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Qualche settimana fa la cassazione ha prodotto una sentenza che stabilisce che il saluto romano è un reato. Il testo qui. Potete rileggerla sotto senza i nomi delle persone coinvolte.
Per inciso, a noi non serve la sentenza per sapere che ogni manifestazione fascista e razzista non dovrebbe esistere in uno stato che si definisce democratico. Affermiamo anche che, lungi dall’affidare qualunque tipo di delega, non ammettiamo nessun’altro tipo di manifestazione pubblica di fascismo e razzismo (come le ronde estremiste di destra). Comprese quelle che riguardano personaggi che rappresentano i cittadini nelle istituzioni.
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Cassazione – Sezione prima – sentenza 4 marzo – 17 giugno 2009, n. 25184
Presidente Chieffi – Relatore Cavallo
Ricorrente IMPUTATO
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, IMPUTATO è stato giudicato
colpevole del reato p. e p. dall’art. 2 D.L. 26.4.93 n. 122, convertito
con modificazione nella Legge 25 giugno 1993 n. 205, «per avere,
all’esterno dello stadio “Friuli” di Udine, prima dell’incontro di
calcio Udinese – Hellas Verona, compiuto manifestazioni esteriori
(saluto romano) proprie delle organizzazioni, associazioni, movimenti o
gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o
alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; fatto
accertato in Udine il 9.12.2001».
La Corte di Appello di Trieste, ritenuto incontestato il fatto storico
addebitato al IMPUTATO, riconosciuto dall’agente AGENTE come uno dei
soggetti più attivi all’interno di un “plotone” di tifosi veronesi
sprovvisti di biglietto, precisando che lo stesso aveva seguitato a
fare il saluto romano (documentato anche dai fotogrammi versati in atti
dal P.M.) per tutta la durata del corteo e richiamato un precedente
giurisprudenziale, sia pure risalente nel tempo (Sez. 1, sentenza n.
11943 del 4/10/1982, Rv. 156667), sulla ravvisata sussistenza della
fattispecie contestata in caso di “saluto romano” o “saluto fascista”,
rimandando tale gesto, per comune nozione storica, all’ideologia
fascista, e quindi ad una ideologia politica “sicuramente non
portatrice dei valori paritari e di non violenza, ma, al contrario,
fortemente discriminante ed intollerante”, ha valutato come scarsamente
credibile la versione dei fatti resa dal TESTE TESTE, secondo cui
tutto sarebbe avvenuto in un clima giocoso, quale usualmente si
presenterebbe in occasione di ogni partita di calcio.
Tale
prospettazione, invero, secondo la concorde valutazione dei giudici di
merito, trovava chiara smentita nel fatto che, in occasione di
quell’incontro di calcio, non vi erano stati solo dei blandi spintoni
tra tifosi e Polizia, ma quest’ultima, vistasi incalzata e fatta
bersaglio di lancio di oggetti, per riuscire ad avere la meglio e
quindi bloccare la sommossa incipiente di quelli che, seppur privi di
biglietto, volevano comunque entrare nello stadio, aveva dovuto
iniziare la carica a seguito della quale, come riferito dal TESTE TESTE “è iniziata la battaglia”. A fronte di una siffatta
ricostruzione, ad avviso dei giudici di appello, non poteva attribuirsi
alcun credito al TESTE TESTE, il quale aveva fatto menzione di un
clima di distensione, oggettivamente incompatibile con i violenti
tafferugli che in quella circostanza si erano verificati, anche perché
non poteva ritenersi dimostrato l’assunto secondo cui il gesto
dell’imputato sarebbe stato compiuto in “frangenti temporali totalmente
estranei a quelli dei tafferugli”.
Precisava altresì la Corte,
richiamando un passaggio argomentativo della sentenza di primo grado,
che la tesi difensiva secondo cui il IMPUTATO non avesse consapevolezza
della valenza del suo comportamento non appariva seriamente
prospettabile, tenuto conto che l’imputato, come riferito dal teste
teste, era già stato segnalato come elemento di spicco della tifoseria
ultrà veronese e che appariva pertanto difficilmente credibile che egli
si fosse indotto a fare il saluto romano con mero intento scherzoso.
2. Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato chiedendone l’annullamento:
– con il primo motivo di gravame, per erronea applicazione della legge
penale, in quanto: a) la norma incriminatrice contestata richiede,
secondo un costante orientamento giurisprudenziale ed anche in ragione
delle sopravvenute modificazioni apportate ad analoghe fattispecie
penali (art. 3 l. 645/1975), un quid pluris rispetto al gesto compiuto,
concretamente idoneo a condizionare la volontà dei terzi e ad indurli a
commettere condotte discriminatorie, insussistente nel caso in esame;
b) risulta erroneo il convincimento espresso dai giudici di appello
secondo cui non sarebbe richiesto un dolo specifico, essendo
sufficiente, invece, la sussistenza di un dolo generico; c)
l’insussistenza in ogni caso nella condotta del ricorrente
dell’elemento soggettivo, attesa la natura esclusivamente scherzosa del
gesto e la obiettiva impossibilità di attribuire allo stesso una natura
discriminatoria;
– con il secondo motivo di gravame, per vizio di motivazione, con
riferimento: a) alla ritenuta collocazione dell’imputato all’interno di
un “plotone” di tifosi sprovvisti di un biglietto di ingresso; b)
all’individuazione del momento in cui sarebbe stata compiuta la
condotta incriminata come ravvicinato e non invece antecedente ai
disordini con le forze dell’ordine; c) alla ritenuta inattendibilità
del TESTE TESTE; d) all’assunto secondo cui “il saluto romano” sia
ricollegabile al fascismo, movimento politico portatore di un’ideologia
non democratica; e) all’assunto, del tutto illogico, secondo cui
essendo il IMPUTATO conosciuto alle forze dell’ordine come un elemento
di spicco della tifoseria veronese, ed essendo detta tifoseria
considerata politicamente orientata “a destra”, per ciò solo doveva
ritenersi il ricorrente certamente consapevole della portata
discriminatoria del suo gesto.
Motivi della decisione
3.1 – L’impugnazione proposta nell’interesse del IMPUTATO è basata su motivi privi di fondamento e va quindi rigettata.
3.2 – Preliminare sul piano logico risulta l’esame del secondo motivo
di gravame, in quanto con esso, attraverso la prospettazione di un
vizio di motivazione, la difesa del ricorrente intende contestare la
ricostruzione del fatto compiuta da entrambi i giudici di merito e
segnatamente la circostanza che la “manifestazione esteriore” che
l’imputato ha indiscutibilmente posto in essere – il saluto fascista –
sia stata compiuta allorquando costui si trovava all’esterno dello
stadio, unitamente ad altri tifosi, prima della partita di calcio tra
l’Hellas Verona e l’Udinese e poco prima che il predetto gruppo di
tifosi, privi del biglietto d’ingresso, iniziasse un fitto lancio di
oggetti all’indirizzo delle forze di polizia, che si opponevano al loro
ingresso nello stadio.
Orbene, se si considera che la ipotesi di manifesta illogicità della
motivazione, secondo l’orientamento giurisprudenziale assolutamente
consolidato dal quale non vi è ragione di discostarsi, sussiste “quando
il giudice di merito, nel compiere l’esame degli elementi probatori
sottoposti alla sua analisi e nell’esplicitare, in sentenza, l’iter
logico seguito, si esprima attraverso una motivazione incoerente,
incompiuta, monca e parziale” nessun profilo di illegittimità può
fondatamente ravvisabile nel caso in esame, in quanto la indicata
ricostruzione del fatto, si ricollega nel percorso argomentativo svolto
dai giudici di merito, non già ad illazioni indimostrate ed illogiche,
ma alle dichiarazioni del teste TESTE, ritenute pienamente attendibili,
che aveva riferito come in occasione della partita si era formato come
“una specie di plotone di tifosi” che reclamavano per poter entrare
allo stadio, e che all’interno di esso, vi era pure il IMPUTATO, il
quale aveva seguitato a fare il saluto romano “per tutta la durata del
corteo”, che veniva disperso dalle forze dell’ordine, avendo i “tifosi”
iniziato un fitto lancio di oggetti all’indirizzo degli agenti che,
come i testi TESTE E TESTE, effettuavano il servizio d’ordine.
3.3 – Così definito il contesto spazio-temporale della condotta
materiale ascritta all’imputato, risultano prive di fondamento anche le
deduzioni difensive sviluppate con il primo motivo di gravame, con il
quale si contesta la riconducibilità del fatto contestato alla norma
incriminatrice e più specificamente la sussistenza dell’elemento
soggettivo del reato.
Esclusa infatti dai giudici di merito, sulla base delle ricordate
deposizioni testimoniali, la natura asseritamene scherzosa del gesto
posto in essere dal ricorrente – compiuto lo si ripete, in un luogo
pubblico, nel quale erano confluite numerose persone, “destinatarie”
del “saluto romano” lungamente ripetuto dall’imputato – nessun profilo
di illegittimità appare fondatamente ravvisabile nella sentenza
impugnata, laddove ha ritenuto sussistenti nella condotta ascritta al
IMPUTATO, tutti gli elementi, sia oggettivi che soggettivi, costitutivi
del reato contestato.
Immuni da vizi logici o giuridici risultano, in primo luogo, le
argomentazioni sviluppate dai giudici di appello, laddove sostengono
che il “saluto romano” costituisce una manifestazione esteriore, che
rimanda, per comune nozione storica, all’ideologia fascista, e quindi
ad una ideologia politica “sicuramente non portatrice dei valori
paritari e di non violenza, ma, al contrario, fortemente discriminante
ed intollerante”, ad un regime totalitario che ha emanato, tra l’altro,
leggi di discriminazione dei cittadini per motivi razziali (in tal
senso, con riferimento ad una fattispecie non dissimile, si veda Cass.,
sez. III, sentenza n. 37390 dell’11 ottobre 2007).
Né hanno pregio le deduzioni difensive svolte in ricorso, con le quali,
anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza formatasi con
riferimento alla fattispecie di cui all’art. 5 legge 20 giugno 1952, n.
645, si sostiene che la condotta del IMPUTATO non potrebbe venir
sanzionata non avendo travalicato i limiti dalla libera manifestazione
del pensiero, tutelata dall’art. 21 Cost.
Ed invero, contrariamente a quanto suggestivamente adombrato in
ricorso, il IMPUTATO non è stato condannato in quanto, con la sua
condotta, ha manifestato l’opinione di condividere o comunque provare
un sentimento di simpatia per gesti e simboli propri del disciolto
partito nazionale fascista, ma perché ha compiuto una manifestazione
esteriore – il saluto fascista – propria o usuale di organizzazioni,
associazioni o gruppi di cui alla l. n. 205 del 1993, la quale, nel
contesto e nell’ambiente in cui era stata compiuta, era non solo idonea
a provocare adesioni e consensi tra le numerose persone presenti, ma
era inequivocamente diretta a favorire la diffusione di idee fondate
sulla superiorità o sull’odio razziale od etnico. Al riguardo, del
resto, non è superfluo rammentare che questa Corte (Sez. 5, Sentenza n.
31655 del 24/8/2001, Rv. 220022; Sez. 3, Sentenza n. 37581 del
3/10/2008, Rv. 241071) ha ritenuto manifestamente infondata la
questione di costituzionalità dell’art. 3 L. 13 ottobre 1975, n. 654
(modificato dal D.L. 24 aprile 1993, n. 122, conv. con modd. in L. 25
giugno 1993, n. 205 nonché dall’art. 13 L. 24 febbraio 2006, n. 85)
laddove vieta la diffusione in qualsiasi modo di idee fondate sulla
superiorità o sull’odio razziale, per asserito contrasto con l’art. 21
Cost., in quanto la libertà di manifestazione del pensiero e quella di
ricerca storica cessano quando travalicano in istigazione alla
discriminazione ed alla violenza di tipo razzista, opportunamente
rimarcando, tra l’altro, come l’incitamento alla discriminazione o alla
violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ha un
contenuto fattivo di istigazione ad una condotta che realizza un “quid
pluris” rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali.
Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p. in ordine alla spese del presente procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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