di Stefania Cantatore
Le donne e i lavori, pagati o non pagati, sono la materia dell’art. 1 della Costituzione.
L’unico articolo sul quale davvero, per mantenere un legame se pure tormentato tra donne e costruzione dell’universo politico condiviso, sembra colpevole e autoritaria una cancellazione.
Allo stato delle cose, se una discussione vera c’è nel paese sui temi costituzionali, è questo il punto sul quale esplicitare i sottintesi gesti responsabili quotidiani delle donne, sui quali appunto si fonda la sopravvivenza, non solo la Repubblica. Come sempre nei riguardi della parte femminile, c’è uno spazio in cui riconoscere ed un altro per obbligare e sottovalutare. Infatti, l’articolo 37 della Costituzione recita: “ La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.”.
Le donne lavorano almeno per metà della loro vita senza che il loro agire venga chiamato lavoro, senza che questo rientri nella responsabilità sociale. E non si tratta solo del lavoro di cura materno, ma del complessivo farsi carico del minore impatto possibile dei danni connaturati al sistema. È quel complesso di gesti che nessuno vuol fare perché, essendo “naturalmente delle donne” non sono retribuiti o sede di prestigio. Sono quei gesti che fanno le donne, da sempre e nuovamente, fuori dal lavoro “vero”: quello che è signoria degli uomini, ceduto a malincuore all’altro genere sotto la pressione della “necessità”
Oggi la necessità è anche rappresentata dalla migliore attitudine e qualificazione femminile emergente in tutti i campi.
Negli Atenei come nelle scuole secondarie, per ammissione dei titolari di cattedra, la debordanza dell’eccellenza femminile, potrebbe far prevedere un fenomeno di femminilizzazione della classe dirigente se…
La persistenza storica ed immutabile dei sistemi di controllo sull’agire e sulla genialità femminile, fuori dalle leggi ma tollerati dalle leggi (parliamo del mobbing familiare, delle violenze domestiche e sui luoghi di lavoro, degli stupri di strada e nelle scuole), allontana e rende improbabile l’automatismo del cambiamento.
Lo scenario offerto, sia in prospettiva che nel presente, è di donne che lavorano e vogliono lavorare, avendo appena dietro le spalle le rivendicazioni delle loro madri che lottavano per il diritto a “lavorare fuori casa”.
Quello che è alle spalle è in parte attuale, per un paese che ancora tiene i livelli di occupazione femminile fuori dagli obiettivi prioritari di governo, ed è sintetizzabile in quella forchetta che la Costituzione “santifica”: puoi lavorare in modo retribuito finchè non confliggi con l’art. 37, cioè se il lavoro di cura te lo permette. E il lavoro di cura, si sa, non è responsabilità pubblica, anche se pubblico è poi il diritto a ricevere cura.
La storia, ancora clandestina, del pensiero femminista (emancipazionista, della differenza, della mistione, delle origini ecc..) è occupata da ponderose riflessioni ed analisi sul rapporto tra donne e lavoro: tanto quello di cura che quello salariato. Una parte non secondaria dei femminismi è anticipatrice del nodo reale tra violenza e sistema delle competenze lavorative patriarcali.
L’articolazione di un pensiero tanto legato alle esperienze attuali del momento in cui si articola, ed in più mantenuto in una dimensione ufficiale nella quale deve sempre essere sdoganato e rispiegato, può per sua natura “distrarsi” ed abbandonare temi che hanno costituito l’ossatura del confronto tra pensiero dominante e pensiero della democrazia sessuata.
Il lavoro retribuito alle donne è stato il contenuto di una rivendicazione importante e provocatoria all’impianto maschile nella distribuzione dei privilegi. Oggi, quando le donne lavorano e vogliono lavorare, appare chiaro che i gesti non sopprimibili delle donne abbiano avuto la meglio almeno sul veto preclusivo della proprietà maschile anche su quei gesti.
Quando ci si chiede, da donne e da femministe, se il lavoro retribuito sia stato un conquista definitiva e se quello non abbia privato di chances la creatività femminile distraendola dall’utopia della sostituzione dei paradigmi sociali vissuti, forse, si dimentica che il lavoro retribuito è il tema delle risorse e della riappropriazione delle scelte alimentari e di consumo.
Inoltre si dimentica spesso che il lavoro promuove il confronto, appunto, col sistema sociale in tutte le sue articolazioni.
Se il lavoro conquistato, valorizzato, inventato, può essere un lavoro odiato e che impedisce l’esercizio politico alle donne, è pur sempre un’espressione di ciò che le donne già fanno in un contesto controllato dal pensiero maschile. Questo non è tutto e non basta ma è un punto di avanzamento della “piattaforma femminile”.
Allo stato delle cose, le donne parcheggiate, disoccupate, inoccupate, casalinghe per scelta o per obbligo sono quelle che hanno alle spalle i gesti di sempre e quelli valorizzati dalle loro lotte.
Le lotte appunto!
Il pensiero femminista, così legato “obbligatoriamente” alle pratiche attuali, non ha smesso di pensare al lavoro (alcune correnti- anche se negando a volte il valore del già fatto) ed alla sua qualità, ma lo ha disgiunto dalla lotta, questo è oggettivamente visibile, lasciando questo terreno “al pensiero neutro che si occupa anche di donne”. Da un lato giustamente perché il diritto acquisito riguarda lo stato e le istituzioni, ma dall’altro implicitamente e contraddittoriamente affidando il presente delle donne ad una gestione maschile del futuro.
Naturalmente quel che si fa oggi, come nel caso detto sopra del rapporto competenza femminile e conquista del livello decisionale, non prepara automaticamente quello che sarà domani, ma sicuramente quello che è oggi, per le donne e per il mondo, non è indifferente all’agire politico femminista.
Cambiare il luogo politico della discussione sulla violenza ed il renderlo pubblico ha già almeno deviato molti percorsi femminili, cambiare la vita è il punto di arrivo che richiede passi che sono anche nel lavoro.
Le parole che hanno sostituito quelle pronunciate dalle donne, e neutralizzato la responsabilità pubblica nel lavoro di cura (Welfare, ammortizzatori sociali, politiche per la famiglia) di fatto rappresentano luoghi di diritto e talora di distrazione delle risorse. Ben sapendo che tutto questo è compreso il quella forchetta di esaltazione e mortificazione Costituzionale (art. 1 e 37) le due elle (lotta e leggi) sono affare di donne.
Napoli, 8 Nov. 2010