Il titolo è una citazione liberamente tratta da Ascanio Celestini, che nella storia originale si riferisce al razzismo.
di Viviana Esposito
Oggi vi racconterò una storia di continua strumentalizzazione e violenza che a partire dal 2009 ha permesso ad una parte del nostro paese di dar libero sfogo al proprio odio razzista e xenofobo, in modo del tutto “legale”.
Tutto ha inizio il 22 gennaio del 2009 quando nel Quartaccio, borgata romana dopo Primavalle, una donna di 41 anni viene brutalmente violentata da due uomini di nazionalità romena. Nel quartiere cresce la rabbia e in certi casi l’odio nei confronti della comunità rumena che è accampata in una baraccopoli poco lontana.
Il giorno dopo viene aggredita di notte una coppia, nell’auto dove si era appartata nelle campagne di Guidonia, alle porte di Roma. Lui, 24 anni, operaio, viene massacrato di botte e rinchiuso nel portabagagli. Lei, impiegata di 21, viene invece violentata a turno da cinque uomini che dall’accento sembrano rumeni.
In tutta la zona scatta la caccia alla banda dell’Arancia Meccanica: 150 militari dell’Arma, con elicotteri e cani addestrati alla ricerca di persone, battono le campagne e i casolari, e alla fine sono sei i romeni fermati, quattro per aver violentato la giovane impiegata, due per favoreggiamento. La rabbia della folla all’uscita dalla stazione dei carabinieri di Guidonia dei sei romeni fermati per lo stupro è stata così forte che da parte di alcuni cittadini c’è stato un tentativo di linciaggio.
Tutto il paese ha gli occhi puntati su Roma e sul Governo, a cui si chiede di fare qualcosa per la sicurezza delle “proprie donne”. L’idea dell’immigrato stupratore diventa sempre più forte dopo l’ennesimo stupro, fatto a S. Valentino, ai danni di un’altra coppia nel buio del parco della Caffarella, nella zona dell´Appio. I due fidanzatini, lui 16 anni, lei 14, sono stati aggrediti, trascinati in una zona buia, derubati dei cellulari e dei pochi soldi che avevano in tasca. Successivamente il ragazzo è stato immobilizzato sotto la minaccia di un coltello o di un taglierino e ha dovuto assistere alla violenza sulla quattordicenne. La ragazzina, dopo lo stupro, sarebbe stata addirittura tagliuzzata sulle gambe in segno di sfregio. Anche in questo stupro saranno fermati prima due rumeni, che la prova del DNA scagionerà, e poi altri due connazionali che invece verranno condannati.
Questa serie di stupri, a leggerli uno dopo l’altro, possono far davvero pensare che ci sia un’emergenza sicurezza per le donne a causa dell’immigrazione (la manipolazione delle notizie sta proprio in questo: raggruppare e collegare le informazioni funzionali al messaggio che si vuole veicolare e nascondere il resto, ovvero in questo caso gli altri stupri commessi da uomini italiani), e il Governo questo lo sa bene e decide di strumentalizzarlo.
Inizia una campagna contro gli immigrati, sin dai tempi dell’accusa di rapimento di un bambino nei confronti di una giovane rom (tutt’ora in carcere), aiutata dai giornali e dai tg che si riempiono di notizie di violenze commesse da stranieri, e dai talkshow in cui la questione sicurezza diventa sempre più centrale. In questo clima di odio il Governo approva quel famoso pacchetto sicurezza che prevede il prolungamento di permanenza dei Cie (a 6 mesi) per gli stranieri senza permesso di soggiorno e che inserisce il reato di clandestinità. La Lega Nord brinda al successo, la Carfagna si pavoneggia per tutto il lavoro che ha fatto e che farà per la sicurezza delle donne, il Governo tutto si compiace per i risultati raggiunti.
E le donne? Le donne come sempre non hanno niente di cui festeggiare, perché gli stupri non terminano, non si fermano, ma continuano a mietere vittime e a restare per lo più nel silenzio dei media, perché nell’80% dei casi l’aggressore/stupratore/violentatore è italiano, e questo non fa bene allo spot governativo e quindi viene taciuto, se tutto và bene gli si concede un trafiletto nelle ultime pagine dei giornali. Così il corpo delle donne viene usato per approvare leggi razziste che non hanno alcun legame con la lotta alla violenza contro le donne, dato che essa è compiuta da uomini di ogni razza, nazione, religione, età, ceto sociale e via discorrendo.
La storia, con l’approvazione di quelle leggi tanto agognate da una parte politica, sembra essere conclusa, ma non è così. L’odio va alimentato continuamente altrimenti tutto il lavoro fatto precedentemente potrebbe essere messo in pericolo. Il 15 agosto del 2009 a Firenze due romeni vengono accusati di aver tentato di abusare sessualmente una loro connazionale di 14 anni, nello stabile dell’ex Meyer, in Via Buonvicini, dove vivevano tutti e tre. Questa notizia servirà al comune per poter attuare uno sgombero dello stabile e ad alcuni esponenti politici per richiedere la nascita immediata dei Cie. Il consigliere Massimo Pieri del Pdl in quei giorni infatti dichiarò: “il Cie (Centro identificazione e espulsione ) non si può rinviare e situazioni come questa ne sono la prova”.
I Centri di identificazione ed espulsione (CIE), che sono in realtà i vecchi Centri di permanenza temporanea (CPT), sono dei luoghi che possiamo definire lager, dove coloro che vi sono rinchiusi subiscono ogni tipo di violenza psichica e fisica, ma nonostante tutto vengono tollerati dagli/lle italiani/e (fatte le dovute eccezioni per chi continua a lottare per i diritti degli/lle immigrati/e).
Perché succede tutto questo? Perchè non c’è un’indignazione nazionale verso tali luoghi? Bisogna ricordare che la campagna contro l’immigrato-stupratore, che ha fomentato il razzismo di una parte del paese, ha iniziato a spostare il suo interesse anche verso le culture straniere. Quindi la caccia allo straniero-stupratore diventa la caccia alla cultura-maschilista-violenta dei paesi orientali. In questo clima si diffonde la notizia di Sanaa Dafani, una 18enne di origine marocchina, morta dissanguata in un boschetto di Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, dove cercava di sfuggire alla furia del padre che non accettava la relazione tra la figlia ed un italiano, e che per questo l’aveva accoltellata.
Sanaa ricorda a tutti/e la storia di Hina Saleem, una giovane pakistana, che fu assassinata dai parenti l’11 agosto 2006, perché “colpevole di voler vivere all’occidentale”. Questa vicenda fece indignare il nostro paese, nel quale si ritornò a parlare di fondamentalismo religioso, di islam, della cultura musulmana e dell’impossibilità di integrazione dei musulmani in Italia. Il corpo di Sanaa, come quello di Hina, vennero brutalmente utilizzati dal nostro governo per poter giustificare le loro azioni razziste.
Non si disse mai che Saana ed Hina sono state uccise perché volevano essere libere, volevano poter decidere per se stesse, volevano amare senza prima chiedere il permesso a nessuno, dato che di nessuno erano proprietà. Le donne non sono oggetti, non gli si può mettere un marchio di proprietà, ma questo i maschi di ogni cultura non lo capiscono, e tentano di rinchiuderle dentro gabbie fatte di leggi/regole/doveri che si ripetono e sembrano assomigliarsi in tutte le parti del mondo.
Il 12 ottobre 2009 a Osimo, provincia di Ancona, un padre, contrario alla relazione della figlia con un albanese, l’ha colpita alla gola con un punteruolo. La ragazza, 23 anni, madre di una bimba di sei nata da un’altra relazione, sarà ricoverata in ospedale con una prognosi di una ventina di giorni. Questa notizia, a differenza di quella di Hina e Sanaa non fece molto scalpore, poche righe su di un giornale e qualche minuto nei tg. Lo stesso vale per Irene, che il padre uccise in agosto perché non gli piacevano le sue amicizie e le sue serate a base di eroina, o la figlia di Giorgio Stassi, che in maggio si è vista ammazzare da suo padre il ragazzo perché non voleva che si vedessero, o ancora Sabrina, che in aprile ha visto, davanti ai suoi occhi, il padre Pier Luigi Chiodini prendere a sprangate il ragazzo che lui non voleva per lei.
La situazione è sempre la stessa, una donna è uccisa o è scampata per miracolo al proprio padre, o ha visto picchiare/uccidere il proprio compagno dal proprio padre, perché quest’ultimo non ammetteva che sua figlia avesse una vita sessuale libera dalle regole, convenzioni, doveri dettati da una cultura maschilista che vuole la donna come una cosa che appartiene agli uomini del suo paese.
E’ qui che risiede l’eresia, il tradimento che comporta la condanna a morte. Queste donne hanno osato amare uomini a cui non “appartenevano di diritto”. “Le nostre donne” quante volte ce lo siamo sentite dire? Le nostre madri, le nostre sorelle, le nostre mogli, le nostre figlie… le nostre proprietà aggiungerei.
Il 1 gennaio 2010 S.M.W, una donna rumena di quarant´anni ha deciso di abortire alla dodicesima settimana con un´overdose di un farmaco, il “Cytotec”, che serve a prevenire le ulcere gastriche e che, dopo un inutile ricovero in ospedale, l´ha uccisa. Questo accadrebbe, secondo le fonti di ibformazione ufficiale, perché per la comunità di zingari romeni una donna che ha dei nipotini non può concepire ancora, poiché ciò è considerato una vergogna.
“Nella sottocultura di alcune famiglie rom, una nonna non ha diritto alla sessualità, deve dedicarsi esclusivamente ai figli e ai nipoti” questa è una delle tante frasi che riempirono gli articoli dei giornali, e che imputarono la colpa alla cultura rom.
Eppure anche da noi le donne conoscono il senso della “vergogna”, che ci viene inculcato fin da bambine e da cui a volte è difficile allontanarsi. Vergogna per la voglia di scoprire la propria sessualità o di vivere usando il proprio corpo, di trovare piacere anche nella masturbazione o di non avere un orgasmo ad ogni rapporto, nell’amare liberamente chiunque, nel voler avere un’aspirazione professionale, nel non volere una famiglia o di non metterla prima di ogni cosa, nel decidere di abortire o nel decidere di avere un figlio solo quando lo si vuole davvero, nel non essere una brava massaia, nel voler essere autodeterminate, nello scegliere di amare il proprio corpo anche se non rientra nello stereotipo veicolato dai mass-media, nell’essere in poche parole donne libere.
La vergogna noi donne la conosciamo bene, e spesso compiamo atti atroci pur di non sentirla, pur di sbarazzarcene. Ma la colpa non è di una cultura in particolare, ma di tutte le forme di patriarcato che esistono e che portano le donne ad atti estremi pur di non essere “ripudiate”. In particolare, riferendoci ad una morte per aborto clandestino, la responsabilità è certamente di quelle leggi che hanno impedito a quella donna di poter essere regolarmente assistita in un ospedale pubblico affinchè lei non morisse.
Infine arriviamo all’11 gennaio 2010 quando a Cesena dei genitori marocchini si inventano uno stupro perché non accettano le abitudini all’occidentale della loro giovane figlia, che per di più è intenzionata a sposare un giovane italiano. Come in precedenza anche in tal caso si dirà che questa è la conferma inconfutabile che gli orientali ci odiano, che sono loro ad istigare razzismo nei nostri confronti e che noi non possiamo che difenderci. I leghisti useranno questa notizia per affermare che è vero che gli orientali non vogliono accettare la nostra cultura, perché è considerata impura, e da qui al fanatismo religioso e agli attacchi terroristi il passo è breve.
Inventarsi uno stupro per impedire un matrimonio indesiderato è sicuramente un atto deplorevole, ma di fondo c’è la volontà di gestire la vita delle “proprie donne” , decidere per loro chi amare e sposare. In Italia invece di inventarsi gli stupri per impedire matrimoni, i matrimoni spesso si facevano per “rimediare” ad uno stupro subito, sempre per ritornare al senso di “vergogna” che anche in casi come questi c’era ed era attribuito alle donne. Ti facevano sposare l’uomo che ti aveva violentata, e questo vorrei se lo ricordassero i leghisti prima di definire barbara la cultura orientale.
La barbarie, nei confronti delle donne, c’è in ogni cultura, in ogni paese, in ogni città del mondo, quindi se è così diffusa bisognerebbe chiedersi il perché. Iniziare a capire che c’è un legame tra le varie culture, ovvero che tutte sono prodotti di uomini, fatti da uomini per uomini, dunque inevitabilmente misogine e sessiste.
La notizia del padre che vuole impedire alla figlia di andare a vivere con un italiano farà scalpore nell’Italia razzista, perché l’importante è puntare il dito contro l’altro/a, e quindi verrà strumentalizzata per alimentare l’odio verso gli/le stranieri/e, mentre ciò che bisognerebbe mettere in evidenza, analizzare partendo da se, che ci potrebbe portare ad una sana autocritica e ad un successivo miglioramento verrà omesso.
Non si dirà che in Italia il governo sta compiendo manovre che tentano di gestire la vita delle donne in tutti gli aspetti (nel mondo del lavoro le donne non se la passano bene, perché oltre che precarie sono anche sottopagata rispetto ai colleghi uomini, e non sono loro ad averlo deciso. Inoltre le donne lavorano due volte, perché se pur non riconosciuto, il lavoro domestico è un lavoro a tutti gli effetti. Per quanto riguarda la maternità, che dovrebbe essere una scelta personale, questa invece viene subdolamente imposta, perché ti spiegano che sei nata per questo, che il tuo compito è procreare, che una donna che non ha figli è meno donna. A questo è collegato il concetto della sessualità delle donne che deve essere al servizio degli uomini, perché tutto deve esistere per il fattore T come testosterone, il lesbismo quindi è bandito ed ecc…).
Se il governo italiano si comporta dunque come una famiglia che decide le sorti delle proprie figlie (cioè noi tutte) a quel punto qual è la differenza con questa famiglia marocchina, o con quelle sovracitate, che vogliono decidere il futuro delle proprie figlie? Dov’è la differenza presunta tra cultura occidentale e orientale? Un reato è grave solo se lo compie uno straniero e non lo è più se lo compie un italiano o peggio il governo italiano a discapito di tutte noi? Si tratta sempre di una cultura maschilista che da est ad ovest, da nord a sud del mondo, assume forme differenti che però hanno un unico obiettivo: la sottomissione delle donne. Quindi credo sia giusto parlare del maschilismo presente in altri paesi solo se si riconosce il proprio, perché solo mettendoli in relazione si può capire di cosa si tratta e soprattutto si può trovare un reale rimedio, un modo per abbatterli tutti.