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La femminista felice – Un inno d’amore al femminismo

di Feminoska

I miei genitori sono ambedue laureati e hanno sempre lavorato molto entrambi: e questo, in un momento difficile della loro vita, ha significato non affogare in una pessima situazione economica.

Ricordo però, di quando ero ragazzina, una situazione in particolare, che si ripeteva spesso: mio padre – il primo a tornare a casa da lavoro all’ora di pranzo – si sedeva alla tavola già preparata al mattino prima di uscire da mia madre, e aspettava.

Mia madre, tutti i giorni per oltre 30 anni, si è alzata tra le 5,30 e le 5,45, per riuscire a cucinare prima di uscire per andare a lavorare … difatti il pranzo era già sempre praticamente pronto, andava solo scaldato.
Mio padre si sedeva, e leggeva il giornale, aspettando. Più i minuti passavano e più lo vedevo innervosirsi per l’assenza di mia madre e non era utile, a quel punto, che mi mettessi io a scaldare il cibo: la cosa che lo faceva arrabbiare era che, al suo ritorno, non c’era la brava mogliettina adorante e compiaciuta del maritino affamato, ma una ragazzina appena tornata da scuola che si arrabattava per evitare l’ennesimo litigio.

Oh non che lui fosse uno di quei trogloditi che non vogliono che la moglie lavori, questo no! Però il lavoro di mia madre, o i suoi svaghi, non dovevano interferire con le “naturali” mansioni femminili.

Mia madre questo doveva averlo ben presente, difatti la sua giornata iniziava, come ho detto, alle 5,30 e finiva nel migliore dei casi a mezzanotte.

La sua vita ha somigliato per decenni ad un regime militare: sveglia presto, preparazione pranzo, pulizie della casa, lavoro, a casa di corsa a pranzo per l’accudimento dell’eroe, un boccone in piedi, lavoro pomeridiano, preparazione cena, pulizia cucina e successivo stramazzare sul divano, nemmeno la forza di guardare un film per intero. Il week-end, mentre lui andava a fare sport, o se ne stava in panciolle, o leggeva, lei puliva come una forsennata, faceva le lavatrici e stirava a tutto spiano, o cucinava una cena per gli amici – uno svago che però le costava comunque la corsa al supermercato e la preparazione della cena, e perciò non era comunque per lei un momento rilassante.

Io l’ho guardata correre per una vita, pancia a terra come un cane da caccia. L’ho vista mangiare in piedi migliaia di volte, l’ho vista svenire sul divano di stanchezza alle 9 di sera. L’ho anche vista ammazzarsi di lavoro e salvare il fondoschiena a mio padre, quando lui ha avuto dei problemi lavorativi non da poco.

E in tutto questo però, e in tutti e due, ho visto che comunque, la casa restava il suo unico, esclusivo fardello. Non c’è laurea che tenga, o lavoro fuori casa. Quando rientri tra quelle 4 mura, se vivi con un certo tipo di uomo, tutto quello che c’è dentro è roba tua, ed ha la priorità, quasi che il lavoro fosse uno svago – anche quando è chiaro che non lo è, e che anzi, il tuo lavoro ha salvato la famiglia dal tracollo.

Cosa costava a mio padre alzarsi e scaldare due pentole? Di fatica nulla, evidentemente era un altro il prezzo che avrebbe dovuto pagare: avrebbe liberato mia madre dal fardello di certa vergognosa divisione dei ruoli, e chissà lei cosa poi avrebbe potuto chiedere! Forse un giorno gli avrebbe persino chiesto di lavare per terra, o caricare una lavatrice!

Io dal canto mio, vedevo l’ingiustizia di tutto questo – e di molto altro – e mi rendevo conto che quella strada era spianata anche per me, in quanto femmina. Perché sebbene i miei mi abbiano allevato puntando molto sull’affermazione personale, sull’intelligenza e sullo studio, comunque “come femmina” ero io a dover aiutare mia madre in tutto e per tutto. Esatto, come femmina.

Io non avevo problemi a farlo, ma avevo problemi nel constatare che tra noi tre, l’unico maschio di casa era il solo a non aver mai svolto certi compiti. Oh, beh certo, lui era il riparatore di oggetti rotti. Io cercavo di imparare a mia volta a riparare le cose, e questo a lui piaceva, ma in ogni caso avrei sempre e comunque dovuto occuparmi anche di quell’altro aspetto, quello casalingo, come ogni “brava” figlia.

Mia madre non è mai stata una donna felice, e come poteva esserlo? Lei è sempre stata docilmente rassegnata a quella verità universale che vede le donne schiave della casa e succubi dell’uomo che dice di amarle e pretende di avere in loro delle mogli, madri e domestiche. Perciò il voler avere un lavoro, il cercare la realizzazione in un attività extra-casalinga ha significato equilibrismi senza fine, ed esaurimenti psico-fisici a go go. Si è ammazzata di fatica, e mio padre nel suo egoismo e nel suo voler mantenere i suoi privilegi di casta, non l’ha mai aiutata.

Lei però, nel considerare questa sua condizione come naturale, non l’ha mai reputata passibile di cambiamento, e perciò non ha mai nemmeno colto la portata che poteva avere nella sua vita un mutamento di prospettiva.

Io, dal canto mio, ho deciso che non avrei mai vissuto come mia madre. La vicinanza così stretta con ingiustizie così palesi, perpetrate e vissute da due persone da me molto amate, mi ha reso chiare le scelte che avrei preso in futuro: non mi sarei sposata, perché se e quando mi fossi stufata di qualcuno non avrei vissuto drammi, mentre se le cose fossero andate bene sarebbe bastato il reciproco sentimento a tenerci uniti. Non avrei avuto bambini, per i quali non ho mai provato nessun tipo di trasporto. Avrei cercato di realizzarmi come persona prima di tutto, avrei cercato di capire come usare al meglio questa unica meravigliosa vita, ignorando l’imperativo della specie a riprodursi ad ogni costo.

Vivo questa vita da diversi anni ormai, e ne sono felice, e non ne ho abbastanza.

Mi sono laureata, ho iniziato a lavorare, e a convivere. I lavori in casa sono equamente distribuiti tra me e il mio compagno. La domenica io mi spacco la schiena in giardino perché amo farlo, e lui mi chiama dalla cucina perché ha preparato un ottimo pranzo. Usciamo la sera, e spesso ognuno per i fatti suoi. Andiamo tantissimo al cinema, ai musei. Lui sa fare tutto in casa, sa usare una lavatrice e sa anche stirare.

Se sto male mi fa da infermiere, ma anche se sto bene a volte mi sveglia con la colazione a letto … perché quando i gesti sono sinceri e non frutto di ruoli stereotipati, anche quelli che vengono visti come vuote galanterie ritornano gesti d’amore a tutti gli effetti. Come i fiori, che io amo tantissimo e che non vivrei mai come un insulto in caso di regalo.

Alcune donne mi definiscono “fortunata”, ma non è proprio così: la persona con cui vivo era il classico “figlio di mammà”, quando ci siamo conosciuti. Io però ho approfondito il mio femminismo assieme a lui, ho dialogato tanto, ho espresso con forza e convinzione le cose in cui credo, e lui si è dimostrato sicuramente ricettivo: anche perché, se così non fosse stato, avrei preferito “sola” a “male accompagnata”.

Intorno a me vedo tante donne rassegnate ad un destino apparentemente ineluttabile: quel destino che, con la lusinga dell’accettazione sociale le loda e imbroda per un giorno per dimenticarle poi per una vita. Vedo vite perdere di senso pian piano, o altre vissute continuamente sull’orlo dell’esaurimento nervoso.

Quello che a me ha regalato il femminismo è stato un nuovo orizzonte: un orizzonte non già scritto e determinato, una tela bianca su cui disegnare il mio disegno, sia che si tratti di uno scarabocchio come di un capolavoro. Ma per abbracciare la propria vita fino in fondo bisogna avere il coraggio di cambiare, e spesso di rischiare di sbagliare. Bisogna a volte non sapere dove si va, perché poche hanno preso quella strada prima di te, e non sempre le cose sono andate bene. Le donne che oggi sono infelici, non sono femministe, e non sono infelici per via delle femministe. Sono donne che non riescono a lottare per se stesse, che scimmiottano le peggiori qualità degli uomini invece che attingere alla propria genuina forza. Abbracciano con poca convinzione le scelte altrui – da quelle più apparentemente progressiste a quelle più retrive – e vivono, infelici e dissociate, una vita che non possono scegliere.

Ne vedo tante a lavoro: fanno le ambiziose, ma se ci parli per un po’ più di tempo scopri che, nonostante la colf, le madri e le suocere, le tate e tutto lo stuolo di donne sostitute, nel centro della loro casa c’è un uomo maturo trattato come principino della casa, che MAI cambierebbe il pupo (giacché il primo pupo è sempre lui), o MAI entrerebbe in cucina.

Sono sempre di corsa, affannate: alcune ne fanno un punto di onore, con le altre donne o con i colleghi uomini – ai quali cercano comunque di dimostrare di essere brave donne di casa che è l’aspettativa sociale sempre più pressante, per una donna!

Io ascolto in silenzio e dentro di me sorrido. Non per cattiveria, davvero. E’ solo che penso a come tanti uomini lottino per avere di fianco una donna sottomessa e infelice, e tante donne arrivino a farsi un vanto di diventare proprio così. Quelle che dichiarano poi candidamente di essere contrarie a tutti gli -ismi, femminismo compreso.

Sorelle, ognuna è responsabile di se stessa: le femministe sono felici di esserlo, non odiano gli uomini, né le altre donne. Ma non sono le vostre mammine, né le responsabili della vostra infelicità.

Quando la smetterete di voler qualcuno che si prenda le responsabilità al posto vostro, quando manderete a quel paese la potestas di qualcun altro, quel giorno anche la vostra tela si farà bianca e immacolata, e forse sul vostro viso dipingerete il vostro migliore sorriso.

Grazie alle femministe di ieri e di oggi, alle loro lotte, al loro esempio, io oggi sono una donna più libera e più felice: mi hanno restituito la mia vita e la libertà di viverla secondo i miei desideri, più di quanto una “brava madre” avrebbe mai potuto fare. Immaginate regalo più grande?

Leggi anche:

Le femministe sono felici, anzi felicissime

—>>>L’immagine è opera dell’artista Stefania Bisacco

Posted in Fem/Activism, Pensatoio, Personale/Politico, Scritti critici.


10 Responses

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  1. Feminoska says

    La maternità è una scelta come tante, una scelta personale che in Italia viene elevata a unico definitivo senso per una donna. Conosco moltissime femministe madri, altre non lo sono e non intendono diventarlo. Questione di scelte, tutte egualmente valide, ma mi permetto di farti notare che quando anche in Italia, come già succede in molti paesi, la maternità non sarà lo specchietto per le allodole e il corpo delle donne il campo di battaglia su cui si misura il maschilismo di un popolo, tutte potremo finalmente viverla in serenità. Idem per il discorso su “le femministe” in Italia, non siamo tutte estremiste radicali, ma fa comodo da un certo punto di vista vederci così… per isolare il “nemico” certa propaganda non fa che creare stereotipi, e oh! se attecchiscono anche nel pensiero comune!
    Quando le donne potranno nuovamente sentire il proprio corpo “proprio” e non proprietà dello Stato, della Chiesa e in definitiva dell’uomo di turno, allora non ci sarà più bisogno di sottolineare con veemenza cose che dovrebbero essere lapalissiane…ma che qui da noi, non lo sono!
    un abbraccio!

  2. Feminoska says

    Ciao Reginella, hai fatto bene! E’ importante affermare con forza quanto si stia bene in strade “altre”, oggi poi che vorrebbero ridurci tutti a meste fotocopie senza pensieri e passioni, ancora di più!
    Aiuta col tuo esempio le donne che hai vicino, il mondo ha bisogno di persone anticonformiste e felici!

  3. fikasicula says

    marta, puoi scriverci all’indirizzo segnato alla voce contatti in alto a destra: fikasicula[chiocciola]grrlz[punto]net. è il nostro indirizzo collettivo.

    aspettiamo tue notizie.
    un abbraccio

  4. Marta says

    Ciao, vorrei fare una testimonianza in forma anonima. Potete darmi un contatto o indirizzo mail? Magari prima di metterla nel sito…è importante! Ciao

  5. Daniela F. says

    Anch’io mi auto-dichiaro felicemente una femminista da una vita. Credo di essere nata tale con ogni fibra del mio essere, sentendo istintivamente e da sempre la spinta a realizzare il mio destino come femminista sin da bimba (anche e soprattutto “solo” nel modo di vivere quotidiano e rapportarmi al mondo e al mio destino, intendo; e come altro, sennò?). Però quello che un giorno vorrei trovare in Italia è, una volta tanto, anche una femminista madre (perché ad esempio in Gran Bretagna, dove mi sono laureata, ho lavorato e trascorso un terzo della mia vita ne ho conosciute tante). Perché pur avendo sempre sostenuto con veemenza che la maternità non è affatto una scelta obbligata di ogni donna, e che io stessa fino a nemmeno molti anni fa non prendevo per scontato che sarei diventata madre, purtroppo ho l’impressione che in Italia ne esistano ben poche. Questa cosa mi fa sospettare che sotto sotto, siano condizionate anche loro, le femministe italiane (o forse dovrei dire anche noi, perché anche io sono italiana e pure femminista). E non sono condizionate dall’idea che debbano fare le schiave sia del proprio lavoro fuori casa che dentro, come la madre dell’autrice di questo bel pezzo, ma dell’idea che comunque avere figli ti rende un pò meno femminista. Sotto sotto…

    Al contrario in paesi “femministicamente” più avanzati, come appunto la Gran Bretagna, dove si può tranquillamente parlare di essere una femminista in qualsiasi contesto senza paura di essere vista come una specie di radicale a tutti i costi, o peggio una provocatrice, la maternità può addirittura essere vista come proprio un modo per esprimere alcuni aspetti del proprio femminismo. Io ad esempio scegliendo di partorire in casa (mia figlia, la secondogenita, ora ha un mese e fa parte di quell’1% di bimbi italiani partoriti in casa solo con ostetriche presenti – per scelta) credo di aver fatto qualcosa di femminista. Perché se si legge anche solo un paragrafo di storia dell’ostetricia e delle origini del parto in ospedale, recentissimo, ci si rende conto che fa parte di un patrimonio culturale paternalistico e maschile che a usurpato un’istituzione millenaria femminile, quella delle ostetriche, in nome della “scienza”. Io come femminista, con una scelta consapevolissima, non ho ceduto all’autorità di un’istituzione maschile, quella del metodo medico-scientifico di concepire il parto e la maternità come una malattia (per quanto si dica il contrario) e mi sono auto-determinata affidandomi a delle ostetriche e delle femministe che lavorano molto con risorse tutte femminili che in una tradizionale sala parto ospedaliera verrebbe relegato in secondo piano se non del tutto ignorato a favore della più mascolina razionalità scientifica (detto questo, non che le mie ostetriche non fossero anche preparatissime sotto un punto di vista medico-scientifico…). Col parto in casa e con ostetriche di questo tipo la protagonista è la partoriente, a cui viene insegnato come attingere alle sue potenze prettamente femminili. In ospedale invece è il personale medico che “ti fa partorire”, per quanto si dica il contrario: parola di chi ha partorito il primo figlio in ospedale e la seconda figlia in casa e che può fare serenamente un confronto fra i due parti. Dal primo ne sono uscita traumatizzata come se fossi stata stuprata; dal secondo potenziata, a bearmi del mio essere nata femmina e poter partorire una potenza mille volte superiore a quella dei muscoli dei maschi.

    Ecco, il giorno che in Italia sentirò più femministe riconoscere che anche la maternità può essere un’opportunità per esprimere il proprio femminismo, saprò che le femministe italiane si saranno definitivamente distaccate da una visione ancora leggermente troppi anni 70 del femminismo. Detto questo, condivido appieno il messaggio di questo bell’articolo; è una vita che vado dicendo che la parola (e soprattutto il concetto di) femminismo è bella e non presuppone che si debbano per forza odiare gli uomini, le donne o essere particolarmente radicali e aggressive (perché questo suggerisce in Italia questa parola… ma sì, dai, diciamoci la verità).

    A proposito, mio marito (perché io sono anche una femminista sposata) non solo cambia i pannolini e fa i lavori domestici, ma spesso ne fa anche più di me (anche se direi che questo genere di compito sia equamente distribuito fra noi). Per scelta e perché gli piace. Anche a me viene sempre detto che sono fortunata. E anche io rispondo sempre che al contrario non è una questione di fortuna, perché un modo diverso di vivere la coppia e anche l’essere genitori io non lo avrei mai accettato in partenza. Cordialissimi saluti.

    Daniela F.

  6. Monica says

    …solo ora a 26 anni capisco quanto le sia costato e che io, in quanto figlia e non in quanto femmina avrei dovuto aiutarla e sorreggerla…questa frase si Reginella mi ha fatto riflettere sullo scarso aiuto che dò a mia madre(x ora vivo ancora con lei)…ed un po’ mi spiace…ma poi il suo essere così convinta ke dovrei fare e saper fare, imparare, accudire, tendere alla perfezione e all’annientamento di me x avere pasti cucinati da me e casa pulita ecc…. in mi imbestialisce…e va a finire ke si ritrova lei il carico di tutto….

  7. meli says

    leggendo quest’articolo mi sono accorta che mio padre assomiglia molto al tuo XD
    colgo l’occasione per complimentarmi con il vostro lavoro =) è da un po’ che vi seguo
    un bacio a tutti e a tutte =P

    vi linko quest’articolo agghiacciante http://www.disinformazione.it/…cazione_donna.htm

  8. Emanuele says

    Davvero un bel post, che lascia intravedere un barlume di speranza!
    Non è impossibile vivere un rapporto bello e paritario allo stesso tempo

  9. Anna says

    anch’io per fortuna vivo un buon rapporto di coppia, anzi spesso fa piu’ lui di me, non che sia un bene, soprattutto perche’ poi sbraita che l’emancipazione di una donna (io) passa per l’oppressione di un uomo (lui) 😉

  10. Reginella says

    Il tuo è un racconto intenso e commovente, un vero inno d’amore e di libertà. Mi sono specchiata e osservata nelle tue parole.
    Mia madre come la tua e come altre miliardi di donne nel mondo ha lavorato e lavora come forse nessun uomo ha mai fatto. una vita purtroppo votata quasi esclusivamente al sacrificio. Laureata, femminista del Sud degli anni 70, madre giovanissima già a 21 anni. La sua figura è stata ed è poliedrica, come solo le donne sanno essere, anche a discapito ahimè dei loro desideri più profonde. è stata dura, intransigente, dolcissima, divertente, attenta, premurosa, mai assente seppur sola nella gestione della vita familiare e domestica. Ma questo purtroppo le è costato molto caro: insoddisfazione, rimpianti per quello che avrebbe potuto essere e non è mai stato, ovvero una vita più umana, all’insegna dei propri desideri non solo di quelli degli altri.

    Ha cresciuto me e mia sorella all’insegna dell’indipendenza e della battaglia del femminismo, proprio perchè forse lei ha pensato di aver fallito in questo. CI ha sempre ripetuto, sin da quando eravamo bambine, che il nostro destino non era segnato aprioristicamente dal matrimonio e dalla maternità. che saremmo diventate donne complete e felici anche senza tutto questo. Siamo ormai due giovani donne che mai hanno fatto le “femmine” in casa. Non abbiamo mai dovuto cucinare, pulire, rassettare, il nostro compito era studiare e crescere intellettualmente, oltre che goderci in pieno la nostra infanzia e giovinezza. A tutto e per tutto e tutti c’è sempre stata lei, apparentemente instancabile. Da ragazzina è stata una “pacchia” lo ammetto, solo ora a 26 anni capisco quanto le sia costato e che io, in quanto figlia e non in quanto femmina avrei dovuto aiutarla e sorreggerla. Per fortuna non era del tutto sola, ma con lei ci sono tutte le meravigliose donne della mia enorme famiglia matriarcale, le mie altre madri.

    Oggi convivo con un ragazzo meraviglioso, che anch’io come te ho “iniziato” alle meravigliose e umane prospettive del femminismo tanto da esortarmi lui stesso a vivere sempre nel segno della mia libertà e nella lotta per la libertà di chi non ha avuto la mia stessa fortunata educazione.

    Mi spiace di aver scritto un commento cosi lungo e forse inopportuno, ma leggendoti ho sentito la necessità di intonare un canto d’amore a mia madre.