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Il 12 febbraio tutte a Como: ribellarci è giusto!

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Da Noi non siamo complici (seguono dei gravi aggiornamenti su Joy che copincolliamo sotto):

Negli ultimi giorni l’attenzione sulla vicenda di Joy ed
Hellen sta crescendo. Per questo abbiamo pensato fosse utile pubblicare
una sintesi dei fatti che renda chiara – anche a chi non l’ha seguita
dall’inizio – la gravità della situazione e l’importanza di non mancare
all’appuntamento del 12 febbraio sotto il carcere di Como.

Ma prima vorremmo fare una breve premessa.

Ciò che sta accadendo a Joy in particolare, così come ciò che è accaduto a Preziosa – la cui storia la trovate nella prima versione del dossier,
sotto il mese di luglio 2008 – ci conferma che i Cie sono fra i
pilastri fondamentali del meccanismo securitario. Un meccanismo di
controllo totalitario che, oltre a calmierare coi Cie la forza-lavoro
immigrata per meglio sfruttarla e ricattarla, legittima e moltiplica le
violenze e gli abusi– istituzionali e non solo – nei confronti di
immigrate ed immigrati dentro e fuori i Cie.

E guai
a chi, direttamente coinvolta/o oppure solidale, si permette di
interferire con questo meccanismo, mettendone a nudo violenze e
connivenze. Si massacra nei Cie chi si ribella alla violenza dei
guardiani, così come si massacra nelle piazze chi rompe il cerchio
dell’omertà e denuncia politicamente e pubblicamente le sopraffazioni e
le violenze che donne e uomini immigrate/i vivono quotidianamente nei
lager di Stato e negli ambiti lavorativi.

Per questo ripetiamo, ancora una volta e con sempre maggiore determinazione, che ribellarci è giusto e che è importantissimo essere il 12 mattina sotto il carcere di Como.

Sintesi cronologica

Una
sera dei primi d’agosto 2009 l’ispettore-capo del
Centro di identificazione per immigrati (Cie) di Milano, secondo il racconto, avrebbe cercato di
violentare Joy, una donna nigeriana, nella sua cella. Grazie all’aiuto
di Hellen,  sua compagna di reclusione, Joy riesce a difendersi.

Qualche
settimana dopo nel Cie scoppia una rivolta contro le condizioni
disumane di reclusione. In quell’occasione Joy, Hellen e altre donne
nigeriane vengono ammanettate, portate in una stanza senza telecamere,
fatte inginocchiare e picchiate violentemente.

In seguito alla rivolta, a Milano si è svolto un processo contro 14 donne e uomini migranti, tra cui Joy e le altre.

Durante
una delle prime udienze, quando in aula entra l’ispettore per testimoniare,
le/i migranti processati denunciano pubblicamente gli abusi quotidiani
da parte di quell’ispettore-capo e Joy trova il coraggio di raccontare
del tentato stupro.

In seguito al processo, alcuni/e migranti, tra cui Joy ed Hellen, vengono condannati a 6 mesi di carcere; altri a 9 mesi.

Le
ragazze vengono separate e mandate in diverse carceri, in modo da
isolarle e neutralizzare la forza che hanno saputo esprimere
collettivamente.

La data della scarcerazione per
Joy e le altre si avvicina – il 12 febbraio prossimo – ma nel frattempo
un evento tragico rende evidente il rischio che le ragazze corrono:
venire di nuovo rinchiuse in un Cie.

A portare alla luce questo rischio è il suicidio di uno dei migranti condannati in quel processo, Mohammed El Abouby,
nel carcere di San Vittore. Mohammed si è suicidato in carcere con il
gas dopo avere saputo che sarebbe stato nuovamente deportato nel Cie
milanese dopo la scarcerazione, il 12 febbraio, e questo l’ha spinto a
farla finita.

L’intrappolamento nel meccanismo
Cie-carcere-Cie è, infatti, uno degli aspetti del razzismo di Stato che
moltiplicherà le vittime della violenza sancita per legge.

A
questo punto ci chiediamo cosa potrebbe succedere se Joy ed Hellen
all’indomani della scarcerazione, il prossimo 12 febbraio, verranno
portate in qualunque Cie d’Italia. Se tornano in quello di Milano
ritrovano gendarmi & C.; se vengono mandate in un altro
Cie, si troveranno davanti altri gestori dell’ordine, colleghi loro,
che sanno chi sono le ragazze e che coraggio hanno avuto… E allora
cosa potrebbe accadere?

A fronte di tutti i discorsi ipocriti e razzisti di politici e mass-media sulla violenza contro le donne, negli scorsi mesi in diverse città ci siamo mobilitate, a partire da un appello lanciato da questo blog, per  denunciare gli abusi e le violenze contro le immigrate e gli immigrati nei Cie.

A Milano il
presidio organizzato il 25 novembre da un gruppo di compagne ha subito
tre violente cariche della polizia. Nonostante fosse stato organizzato
in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle
donne, le forze dell’ordine non volevano che venissero denunciati gli
stupri nei Centri di identificazione ed espulsione ad opera dei loro
colleghi in divisa.

Ad una settimana dalla scarcerazione, l’avvocato di Joy scopre di essere stato revocato e che al suo posto è stata nominata un’avvocata d’ufficio.

Non
sappiamo quali pressioni e ricatti abbia subito Joy per arrivare a
questa scelta, ma una cosa è certa: qualcuno ha molto interesse ad
insabbiare tutta questa vicenda e, per fare ciò, sta cercando di
isolare in tutti i modi Joy e le altre da chi ha espresso loro,
fattivamente, solidarietà in questi mesi.

Ma la
nostra solidarietà deve continuare a tradursi in concretezza: non
possiamo permettere che Joy ed Hellen tornino nelle mani dei loro
aguzzini.

Nasce così la campagna Ribellarci è giusto, a sostegno di Joy e delle sue compagne.

Col
pretesto della “sicurezza”, le donne migranti vengono rinchiuse in
lager in cui ricatti e abusi sessuali sono all’ordine del giorno.

Col pretesto della “sicurezza” in Italia stanno verificandosi, nel silenzio generalizzato, abusi degni d’un regime fascista.

Chi
non intende essere complice di questo sistema basato sullo stupro e la
violenza deve impedire che Joy ed Hellen vengano rimesse nelle mani dei
loro aguzzini.

Appuntamento il 12 febbraio alle 6.30 di mattina davanti alla stazione di Albate Camerlata Fs (Como).

Dalle ore 7 in poi davanti al carcere di Como – in via Bassone 11 – per aspettare Joy!

Per info: 327 2029720

Ascolta l’intervista e l’appello

Per contatti: complici@anche.no

>>>^^^<<<

Riceviamo e immediatamente pubblichiamo queste informazioni da
Milano. La situazione è sempre più pericolosamente ‘nebbiosa’. Una
ragione in più per essere presenti sotto il carcere di Como venerdì 12
febbraio e mostrare che Joy non è sola.

I nostri avvocati
questa mattina si sono recati alla cancelleria e all’ordine, dove
vengono depositate le nomine e le revoche agli avvocati provenienti dal
carcere.

La prassi vorrebbe che, una volta avvenuta la
nomina o la revoca, il carcere immediatamente comunicasse con un fax
alla cancelleria e all’ordine degli avvocati del tribunale di Milano i
cambiamenti.

Il documento non c’è.

Joy, ripetono dal carcere, avrebbe revocato la nomina giovedì 4 febbraio. Lunedì il fax a Milano non è ancora arrivato.

Gli
avvocati hanno intimato, con un fax, al carcere di Como di inviare la
copia del documento di revoca della nomina fatto da Joy.

Noi,
per ora, sappiamo che il colloquio che volevamo avere con Joy, insieme
ad una interprete, non ci è stato concesso proprio per la revoca della
nomina all’avvocato D’Alessio.

Nomina che ancora non compare ufficialmente da nessuna parte.

Cosa
più grave, a questo punto, il fatto che, per questa “anomalia” Joy ora
si trova senza un avvocato:  almeno finchè non comparirà quel documento
ufficiale che da Como fa tanta fatica ad arrivare….

Noi, intanto, continuiamo ad inviarle raccomandate e telegrammi chiedendole di rinominare il suo avvocato.

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