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Manifestazione del 28 novembre: la genesi

Come promesso dedicheremo un po’ di spazio – tra le altre cose – al dibattito che si è svolto e che si svolge in un "altrove telematico" (mailing list) a proposito della manifestazione del 28 novembre. Già ho riassunto quello che è successo e soprattutto ho rilevato come le differenze politiche siano state ignorate e la verità sia stata manipolata per legittimare una modalità che poco ha a che fare con la organizzazione orizzontale e partecipata di una iniziativa.

L’intervento della Pivetta, e ancora di più il suo report, che ha preceduto quello "ufficiale" e collettivo dell’assemblea di donne intervenute a bologna, hanno chiarito come la spinta per la manifestazione del 28 venisse da quelle stesse donne che hanno partecipato alla iniziativa svoltasi alla casa internazionale delle donne su sesso-potere-denaro. Quello che sembra davvero strano è il perchè queste donne, un gruppo di giornaliste volenterose, non abbiano avuto il coraggio di mostrarsi come entità indipendente invece che tentare di confondersi con un movimento nato e cresciuto in totale autogestione e distanza da dinamiche così ambigue e autoritarie (sommosse).

Sarà dunque necessario tornare indietro nel tempo e recuperare tutti gli interventi (era già in programma) che hanno criticato quell’assemblea del 26 settembre nella quale la parola è andata quasi esclusivamente a donne di età superiore agli ‘anta e nella quale la frase ad effetto che più ha prodotto eco è stata quella che "il femminismo non è di destra nè di sinistra". Si apriva così il "nuovo corso" del femminismo italiano. Quello in cui l’egemonia appartiene alle donne che hanno risorse, mezzi di comunicazione, inviti nei talkshow televisivi, e che impongono una "linea" che risale al femminismo della differenza ma è anche quella della gestione verticale dei movimenti, della gerarchia e la suddivisione tra donne autorevoli e donne non autorevoli, della separazione tra istanze del femminismo e quelle delle trans – per esempio – non riconosciute in quanto parte della nostra dimensione post-identitaria.

Sono donne che hanno saltato tutta la fase queer della butler ma che nulla sanno neppure di cyberfemminismo che al queer è legato a doppio filo. Nulla sanno e vogliono sapere di quegli "altri femminismi" che oggi si dedicano al porno visto e fatto da donne, che lavorano sulla prostituzione anche per costruire un immaginario meno bacchettone e moralista, che studiano e lavorano sulla comunicazione come strumento di sovversione, che parlano un linguaggio post-coloniale e per forza di cose antirazzista e antifascista.

E’ un femminismo che non lascia spazio perchè agisce in modo baronale ammettendo qualche giovane pupilla nei propri consessi accademici giusto per rinverdire la lista degli interventi delle loro altrimenti geriatriche iniziative. Un femminismo che controlla la propria editoria, che decide quali contributi dall’estero devono essere tradotti e pubblicati e quali no, che gestisce luoghi assegnati dagli enti locali e che talvolta li mette a servizio di quelle che loro chiamano "le giovani" e talvolta invece se ne serve per circoscrivere il proprio potere.

Un potere misero perchè consta della incapacità di confrontarsi ad armi pari, di rimettersi in discussione e di ricorrere alle peggiori modalità della politica maschile per imprimere il loro marchio nelle cose italiane.

La manifestazione del 28 dunque, ed è bene che tutte ne siate consapevoli, non è solo una giornata in cui si scende in piazza per difendere l’onore della onorevole Bindi, a prescindere dal fatto che questo possa riguardarvi o meno, ma rappresenta il momento in cui la gerarchia si è reimposta, in cui il vecchio ha cancellato il nuovo, in cui le donne di potere hanno "rubato" la piazza a quelle che parlano con parole chiare, che non si ammantano di titoli "d’autorevolezza" per poter fare politica, a quelle che preferiscono un anonimo nickname collettivo (e non autorevole agli occhi di alcune) al nome e cognome con titoli e curriculum al seguito, a quelle che scelgono da che parte stare e che soprattutto hanno chiarissimo che non è vero che il femminismo è di sinistra e di destra. 

L’unico problema è che noi esistiamo e che non abbiamo mai chiesto niente a nessuno, che prendiamo ciò che ci serve e che usiamo un mezzo di comunicazione senza chiedere favori e senza dover passare da "autorizzazioni redazionali" come la rigida regola dell’ordine delle old-feminist vuole. Se certo femminismo italiano fosse in grado di comprendere la filosofia libertaria che sta attorno, dietro, avanti, l’uso di internet lo coglierebbe per quello che è: un mezzo che supera, scardina, prende lo spazio che alcune volevano tenere chiuso tra le ragnatele.

C’è un’altra grande differenza tra le giovani e le "istituzionalizzate": le giovani sommano la collettività in un unico pseudonimo, le istituzionalizzate invece dispensano adesioni a partire dallo stesso luogo ma con nomi diversi.

Eccovi l’intervento di una "incivile" e "non autorevole" compagna a proposito della manifestazione:  

Ciao a tutte. Non potrò venire a Bologna ( e mi dispiace molto) ma vorrei dare il mio contributo come chiesto dalle compagne che organizzano l’assemblea nazionale. Con molto dolore nel cuore dico che quelle parole non mi rappresentano e visto che si tratta solo di aderire o meno ad un corteo io non mi sento di venirci. Il nostro percorso è stato altro come le nostre riflessioni e considerazioni. Dopo questi due anni di lavoro insieme non credo in un corteo in cui è scomparso tutto ciò che abbiamo discusso. Dove sono le parole femminista, lesbica, antifascista? Non si parla nemmeno di violenza domestica né di precariato né delle donne immigrate etc etc. Un vago contributo nelle motivazioni scomparirebbe in una piazza convocata con parole alle quali potrebbero aderire anche donne di destra se non si pone forte una discriminante. Il pericolo c’è ed io non mi sento di sfilare in una situazione del genere.

Buon lavoro a Bologna.

Francesca incivile da Roma

 

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Posted in Fem/Activism, Omicidi sociali, Scritti critici.