A napoli un tizio ha sparato ad un altro tizio, ferendolo, perchè aveva "guardato troppo a lungo SUA moglie". La comprensione dell’evento non sta nello sparo, nella città teatro della vicenda ma in quel "sua" che attesta una proprietà inviolabile. Dico questo perchè mi è capitato di leggere due deprimenti pagine su il messaggero.
La prima riepilogava alcuni dei delitti di questi giorni e affermava – giustamente – che le donne uccise per mano di un uomo sono talmente tante da raggiungere cifre che superano quelle dei delitti per mafia. Il giornalista si chiede come mai il tema non diventi più politico, perchè non interessa di più e fa parlare una psicoterapeuta che definisce il potere come un impasto di paura che vuole asservire e assoggettare, poi fa parlare giulia bongiorno che in qualche modo afferma che la legge sullo stalking sia quella che darà risultati in quella direzione.
La Bongiorno, donna di An e ora del Pdl, ha fondato una associazione che si occupa di violenza contro le donne e se la associazione in questione non è solo un fatto di facciata lei dovrebbe certamente sapere che tantissime donne muoiono quando stanno per lasciare il marito o il fidanzato. Come dire: se un uomo vive ancora con te e tu gli comunichi che lo stai lasciando e quello ti ammazza in quale tra questi particolari momenti si può fare una denuncia per stalking?
Non è un po’ pochino affidare ad una denuncia per stalking la salvezza di tante donne a fronte della enorme quantità di vittime di femminicidio? Come si può affrontare il problema senza considerare l’influenza che ha la cultura, l’educazione, l’economia, il welfare, la religione con il suo diritto naturale alla coppia etero-normata, l’eccessiva sopravvalutazione del concetto di famiglia, la condanna culturale e religiosa al diritto della donna di vivere una affettività e una sessualità libere a partire dall’uso dei contraccettivi fino al diritto a poter scegliere se essere madre oppure no, etc etc (tutte cose delle quali abbiamo parlato qui). Come si può continuare a riferirsi di sicurezza delle donne quando si fa di tutto per renderle fragili e insicure, prive di reddito, economicamente dipendenti, disinformate, addestrate a non percepire il pericolo quando ce l’hanno accanto, soggette ad un bombardamento mediatico che le vincola ad un ruolo preciso che le vuole succubi, a delegare la propria "sicurezza" ad altri, a inseguire modelli estetici e di vita che sono utili ad asservire gli uomini, siano essi imperatori o meno. Come si può pensare esaurito il ruolo della politica quando in realtà non si è neppure provato ad iniziare un ragionamento coraggioso che affronti il problema senza paura di trasgredire alle convenzioni sociali e di addentrarsi su un territorio laico dove prima della famiglia, del lavoro di cura affidato alle donne, dell’economia di un paese che si regge sulle loro braccia, ci sono le donne stesse.
Liberare le donne dalla schiavitù istituzionale è il primo passo da fare perchè ne consegua una riappropriazione delle nostre vite.
Così torniamo a quel "SUA" del quale si parlava all’inizio dove l’appartenenza viene riconfermata dopo la sfera pubblica anche in senso privato e non sto qui a dire che è la spinta egoista del primo grave errore relazionale – quello privato – a far derivare l’altro grande errore istituzionale. Dico semplicemente che anche quando le donne provano a praticare l’autogestione, l’autodifesa nelle sue diverse forme finiscono comunque per essere massacrate in termini personali, fisici, sociali, economici.
Il paragone semplice che si può fare sta nelle dimensione del rapporto tra una figlia dipendente e il suo padre padrone: egli proibirà alla figlia di cercare una sua strada e se lei lo farà comunque sarà diseredata, lasciata sola, punita, tutte le conseguenze ricadranno su di lei, non troverà alcuna agevolazione sicchè lei dovrà dimostrare più di chiunque altro di avere tempra e forza e spessore e capacità di sopravvivenza per superare le difficoltà e gli ostacoli che si frapporranno nel suo cammino tra lei e la libertà. In una società questo si traduce in minori opportunità di lavoro, di studio, di movimento, di alternative relazionali e sociali. Tutto porta le donne a ripensare le proprie scelte, a rimettere in discussione il concetto stesso di autodeterminazione per poi cedere per stanchezza e affidare alle convenzioni sociali il peso della propria esistenza.
La libertà ha un costo che va sostenuto e se lo Stato non lo sostiene allora quello che resta è una schiava che torna in una casa dove riceverà il bastone ma anche la carota, dove lei si piegherà ad "appartenere" a qualcuno pur di avere un misero tozzo di pane assieme a quell’esempio di patetica e mediocre vita affettiva – botte incluse – che un uomo le concederà.
Oltretutto, vorrei dire alla Bongiorno, come si può parlare di provvedimenti del governo a fronte del fatto che lo stesso governo non fa altro che sostenere che il nemico sta tra le persone estranee, tra gli stranieri mentre occulta abilmente il dato macroscopico dei delitti in famiglia o tra persone conosciute. La legge sullo stalking dovrebbe raccontare agli italiani che non possono continuare a perseguitare una ex moglie o una ex fidanzata quando il rapporto viene interrotto. Ma se non si interviene sui motivi che conducono un uomo a ritenere la ex moglie o la ex fidanzata di sua proprietà la legge resta solo uno strumento repressivo, proprio di una cultura securitaria che non risolve il problema ma lo accantona per un po’ e spesso arriva troppo tardi per salvare vite umane.
L’altra pagina del messaggero fa una analisi sul problema e si unisce alla consapevolezza del numero di vittime di femminicidio. Si rileva che il dato cresce a nord italia dove tutti "dovrebbero essere più civili" e in qualche modo avanza – fuori dal coro – la tesi circa la non utilità delle ronde in rapporto ai delitti commessi da uomini "di famiglia".
Poi però si impantana su una dimensione psicologica e tenta di spiegare la questione fornendo tutta una serie di giustificazioni agli uomini che ammazzano le donne. Dopo aver premesso che quella categoria di maschi ha difficoltà a considerare le donne qualcosa di più e di meglio che un possesso descrive tali caratteristiche come dipendenti da una cattiva educazione che fa risalire alla iperprotezione della madre. Sarebbe questa iperprotezione della madre verso il figlio maschio che gli darebbe diritto ad esercitare la sopraffazione persino a scuola con i compagni.
Parla di una caratteristica dello sviluppo maschile, del fatto che "il bambino a differenza della bambina all’età di due/tre anni deve staccarsi dalla madre se vuole raggiungere l’identità maschile ma questo lo renderebbe fragile e lo spinge a cercare nella vita una donna da poter dominare e possedere quasi a volersi indennizzare della perdita psicologica precoce della propria madre. E questo spiega perchè la paura dell’abbandono oppure l’insofferenza per l’autonomia femminile possa provocare risposte irrazionali e violente." Poi consola i lettori dicendo che non si tratta di un problema solo italiano.
Gira e rigira dunque è colpa delle donne e per ogni donna ammazzata bisognerebbe prendersela non con il suo assassino ma con sua madre. Una sorta di giustizia trasversale che punisce il danno all’origine per educare le future madri ad essere responsabili di quello che i loro figli – mai sotto accusa, mai adulti e mai responsabili delle loro azioni – faranno. In questa interpretazione non si dice mai che i maschi che vivono in un ambiente violento imparano da altri maschi il modello machista. Non si dice mai che non è certo la madre che educa i figli a non piangere se hanno il pene, o a essere più o meno orgogliosi della sua lunghezza. Non è certo la madre che definisce i ruoli che ogni persona, in rapporto al sesso di appartenenza, dovrà avere in casa.
Poi comunque bisogna decidersi: o il problema è la madre iperprotettiva, che quindi non abbandona il figlio ma lo opprime fino all’età adulta, oppure è la madre dalla quale ci si stacca per poi cercare un indennizzo. E se è il bambino che si stacca per cercare la propria identità perchè mai si parla di abbandono da parte della madre?
Quello che penso è che questa serie di risposte arraffazzonate non aiutano molto se non alla creazione di altri miti di freudiana memoria in un tempo in cui freud dovrebbe considerarsi defunto.
Personalmente ritengo che una madre iperprotettiva faccia male a chiunque, ma una madre iperprotettiva agisce in un contesto che varia di volta in volta e che sortisce effetti differenti in rapporto ad esso. In quel contesto si finge di non sapere che c’e’ anche un padre, un nonno, varie figure di riferimento maschili. Per quello che ne so comunque – e senza generalizzare – dalle uniche madri che ho conosciuto e che avevano quelle caratteristiche, i figli erano abbastanza pavidi e insicuri, vittime del bullismo invece che persecutori.
Rispetto all’abbandono e all’indennizzo poi sento la necessità di stendere un velo pietoso e di fare un minuto di silenzio.
Le donne non rappresentano un indennizzo nei confronti di nessuno e non rappresentano neppure una sorta di risarcimento danni per gli errori di altre donne nel ruolo di madri. La nostra responsabilità si ferma alla nostra vita, al nostro corpo, alle nostre prospettive. Continuare in questa manfrina che ci descrive gli uomini violenti come soggetti bisognosi di aiuto non sollecita in noi nessuna commozione, nessuna pietà, niente di niente.
Centinaia di donne muoiono per mano di uomini che considerano "SUE", di loro, di proprietà, cose, oggetti, pezzi, stucke, come i nazisti consideravano gli ebrei. L’anaffettività, l’egoismo e la totale indifferenza stanno alla base della personalità di uomini che stuprano o uccidono spinti da una pulsione o da una disperazione che vivono perchè privati di una "cosa" che sentono propria. Come agisce un bambino privato del suo giocattolo.
Non c’e’ empatia, non c’e’ affetto, non c’e’ amore se non per se stessi. E non importa se questi uomini sono stati picchiati da piccoli oppure no. Tutt* chi più o chi meno abbiamo vissuto i nostri bravi traumi ma questo non ci autorizza a fare del male agli altri.
Come dire che borghezio, salvini e gentilini sono razzisti e vogliono togliere di mezzo i rom perchè hanno avuto una infanzia difficile.
Insistere poi nella patologizzazione del femminicidio è un gravissimo errore. E’ la strada che in tribunale porta dritto verso l’infermità mentale. Una giustificazione sociale, un modo ulteriore per dire che il male comunque risiede lontano da noi, in famiglie difettose in contesti che non funzionano.
Quando capiremo che sono i nostri uomini, nelle nostre famiglie, ad avere dei problemi, e che la concezione sbagliata dei rapporti tra uomini e donne è interiorizzata e risiede ovunque, in ogni luogo, in ogni contesto, comprese le redazioni dei quotidiani che spesso qui critichiamo, allora avremo fatto un grosso passo avanti.
D’altronde, visto che vi piace tanto la psicologia d’accatto, un detto dice che l’accettazione di un problema è il primo passo verso il superamento del problema, no?
—>>>La donna con collare a spasso con il suo padrone è una immagine diffusa dalle femministe della turchia e viene da qui.
Quel giornalino è delirante.
Stando all’articolo tutti i nerchiadotati dovrebbero essere costituzionalmente incapaci di intendere e volere, ma solo se beccati eh!
Sulla visione di fikasicula del ventriloquio maschile non sono d’accordo.
Secondo me quelle madri sono delle perfette deficienti, proprio come i padri che dicono le stesse cose.
Anzi, lo sono di più perchè raccontando le favolette dell’uomo che non deve piangere mai sviliscono in prima battuta se stesse.
Che la colpa risieda nella società patriarcale e fallocentrica è ovvio, ma come la violenza della vittima che diventa a sua volta aggressore è sempre in parte dipendente dall’indole della persona così anche la madre educata ad essere femmina sottomessa ha un pizzico di responsabilità se perpetua questo addestramento della prole.
hai presente una ventriloqua? ecco: questo è una donna che parla usando parole decise da altri. le madri sono spesso veicolo di cultura patriarcale, certo. ma si tratta di cultura patriarcale. volere addebitare l’origine del problema alle donne, come fossero cattive in se’, non in grado di educare i maschi come si deve, è veramente paradossale.
le donne sono schiave e obbediscono ad una cultura precisa. così ne interpretano gli schemi, li interiorizzano e li riapplicano ben attente a compiacere il maschio, marito, fratello, padre e quando cresce anche il figlio, che hanno accanto.
non è una assoluzione ma è un quadro d’insieme che descrive più realisticamente il contesto. dopodichè mi sfugge come mai tu non abbia trovato manichea l’interpretazione di un giornalista che descrive le origini del male negli uomini attribuendone tutta la responsabilità alle donne. i maschi dove stanno? i mariti? i padri? tutti gli uomini che attraversano la vita di una donna dove stanno? facciamo tutto da sole?
personalmente, e anche a nome di molte donne che conosco, posso dirti con certezza che non è così.
perciò che ti devo dire… abbiamo avuto esperienze diverse 🙂
“Non si dice mai che non è certo la madre che educa i figli a non piangere se hanno il pene, o a essere più o meno orgogliosi della sua lunghezza. Non è certo la madre che definisce i ruoli che ogni persona, in rapporto al sesso di appartenenza, dovrà avere in casa.”
sicuro?
per esperienza personale e non solo non credo.
non si conoscono mamme che anche solo per far smettere di piangere il maschietto gli ricordano il loro essere maschi e quindi diversi dalla femmine.
leggo spesso con attenzione quanto scritto sul blog ed è la prima volta che sono colpito negativamente da una frase perchè mi sembra un tantino manichea.
per il resto vi ringrazio e continuò a leggervi e a guardare da un altra angolazione