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Io e mia madre. Generazioni di donne in lotta tramortite dalla precarietà

Pubblichiamo una proposta-post di una eccezionale ragazza che in poche frasi riesce a mettere a fuoco tutti i grossissimi problemi che nessuno in questo momento ha voglia di affrontare. Tutto si svolge a roma, attualmente teatro di sgomberi ai danni di famiglie con grossi problemi economici e città nella quale si celebrano indisturbate le più grandi discriminazioni. Tra queste, come in tutto il resto del mondo, evidentemente stanno in prima fila quelle dedicate alle donne di ogni età.

In questo caso sono messe a fuoco due generazioni criticissime, vittime della famosa "conciliazione tra vita e lavoro" per la quale le donne dovrebbero ringraziare, vittime della flessibilità, della precarizzazione del lavoro, dei contratti co.co.co., co. pro., del lavoro in nero.

Due generazioni di donne completamente neutralizzate dalla assenza di prospettive presenti e future. Donne quarantenni che non sono in grado di sostenere le loro figlie ventenni. Entrambe nella tristissima condizione di dover combattere una guerra per la sopravvivenza talvolta alle dipendenze dei padri d’un tempo o a quella degli uomini del presente.

Due generazioni di donne annientate e consegnate al sessismo maschile. Di questo scempio vedrete presto (ma lo vediamo già) le conseguenze, perchè una società che uccide socialmente – in un femminicidio costante – migliaia di donne rimane e diventa una società nella quale dominano gli uomini e nella quale le poche donne emergenti fanno parte di un ceto sociale che di sicuro non rappresenta tutte noi.

Quando parlo di noi comprendo anche tutte le donne istruite, laureate, precarie o senza lavoro, che si autorappresentano e che attualmente sono in grande conflitto con le donne dei ceti superiori che concepiscono ancora la politica come una sorta di feudalesimo al femminile in cui le ricche aristocratiche vorrebbero essere le uniche ad avere accesso alla "scrittura", alla divulgazione delle "idee" (se nel frattempo non fosse nato il web a scombussolare un po’ le caste) e che ogni tanto vanno a sporcarsi le scarpe nuove per rovistare le case delle contadine e portare loro la minestra calda.

Siamo donne che parlano e che nessuno e nessuna vuole ascoltare perchè troppo duro quanto abbiamo da dire, perchè troppo grande il conflitto che poniamo, perchè non ci accontentiamo della minestra calda ma pretendiamo una redistribuzione di risorse, di tutte le risorse, comprese quelle che vengono monopolizzate dalle ricche aristocratiche illuminate.

Siamo le donne che vengono ignorate quando si afferma che le donne stanno in silenzio. Siamo le donne del popolo che non credono ad una sola parola proferita dalle ricche notabili che vivono nelle case lussuose dei centri storici delle città.

Siamo le donne che vivono in periferia, le operaie dell’intelligenza, quelle che vendono cervello, braccia, gambe e che non stanno più zitte (da tanto tempo). Perciò insiste chi parla di silenzio delle donne interrotto dalle accademiche e ricche borghesi che ruotano attorno al giornale l’unità. Perchè negare le nostre voci e le nostre parole è il loro modo di sopravvivere ad una politica nella quale non sono rappresentative di nessun altra a parte se stesse. 

L’appello, in relazione alla storia che pubblichiamo, come sempre, è di non ricondurre le lotte personali alla richiesta di favori che tolgono dignità, autostima, sicurezza e aumentano i livelli di dipendenza. Tali lotte dovranno invece avere il merito di fare diventare rivendicazioni collettive quelle che i politici vorrebbero misurare in clientelismo e voti.

Lo chiediamo di nuovo: dove siete dunque tutte voi professioniste stipendiate, per nulla precarie, che parlate di silenzio delle donne negando le nostre parole? Incapaci di ascoltare i problemi veri? Più semplice chiacchierare del sessismo del premier senza indagare la radice del problema, ovvero senza neanche sbirciare le cause della dipendenza economica delle donne da ogni tipo d’uomo? Quando la lotta si fa dura, le dure cominciano a mancare, giusto?

Buona lotta a tutte, buona lettura e grazie alla nostra nuova sorella dal meraviglioso nick "i0 n0n p0rt0 il reggisen0" che ha voluto farci dono di questa preziosa esperienza.

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Io e mia madre 

di iO nOn pOrtO il reggisenO

Forse questo post potrà sembrare poco attinente a questo blog, ma ho pensato che un gesto di solidarietà possa essere anche condividere una propria esperienza.

Io e mia madre stiamo cercando un lavoro, part time per me [che vorrei anche frequentare l’università] e full per lei, che sta per essere licenziata causa fallimento azienda di abbigliamento.

La prima cosa che abbiamo fatto, quindi, è stato comprare il famoso giornare Porta Portese di Roma.

Inutile dire, ma forse utile ricordare, che le proposte di lavoro vengono rifiutate a lei perché troppo vecchia [ha quarantadue anni e mezzo] e a me perché non sono una ragazza di bella presenza, e allo stesso tempo troppo giovane e inesperta per svolgere ruoli da sempre relegati alle donne quali babysitter o badante.

Nel frattempo, affrontiamo tutti i mesi un affitto di ottocento euro, in un bilocale [bi perché abbiamo anche un cane che ha bisogno giustamente del suo spazio le poche ore che io non sono a casa] vecchissimo dove ti cascano le travi in testa, si rompono le finestre come niente, e le prese sono pericolose. Tra parentesi, l’altro giorno rischiavo di rimanerci attaccata.

Tutto ciò dall’opinione pubblica italiana viene vissuto in due modi diversi, sempre a mio modo di vedere: la parte che c’ha la casa sicura, il mutuo che ogni tanto si alza ma comunque nei limiti del “se pò fa” reagisce tra indifferenza e disgusto, come se la cosa non li riguardasse [ignorando la famosa legge causa-effetto cui io sono particolarmente affezionata].

L’altra parte, che comprende anche me, che può accettare passivamente le cose, cercare di tirare avanti fino a che non sarà passata per poi riaffrontare inevitabilmente un’altra crisi generale [tutto ti ritorna indietro, sempre, mi dice spesso una cara persona], oppure cerca di dare un senso al malessere convogliandolo in lotte che però rimangono un po’ fini a se stesse, a mio parere perché nessuno dà loro il giusto peso. [N.B. : Alemanno sarebbe il mio sindaco.]

Abbiamo quindi tre questioni che secondo una cosa chiamata Costituzione, sono di assoluta e primaria importanza: il diritto al lavoro, alla casa e allo studio.

Ma noi, io e mia madre, due donne, quanto diritto abbiamo a lavorare?In che misura? Nella misura della mia bella presenza e della sua età. Non abbiamo quindi nessun diritto a lavorare. Siamo discriminate esattamente come quei transessuali che non vengono accettati in un determinato posto di lavoro in quanto tali.

E io quanto diritto ho di studiare?Nella misura in cui la mia famiglia è ricca, e non lo è.

La mia famiglia [io, mamma e un cane] non è considerata povera dal governo perché guadagna una miseria incredibile, che è però considerata sopra la soglia della povertà.

E il diritto alla casa?A Roma non ti affittano più appartamenti. Ma stanze. Se sei fuori sede, preferibilmente studentessa universitaria referenziata. Se non appartieni a questa categoria, allora sono letteralmente cazzi tuoi.

Io mi sono chiesta, in questi giorni di ricerca tra casa e lavoro, se gli effetti di uccisioni, femminicidi, non siano da ricercarsi in una causa tacitamente approvata dalla popolazione, per cui io ti affitto una stanza da niente. Ma io, affittuario, sono un uomo.

Una volta un mio ex amico mi disse che era andato da una ragazza per fare sesso a pagamento. Lui non ci trovava nulla di male, anzi, le stava facendo un favore, perché era una povera studentessa universitaria che si doveva pagare la stanza.

…capite lo schifo? 

—>>>L’opera è di natalia tejera e viene da qui

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà, Scritti critici.


2 Responses

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  1. Ale says

    Non sei la sola, credimi, a cercare un lavoro che nessuno ti offre. Ad esempio spesso mi chiedono com’è possibile che non riesco a trovare lavoro, qui, nella capitale, con tanto servizi che ci sono ed è al centro, ecc. E allora mi monta la rabbia e mi dico ma è mai possibile che non ci arrivate proprio? Chi l’ha detto che una grande città offra più opportunità? Soprattutto, chi l’ha detto che Roma è una bella città? Che c’è spazio per tutti? Per me, per io non porto il reggiseno?
    E’ terribile dover leggere queste parole, di una ragazza che ha il diritto di studiare.