Riceviamo e volentieri condividiamo queste riflessioni rivolte a tutte noi:
A proposito di 194
Di Stefania Cantatore – Udi di Napoli
Care tutte,
ho seguito, e cercato, le reazioni alle vicende sconfortanti innestate dalle parole sempre sconfortanti degli uomini che parlano di aborto, parlando ad altri uomini. Le risposte che l’UDI e tante altre donne hanno dato, pubblicate o semplicemente comunicate via internet, hanno un effetto rassicurante nell’immediato, ma avverto e molte avvertono il senso di impotenza che si genera ogni volta che gli uomini decidono di brandire una parte dei corpi femminili mediaticamente sezionati.
In politica, anche sui diritti “santificati dall’ONU”, non esistono parole definitive, e la tentazione dell’ultima parola non appartiene alla pratica femminista, perché è quella parola definitiva intrinsecamente autoritaria e quasi sempre all’origine dell’incertezza del cammino della democrazia.
Le donne continuano a fare politica per espandere i diritti, per allargare le libertà e per spostare gli equilibri dell’amministrazione pubblica verso il riconoscimento del soggetto mancante. Questo non può che avvenire come sempre cercando e svelando le contese vere, nascoste contraddittoriamente nelle “dichiarazioni aperte e franche” dei politici al potere.
L’aborto, appunto, è nominato a sproposito e per manovre diversive. I rappresentati politici devono far osservare una legge, nella fattispecie la 194. Le regioni non hanno potere di modificarla: negli ospedali non può che essere applicata, farmacologicamente o chirurgicamente, a seconda delle capacità del personale dei diversi presidi. Il resto fa parte delle grida belluine da uomini quando si trovano di fronte alla responsabilità di governare qualcosa di più della multa per le feci dei cani o della gestione dei divieti di sosta. La politica del fare, ecco quale è il punto: per escludere le donne ancora e pervicacemente dal diritto a decidere è stata inventata la politica del fare, le cose spicciole fuori dalla prospettiva dei diritti : quella che quel frenetico fare, dichiarare, rappezzare ha buttato nell’area del non fare.
Dobbiamo forse ringraziare l’On. Cota, l’On Cicchitto e tutti quelli che hanno smesso di sussurrare, ammiccare e rifugiarsi “nella libertà” di coscienza che ha permesso di approvare leggi vergognose come la 40 sulla procreazione assistita. Dobbiamo ringraziarli, non di essere inutilmente dove sono, dato che ciò che fanno, insultare le donne, lo farebbero ovunque e per talento personale, ma per aver mostrato che le grandi conquiste delle donne non possono essere per sempre, e che se rimangono ferme al palo della celebrazione finiscono per essere usate meglio nella logica del potere, piuttosto che dalle aventi diritto.
Sarà, per ora, opportuno spostare la nostra attenzione su quanto ancora bisogna fare oltre la 194, perché quello che vediamo non è il tentativo di impedire alle donne di abortire, ma piuttosto l’affermazione arrogante che la libertà delle donne è possibile fin dove vogliono gli uomini. Fin dove decidono di stuprare, irrompere negli ospedali, nominarsi gerarchicamente alla guida del paese.
Se e quando qualcuno deciderà di “smontare la 194”, saranno le donne: quando quella legge sarà divenuta praticamente inutile a causa del riconoscimento della piena responsabilità umana e civile delle donne.
Per ora la 194 non si tocca, perché gli uomini hanno imparato che basta minacciare di farlo, per ottenere l’effetto dovuto: distrarre l’elettorato femminile, e non solo, dalla totale incapacità della politica a dar seguito all’ attuazione dei “diritti santificati dall’ONU”.
Non sarà l’Onorevole Cota a mettersi nei pasticci sulla quota altissima di aborti clandestini, fatti in modo mortifero per donne nate o no in Italia, con e senza documenti. Non sarà nessun altro, in ossequio ai sacerdoti delle diverse confessioni, perché è quella quota di aborti a far parte di quelle libertà maschili ufficiose, dove lo stupro finisce di essere un reato, che sono a mantenere gli equilibri delle famiglie “consacrate” e il sangue certo “per i padri”.
Non sarà nemmeno la chiesa cattolica, o un’altra, a prendersi il fastidio di indagare sulle attività exta-moenia degli obiettori negli ospedali-fondazioni.
Nessuno potrà mai impedire alle donne di aver figli di un altro colore e di abortire se lo vogliono. Ma il potere di imporre una medicina violenta come obbligo “ai corpi sofferenti” , è un potere enorme e tutto nelle mani della politica. È un potere enorme dal quale le donne non possono prescindere nel corso delle loro vite, e oggi il problema di proporre più democrazia da donne ad altre donne non può fermarsi a rintuzzare la propaganda di politici senza prospettive, ma finalmente spingersi a proporre un stagione di confronto col potere attuale.
Siamo da troppo tempo in una situazione, da secoli, che nella normalità dell’oppressione subita, "siamo costrette" a pronunciarci sulle esagerazioni. Quello che davvero deve preoccuparci non è il grado di idiozia dell’uno o dell’altro politico, ma il grado di violenza normale che esercita su di noi.
Quel grado non può che essere misurato nei media in modo riassuntivo, quello unico che per la politica conta, perché è lì che si raffigura ed è lì che manipola il consenso.
Non è più sufficiente, anche se necessario comunque farlo, scriversi e descriversi, occorre svelare la qualità del violentare sessualmente nel potere gestito negli scranni dei governi e dei parlamenti, con iniziative esemplari e non interlocutorie, come lo sono le parole dei potenti.
Intanto l’On Cota e per altri versi anche l’On Cicchitto, si sono autodenunciati, il resto dovremmo farlo noi.