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Sesso e potere, chi parla e chi tace

Un pezzo dialogante con il dibattito sull’unità. Già ampiamente detto cosa penso, ma in questo articolo ci sono un paio di passaggi – soprattutto quello in cui si parla di ansia di addomesticare il femminismo radicale – che mi sembrano buoni spunti. Cose dette con eccessiva prudenza – secondo me – ma comunque buoni spunti. Da Il Manifesto:

Sesso e potere, chi parla e chi tace 

di Bianca M. Pomeranzi

Molte sono le critiche possibili alle vicende che negli ultimi mesi hanno coinvolto il presidente del consiglio. Ma solo quelle che mettono in luce la profonda connessione che esiste oggi in Italia tra la gestione del potere politico ed economico e la rappresentazione delle relazioni tra uomini e donne riescono a dare prospettiva a una materia complessa, che non può essere circoscritta alla sfera della morale, del privato o del pettegolezzo e che parla della qualità della vita e del futuro di questo paese.

Non si tratta, infatti, semplicemente di comportamenti sessuali, ma di tecniche di potere che rimandano a una riflessione approfondita sulla politica, come ha scritto più volte più volte e lucidamente Ida Dominijanni sul manifesto e come hanno argomentato Lea Melandri su l’Altro, Luisa Muraro e altre sul sito della Libreria delle Donne, Letizia Paolozzi e altre su www.donnealtro.it. Sempre sul manifesto, Tamar Pitch ha sottolineato di recente come il populismo autoritario che oggi ci governa si nutra anche della paura della libertà femminile, e per questo ha invitato gli uomini a parlare e a ribellarsi a questa misera visione della politica e della loro sessualità.

Circolano inoltre nel web sin da fine giugno commenti e appelli femministi, di cui il sito www.zeroviolenzadonne.it offre un’ampia documentazione dimostrando come il tema sia significativo per la galassia di gruppi di donne attivi a partire dal referendum per la procreazione assistita . Ad onta di tutto questo, nel dibattito mediatico in corso, le donne sono ritenute responsabili di questa deriva o perché femministe silenti o perché mogli, escort o veline di scarsa affidabilità. Negli ultimi giorni infatti, dalle colonne dell’Unità è partito un gran battage per riportare le donne in campo a difendere i loro diritti.

Potrebbe anche essere una buona cosa se animasse un vero dibattito, una rimessa in gioco del discorso su sesso e potere, una analisi approfondita e non propagandistica. Invece le analiste coinvolte non fanno parola di quello che sul tema è stato gia detto, non lo rilanciano e neppure lo contraddicono, chiamano solo a raccolta le donne in nome della democrazia. E spesso scaricano sulle spalle delle femministe un peso che va attribuito soprattutto a quel ceto politico che dagli anni ‘90 in poi ha considerato il femminismo un ingombro alle carriere di donne e di uomini o alla santa alleanza con l’area moderata del mondo cattolico. Nessuna e nessuno insomma osa rispondere alle domande delle femministe, forse perché troppo libere e scomode per il patto che continua a selezionare il personale politico maschile e femminile di oggi e di domani.

Tutti i partiti infatti, presenti o no in parlamento, vi si attengono rigorosamente, ma sembra che il Pd in questo momento pre-congressuale abbia particolare bisogno del consenso femminile, forse per far dimenticare che su tre candidati non vi è neanche una donna. Sia chiaro, non c’è nulla di paragonabile tra il sessismo e la rappresentazione delle relazioni tra uomini e donne su cui la destra e il premier hanno costruito parte della loro fortuna, e lo spirito con cui le opposizioni cercano consensi tra l’elettorato femminile. Eppure permane una grande opacità, anche nei discorsi “illuminati” che chiamano alla mobilitazione. Non sono chiare le analisi del perché siamo giunti a questo punto, né si fa parola delle risorse critiche e teoriche di cui dispone il femminismo italiano.

L’Italia infatti, sotto l’aspetto della presenza e dell’incisività delle donne nello spazio pubblico, rappresenta una anomalia all’interno della scena mondiale perché, nonostante la scarsa presenza femminile nelle istituzioni, sin dagli anni ‘70 ha avuto un femminismo che reclamava non l’inclusione delle donne negli spazi creati dagli uomini, ma una trasformazione radicale del campo della politica e delle pratiche del conflitto a partire dalla differenza sessuale. Oggi, di fronte a questo governo di destra che non esita a fare cassa sulla pelle delle donne e nell’indubbio cambio di passo che la crisi globale e l’elezione di Obama hanno prodotto, quella trasformazione è più che mai necessaria.

Varrebbe dunque la pena di avviare una riflessione più profonda sulle implicazioni dell’intreccio attuale tra sesso e potere, lo stesso intreccio da cui partì la critica femminista degli anni settanta. Facendo anche i conti con le vicende che hanno visto il femminismo cambiare nel corso del tempo. Anche nel movimento delle donne italiane il ciclo lungo della globalizzazione ha confuso il filo di un ragionamento avviato quando il partire da sé assumeva una passione radicale e una tensione rivoluzionaria, perchè la presa di parola delle donne trasformava le regole della convivenza. Dagli anni ‘80 infatti il rapporto con la politica istituzionale si è complicato e l’introduzione spesso acritica delle politiche di genere dell’Unione europea, ispirate soprattutto al concetto di parità e consone all’impostazione liberale e liberal-socialista, hanno creato forti ambiguità disperdendo la creatività delle pratiche e marginalizzando la critica femminista alla politica.

Un pensiero originale, quello del femminismo italiano, che avrebbe molto da dire anche al resto d’Europa, specialmente in un momento in cui il capitalismo globalizzato ha sconvolto l’equilibrio tra mercato e welfare e tra privato e pubblico, mettendo a nudo la necessità di rileggere la costruzione dei diritti e della cittadinanza nella democrazia del XXI secolo. Un pensiero che si muove su terreni diversi da quelli delle “politiche di genere” di derivazione anglosassone , ma che può fornire oggi gli strumenti per uscire dall’impasse che si è determinata in Italia, non solo nelle relazioni tra uomini e donne, ma nella gestione del potere tout court. A patto che lo si collochi pienamente nel campo della politica. Il “caso italiano” nasce proprio da qui: non dal “silenzio delle donne”, ma dall’ansia di addomesticare un femminismo radicale capace di trarre dalla libertà femminile una forza trasformativa degli assetti di potere tra i sessi.

Senza capire quello che è successo negli ultimi quindici anni tra femminismo e politica istituzionale non si riesce a comprendere perché oggi un premier rischi di passare indenne da uno scandalo che umilia l’intero paese. Nella scena istituzionale, la politica del sesso in Italia è come la questione della giustizia: troppo scomoda e oggetto di alleanze bipartisan. Se la campagna dell’Unità sarà capace di mettere in evidenza questa contraddizione ben venga, ma chiamando in causa tutti quelli che di fronte alla crescente “questione maschile” hanno taciuto nel corso degli ultimi anni .

Non basta “dire alle donne”, né preparare una manifestazione che rischierebbe di non toccare il nocciolo del problema. Se si vuole veramente cambiare proviamo a rispondere alla domanda di Dominijanni (Passaggio Obama, Ediesse 2009, pag. 29) “…Come si valuta di questi tempi il cambiamento? Qual è la misura del cambiamento? I soldi? Il potere? Le parole, le immagini, le narrative? Per dirlo meglio: l’ordine economico? l’ordine politico? l’ordine simbolico? O la relazione in cui si mettono l’ordine economico, l’ordine politico , l’ordine simbolico? … ”, e scopriremo che il femminismo italiano ha ancora molto da dire alla politica per uscire dal berlusconismo. 

Posted in Fem/Activism, Omicidi sociali, Scritti critici.