La teta asustada è un film magico. Diretto da una eccezionale Claudia Llosa, letteralmente significa "la tetta impaurita", il titolo italiano è "Il canto di Paloma". Ha vinto l’orso d’oro di berlino 2009 e se non lo avete ancora visto varrà la pena di vederlo.
Siamo in Perù negli anni successivi alla lotta tra guerriglieri e esercito di stato. Una commissione per la verità e la conciliazione sta decidendo a chi attribuire le tantissime vittime di un ventennio terribile. Della stessa operazione le Madri di Plaza de Mayo in argentina, così come altre organizzazioni in Cile diranno che serve a coprire le responsabilità dei militari governativi per spostarle sulle guerriglie popolari.
Il film non prende posizione e parla semplicemente di conseguenze e di vittime: donne che seppur appartenenti alla generazione successiva sono comunque state cresciute nella paura e che da quella paura dovranno risollevarsi.
In un piccolo centro vivono Paloma e sua madre. Paloma è figlia di una teta asustada, dunque è figlia di latte andato a male per la paura. Le donne di quel tempo hanno sviluppato la capacità di parlarsi senza farsi notare e perciò tramutano le parole in canto ed è alla fine di un lungo canto che la madre di Paloma si spegne dopo aver chiesto di dare acqua ai suoi ricordi per paura di perderli e dopo aver descritto nei minimi dettagli lo stupro del quale era stata vittima.
Neanche a dirlo le maggiori vittime del ventennio furono donne uccise, martoriate e stuprate. La madre di Paloma sarà solo una delle tante che canterà un dolore impossibile da cancellare, una crudeltà unita alla altrettanto grave crudeltà di dover ingoiare il pene del marito ucciso davanti ai suoi occhi. Il dettaglio: Paloma non era ancora nata ma per sua madre ha visto tutto, l’ha visto da dentro.
Generazione dopo generazione la paura è diventata diffidenza. Una figlia della paura non cammina ma striscia a testa bassa accanto al muro perchè la credenza popolare presagiva altrimenti la perdita dell’anima.
Paloma perde sua madre e vuole seppellirla lontano da Lima, nel suo paese d’origine. Per accumulare i soldi per il trasporto accetta di lavorare a servizio di una ricca pianista e compositrice che dal canto di Paloma trae spunto per un suo concerto di successo. Promette un pegno per ogni nota, una perla dopo l’altra, per trasformare un sapere antico in un brano da concerto e Paloma concede la memoria per poter seppellire sua madre.
Il racconto scorre tra le favelas in cui vive con zio e cugini e la villa al centro della città in cui va a lavorare. Notevoli le differenze tra i due mondi, le miserie di entrambi, la debolezza dello zio e l’egoismo della pianista. Per difendersi da essi Paloma crescerà, sempre più cosciente dei propri diritti, e da donna che teneva una patata dentro la vagina per impedire ogni tentativo di violenza si trasformerà in donna che camminerà a testa alta per prendersi il diritto di esistere.
Non mancano le figure poetiche e le fotografie di tradizioni popolari raccontate in modo incantevole.
Le donne del sud, le siciliane di sicuro, ricorderanno che di latte avvelenato, ‘u latti siddiatu (il latte arrabbiato, triste), ‘u latti scantatu (il latte impaurito), la nostra vita è stata piena. Ne ho sentite tante di storie di mamme che attribuivano a questo o a quel dispiacere le conseguenze fisiche del figli: ritardo mentale, disabilità di vario genere, sindrome di down. Così come non si può non ricordare le nostre nonne e il loro "occhi ‘n terra e muru muru" (occhi bassi e camminare vicinissime ai muri) come preoccupato suggerimento alle figlie e alle nipoti quando queste uscivano da sole.
Segno che la paura maggiore per tante donne è sempre stata la violazione dei loro corpi e che non ci si risolleva da quella paura senza aver acquisito il diritto di esistere.
E’ ancora così che la società patriarcale ci vuole: terrore e pregiudizi da trasmettere alle figlie per evitare che quella stessa società cresca e ci permetta di vivere con dignità.
In fondo: cosa c’è di diverso – in termini concettuali – tra le ronde, lo spray al peperoncino, la politica razzista del terrore e la patata nella vagina? Più facile incutere timore che concedere diritti, no?
E’ un po’ di tempo che ci rifletto. Ci prendono per idiote. Lo leggo nei loro occhi. Anche i compagni (fidanzati) alle volte ti vedono come una persona da educare, da crescere.
Mi sto ritirando sempre di più, da questa società. Non sopporto quello sguardo ferino e la pietà… come se fossi veramente un animale da compagnia… e non un essere umano con desideri e volontà propri.
Mah, sono pessimista, lo ammetto…