ad un certo punto è
bastato tenerci segregate a suon di botte, utili alla patria, a partorire figli.

Non
è un caso
se la nostra amica Barbara Spinelli (quella meraviglia di femminista
e non la giornalista de La Stampa) al neologismo “femminicidio” ha dedicato un
libro intero
.
Perché di femminicidio si tratta. E non avviene solo nei modi cruenti che la
cronaca purtroppo ogni giorno ci consegna
.
Avviene in ogni senso, sempre, a partire dalla collocazione che la donna ha
nella costruzione delle società.

Non
va dimenticato
il fatto che la vita delle donne è stata per davvero segnata da
una patologizzazione di ogni espressione di diversità. Psichiatri e manicomi sulle
donne hanno fatto la loro fortuna. Normalizzatori di ragazze e donne, come lo
erano quei criminali dei nazisti mentre sperimentavano sui loro corpi e le
rinchiudevano nei lager per comportamenti antisociali
.

Sembra
quasi
che le donne vengano tenute in vita per uno scopo preciso: fare i figli,
assistere i malati e le famiglie, soddisfare bisogni sessuali dei maschi. Colei
che si sottrae viene offesa, maltrattata, rinchiusa, uccisa.

Ed
è in quel caso
che hanno inizio i consessi di analisi sulla caduta dei valori,
con il nostro cadavere sempre ben in vista al centro dell’aula, mentre loro
parlano e parlano come se noi proprio non esistessimo. E ci giudicano, ci
offendono, ci insultano e decidono quello che possiamo o non possiamo fare
perché in fondo sono sempre loro a darci il “permesso” di esistere e non
tollerano quando qualcuna quel “permesso” se lo prende e anzi lo
pretende
e non aspetta il parere dei padri, dei padrini, dei padroni e delle
sue serve.

Ci
sono quelli
che ad ogni giudizio promettono torture, quelli che vogliono
mutilarci, quegli altri che sono per l’accanimento terapeutico e parliamo di
quanti sono per la “ricomposizione” delle famiglie anche se hanno lì di fronte
una donna massacrata di botte, sfinita, senza via d’uscita, prigioniera di una
morale assurda che la tiene schiava senza nessuna pietà.

Ci
sono quelli
, infine, che ti danno l’estrema unzione, perché così “è meglio per
te”, “è per il tuo bene”, “non sei in grado di decidere” e fissando questi
contenuti sempre sulla supposta inferiorità della donna decidono di staccarti
la spina e lo fanno come possono.

Ci
sono
gli embarghi economici, ti tolgono il lavoro, ti pagano meno dei maschi,
fanno leggi che ti mettono in condizione di inferiorità nella famiglia, ti
rendono ancora schiava del tuo padrone e marito, ti impediscono di scegliere e
solo per il fatto che tu possa aver compiuto un viaggio senza una loro
autorizzazione ti consegnano all’anonimato, alla clandestinità, al mancato
soccorso, alla morte sociale, alla invisibilità.

Infine,
c’è da chiedersi se per questi ignobili detentori del potere sociale, morale, fisico, questi "illustrissimi" dottori nel dominio delle donne: noi
esistiamo?

Ps: sarà per questo che la lotta femminista dal personale (il nostro personale, mica un personal/generico) al politico a ‘sti dittatorini dei corpi femminili gli ha tolto un pò di "credibilità"?

—>>>L’opera è di Pierre André Brouillet, Lezione clinica con il dottor Charcot alla Salpêtrière, 1887 

Posted in Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio, Scritti critici.