Le donne sono il motore dell’economia… questo ci era chiaro da parecchio tempo, però che su questo sia stato scritto un libro, personalmente, mi fà proprio piacere.
Il libro è:"Rivoluzione Womenomics – perché le donne sono il motore dell’economia" di Avivah Wittenberg-Cox e Alison Maitland ed edito dal Sole 24 Ore Libri.
Se ne parla sia su Server donne che sul sole 24ore.
Una delle frasi dell’articolo che mi ha più colpito è stata: "L’idea, però, è che «sia la famiglia a impedire alle donne di esprimersi al meglio nel lavoro e che quindi sia necessario riequilibrare i ruoli al suo interno, creando comitati delle pari opportunità in casa più che in azienda» ha spiegato Andrea Ichino, professore di economia politica all’Università di Bologna che, assieme a Renato Mannheimer, presidente dell’Ispo, ha presentato un progetto di ricerca per valutare i comportamenti delle coppie italiane in casa e nel lavoro fuori. «Spesso le donne – ha detto Mannheimer – fanno due o tre lavori e subiscono disparità salariali e di carriera. Il libro parla di rivoluzione, speriamo che cominci»."
Ne avevamo parlato proprio pochissimo tempo fa, e credo che ammettere questo sia un buon punto di partenza, che però non deve restare un punto ma si deve evolvere in un cambiamento effettivo, altrimenti ci ritroviamo tra 20 anni a dirci le stesse cose. Inoltre, secondo me, le pari opportunità devono esserci in casa come in azienda, e non in casa più che in azienda, perchè altrimenti poi rischiamo di ritrovarci sfavorite sul lavoro e a quel punto non ci sarà nessun effettivo passo in avanti. Per quanto invece riguarda la disparità salariale vorrei sapere sulla base di cosa poggia, dato che me lo chiedo da un pò, cioè come burocraticamente viene spiegato questo sfruttamento?
Secondo voi?
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La cosa che mi fa arricciare il naso parecchio è che i vari Ichino e Mannheimer, non fanno altro che sponsorizzare gli interessi del Capitale. Quello con la C maiuscola. Mi spiego. Il Capitale di per sè e rivoluzionario, perchè è capace di abbattere qualsiasi barriera culturale, qualsiasi potere tradizionale, incluso quello che lega la donna al lavoro di cura familiare e le nega la possibilità di esprimersi nel “lavoro”. Abbatte barriere culturali abbiamo detto, ma ovviamente al solo ed unico scopo di accrescere il profitto. Il discorso è chiaro: se una donna come singola, e/o la donna come genere, può essere economicamente valorizzato in maniera ottimale, questo ha da essere fatto, è pura e semplice razionalità. Lo scopo è aumentare il profitto, ogni mezzo per raggiungerlo deve essere adoperato, ogni ostacolo verso questo fine deve essere abbattuto. Quindi la cosa mi turba.. da un lato ci sono le istanze di liberazione di genere, dall’altro lato opportunità di profitto, di “valorizzare”, di creare plus-valore.. insomma vedo il simbolo del dollaro illuminarsi negli occhi del maiale capitalista.
Ciao,
in relazione a questo intervento di Viviana, e soprattutto alle interessanti domande che pone, vorrei osservare che una dimensione importantissima per le condizioni delle donne sul luogo di lavoro, non è quella “regolamentata” dalle norme (che sono necessarie ma non sufficienti), bensì quella simbolica:
in casa ed in famiglia si formano le idee delle relazioni di potere, che vengono replicate sul posto di lavoro.
Faccio qualche esempio concreto:
esiste in molti contratti il “superminimo”, che la parte di retribuzione aggiuntiva che il datore di lavoro decide di dare al lavoratore oltre il salario minimo da contratto di lavoro nazionale. Spesso il superminimo va a trattativa personale. Il datore si lavoro spontaneamente è disposto ad offrire di più ad un lavoratore maschio rispetto ad una donna.
durante le riunioni di lavoro, i maschi spessissimo fanno battute maschiliste e sessiste, ridacchiando tra loro: confermano con ciò la loro unità corporativistica maschile. Naturalmente si scusano se è presente una donna, e con questa sanciscono la sua esclusione dal gruppo. Le relazioni di cameratismo (battutone, pacche sulle spalle, parlare di “figa” e calcio) stanno alla base di rapporti che poi sfociano in un migliore atteggiamento anche per quanto riguarda le concessioni economiche verso chi fa parte di questo gruppo
i responsabili spesso decidono di affidare alle donne mansioni che, nella testa di queste personcine, sono adatti alle donne; mai sentito lo stronzetto che ti dice: questo è un lavoro da rompipalle, proprio adatto a una donna, no? E poi ti fa un bel sorriso, tutto contento della battuta, di cui ti vuole anche complice, magari, perchè tu, donna, sul lavoro devi essere simpatica e omologata, non antipatica e (oddio!!!) femminista.
Questa è la realtà lavorativa di tantissime aziende italiane: poi ci sono i convegni, che per carità, non guastano, anzi. Ma stanno “in un universo parallelo”, non so come altro dire …
Dovere tutti i giorni lavorare in un ambito maschile e maschilista, in cui se a parlare è una donna allora vengono sempre evidenziati i lati negativi, mentre se a parlare è un uomo del gruppo dominante allora c’è diffusa benevolenza,
dovere ogni momento affrontare un atteggiamento preconcetto, per cui la tua parte di donna è di certo più debole, “meno buona”, e questo a tutti i livelli in cui si realizza questo confronto,
mi pare la concretezza del lavoro italiano: gerontocratica, maschilista, classista, conservatrice.