Quattro parole d’ordine: deregulation, federalismo (fiscale), liberalizzazione, privatizzazione.
Abbiamo già stabilito che la questione delle gabbie salariali (per il privato) è superata nei fatti: non solo perchè gli stipendi sono effettivamente differenti da nord a sud ma anche per via dell’accordo dello scorso gennaio tra sindacati (escluso cgil), governo e confindustria che arriva alla neutralizzazione del contratto unico nazionale per tornare indietro nel tempo alla "contrattazione decentrata" ovvero a contratti che variano da luogo a luogo, a discrezione dei datori di lavoro, sulla base della produttività.
La lega rilancia e parla di gabbie salariali nel pubblico: impiegati statali, scuole, sanità, polizia, carabinieri, esercito…
Gli stipendi del pubblico sono blindati dappertutto (per ora) perchè i sindacati non possono perdere il consenso di ampi settori del pubblico impiego. Confindustria non ha ragione di farsi altri nemici dato che ha ottenuto di poter agevolare industriali e imprenditori nello sfruttamento dei lavoratori e anche il centro destra è assai prudente. Osa solo brunetta con il suo federalismo contrattuale che poi significa gabbie salariali tradotto in brunettese.
Quello che però non emerge dalle varie discussioni è che il pubblico impiego langue da tempo immemore. Gli ultimi concorsi si sono fatti quando cristo fu messo in croce e per il resto si provvede alle mancanze in organico attraverso le esternalizzazioni. Non è forse anche per questo che si è dato inizio a quella gran paraculata dei lavori a progetto?
Sfido chiunque tra voi a non essere stati protagonisti – voi o qualche parente e amico – di un rapporto "flessibile" con le pubbliche amministrazioni. Ciò avviene non solo per incarichi di utilità sociale ma anche per attività sostanziali della vita delle pubbliche amministrazioni o delle pubbliche mansioni. Ecco dunque già pienamente realizzata la privatizzazione di interi pezzi dello stato. I comuni sono diventati aziende, costantemente in perdita perchè non pagano le commesse ai fornitori. Le province non si capisce bene cosa facciano e le regioni sono diventati governatorati con capacità di gestione del territorio in materia prima esclusivamente statali.
Il lento cammino che parte dallo smantellamento della rete di comunicazioni pubblica, telecom allora sip e le poste, alle ferrovie dello stato ad una serie infinita di enti e istituti di ogni tipo, finisce nel decentramento dei poteri (tranne che per noi incapaci del sud che meritiamo un altro re accentratore del regno delle due sicilie), nella deregulation, nel federalismo fiscale, nella privatizzazione.
Prendi la sanità, prima di competenza nazionale e ora regionale, che nel corso degli anni si è dissanguata in spese di risarcimento delle prestazioni dei laboratori, dei centri, degli ambulatori convenzionati. Una attività si intende convenzionata quando è privata e si fa pagare la parcella con fondi pubblici invece che a partire da chi può permettersi di pagare i loro prezzi. La questione non è mai migliorata anzi è via via sempre più peggiorata. Il governo nazionale, e ora le regioni, hanno deciso di finanziare anche la sanità privata esattamente come sono stati dirottati finanziamenti alle scuole private. Finanziare il privato con i soldi pubblici significa che tu, povero operaio, con i soldi che ti vengono sottratti in busta paga, paghi ad un figlio di papa’ la possibilità di andare in clinica o in un istituto privati a tue spese mentre lui non sborsa – spesso – neppure un euro per garantire a te e alla tua famiglia il diritto ad una sanità pubblica e gratuita e ad una scuola pubblica e per tutti.
Le quattro parolone usate sopra vanno infatti di pari passo con lo smantellamento dello stato sociale.
La scuola si sta sempre più dirottando verso quella direzione. Non da ora, perchè il progetto di smantellamento del pubblico parte da molto più lontano. La scuola per esempio comincia ad essere affossata con l’allora ministro berlinguer (non il defunto, buonanima, ma l’altro). La gelmini sta semplicemente dando il colpo di grazia e quello che viene fuori lo sapete. La scuola pubblica, così come la sanità, sono in fase di dismissione. Non resta quasi più niente e per la lega – che vicina al popolo non è mai stata – è uno scherzo affondare il coltello ed esigere che ogni regione, ogni provincia, ogni città, ogni istituto scolastico decida chi assumere, quanto far pagare agli alunni, la provenienza degli insegnanti e degli alunni, le materie da svolgersi secondo l’ideale formativo del duce, doge, dux, fascista di quartiere.
Lo smantellamento dello stato sociale che sta dietro l’accellerazione alla privatizzazione è una cosa inarrestabile a meno che non si trovi un equilibrio e non si guardi agli stati uniti e alle conseguenze delle scelte rovinose che per esempio si sono fatte dopo l’11 settembre.
Così come in america, da noi si usa la shock economy – l’economia del neoconservatorismo o del capitalismo selvaggio applicata a seguito di shock e politiche della paura – con quasi un decennio di ritardo. Per loro furono le due torri e per noi lo sbarco degli stranieri morti di fame. Per loro fu la guerra e per noi fu il terremoto in abruzzo, la monnezza e LA CRISI, sbandierata come strumento di speculazione per cartolarizzazioni di beni pubblici, delocalizzazioni di aziende private con supporto dello stato, più a garanzia del business del privato che non della necessità di ammortizzatori sociali per il lavoratore. Sta di fatto che in entrambi i casi – l’america di bush e l’italia del nostro più pacchiano berlusconi – le politiche sono veramente simili. Si parte dalla militarizzazione dei territori, poi la privatizzazione della sicurezza – da loro la giustizia fai da te e i mercenari per le guerre e da noi le ronde – e si continua con la privatizzazione delle prigioni per gli immigrati (i cie – centri di identificazione ed espulsione – dove a gestire non ci sono agenti di custodia pubblici – ma associazioni private convenzionate con lo stato), si parte dalla sanità e si arriva alla privatizzazione delle scuole come a new orleans dopo l’uragano katrina.
Da noi premono per le assicurazioni: un settore che non va perchè la gente giustamente non si fida. Premono le associazioni cattoliche per entrare a gestire la sanità pubblica. Premono affaristi e speculatori per gestire i territori, quelli a demanio pubblico, come pare a loro. Premono quelli che privatizzano un bene necessario come l’acqua. Premono quelli che gestiscono in modo privato tanti beni comuni, la cultura, il sapere, i libri con i loro copyright funzionali ai monopoli economici, quelli in condivisione nelle biblioteche (uniche sacche di resistenza in un panorama tristissimo), i beni culturali, i monumenti, le piazze, i marciapiedi, l’aria, i nostri corpi, la nostra sessualità, i nostri uteri, le nostre vite piegate all’unica mansione di consumatori ubbidienti, i semi da coltivare, le vite umane, i risultati della sperimentazione scientifica, i farmaci vitali per sopravvivere, etc etc etc. Premono un po’ tutti e premi che ti ripremi scommetto che presto ci troveremo in piazza all togheter, disordinatamente, compresi quelli pagati dallo stato per garantire il dis-ordine pubblico che a quel punto non lo garantiranno più. Gabbie salariali per il pubblico vuol dire tante cose: significa anche che presto l’ufficiale di ronda sarà più potente del poliziotto di quartiere e il poliziotto di quartiere percepirà uno stipendio sulla base del territorio in cui andrà a lavorare.
Vuoi vedere che a sud non rimane più nessuno e appaltano la sorveglianza del territorio direttamente alla mafia, alla camorra e alla ‘ndrangheta? Almeno quelli avranno il loro tornaconto…
NOTA BENE: gli operai della INNSE hanno vinto. Salva l’azienda e i posti di lavoro. Come dire: tutto quello che è descritto sopra deve fare i conti con i sovversivi che da ora in poi non si fermeranno a subire passivamente tutto quello che accade sulla loro pelle. Che la crisi la pagassero i ricchi! Che i pruriti di speculazione, arricchimento e privatizzazione li pagassero in costi economici invece che in costi umani e sociali.
A proposito di lavoro, non avete la sensazione che il lavoro ormai sia una sorta di vincita alla lotteria? E chi sta dentro vi rimane, mentre chi sta fuori… tale rimane?
Anche mettere su un’impresa e difficile. Anche se paghi di tasca tua è difficile. Mi dite, per favore, cosa deve fare una persona per trovare un lavoro che non sia cameriere il fine settimana a 50 Euro? O operatore di call center che ogni santo giorno si deve sorbire le male parole delle persone?
Le gabbie salariali nel pubblico sono assolutamente irrealizzabili e lo sanno bene: andrebbero imposte con una legge che nel giro di un anno sarebbe dichiarata incostituzionale.
Invece se nel privato le impongono con un accordo come quello firmato dai padroni e dai loro sgherri CISL e UIL non ci sono mezzi legali e restano solo gli scioperi.
La CGIL deve rendersi conto che le speranze di unità sindacale sono finite da quarant’anni, serve unità d’azione con i COBAS, RdB, SDL…
Il primo passo è uscire dalle RSU in posizione di forza (la CGIL resta sempre il primo sindacato quasi ovunque) e premere per cambiare l’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori al fine di dare a tutte le organizzazioni sindacali i diritti del Titolo III.Il privilegio garantito solo a chi si mette sotto l’ala protettrice delle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva è osceno e dà al datore il potere di accreditamento delle organizzazioni sindacali titolari di diritti all’interno dell’azienda .
Nel frattempo bisogna ricordare a tutti che CISL e UIL sono avversari ricordando ai precari che se sono ridotti ad andare avanti con contratti allucinanti rinnovati anche settimanalmente, chiamate a gettone e privi di tutele (maternità e malattia su tutte) devono ringraziare i passacarte di CISL e UIL che – come sempre – hanno firmato qualsiasi cosa pur di accaparrarsi vantaggi personali (basta vedere dove finiscono i loro ex leader) e di organizzazione.
E basta anche con quella cazzata del concertone del primo maggio per piacere.