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Uguaglianza come annessione coatta. Chi attribuisce (o toglie) “valore” alle donne?

In un librone di psicologia dinamica è scritto che le modalità di relazione tipiche in ogni contesto sociale sono fondamentalmente due e l’autore le sintetizza in una teoria detta "dei giochi". Ci sono i giochi a somma zero. Quelli per cui si compete per un obiettivo fisso e nei quali si vince sconfiggendo l’altr@. Fa diversi esempi tra i quali quello della competizione fra maschi di un branco di mammiferi sociali per il possesso delle femmine. Un gioco a somma zero è la lotta per bande giovanili, per etnie, per generi (maschio etero contro tutti gli altri), e via così. Si persegue un massimo vantaggio che consiste nel mors tua, vita mea.

Poi ci sono i giochi a somma non zero. Si ottengono a partire da "una mescolanza tra rivalità e cooperazione". La rivalità si traduce in un vantaggio per entrambi. L’ammontare del premio non è fisso come nel caso precedente ma si incrementa attraverso la cooperazione-rivalità. Un meccanismo di relazione che può spiegare questo sistema è il baratto. Il libro lo spiega come quel patto tacito che avviene quando mi ricordo di pulire il pianerottolo davanti la porta del mio dirimpettaio sperando che quello pulisca il mio quando io non posso farlo. Il baratto è un incrocio che funziona anche tra persone che possono offrire contributi diversi, ciascuno a partire dalle proprie possibilità.

Scrive il libro: "L’aspetto competitivo del baratto riguarda la negoziazione circa il valore dei beni che vengono scambiati. Qui i contraenti hanno un interesse (cooperativo) in comune: concludere l’affare. Hanno anche però un interesse (competitivo) a porsi l’uno contro l’altro: ciascuno deve trarre il vantaggio massimo dalla situazione a scapito del vantaggio dell’altro." L’evoluzione storica del baratto è la compravendita.

Partendo da questo presupposto e ben sapendo che in ogni forma di baratto si gioca un po’ al "futti futti ca diu pirduna a tutti" (fotti fotti che dio perdona tutti). Sapendo cioè che c’e’ sempre una parte, o entrambe, che provano a ricavare quanto più è possibile dalla transazione, proviamo ad analizzare attraverso esempi concreti come si svolgono questo genere di accordi.

Facciamo finta che io sono un acquirente, un barattante, una cosa del genere. Se voglio ricavare tanto dalla transazione mi interesserà sminuire il "valore" delle azioni, dei contributi, barattati. Ovvero posso sinceramente pensare che il "valore" dei contributi barattati siano non equivalenti a quelli che io metto sul piatto dello scambio. In quel caso il baratto non funzionerebbe. Non si concluderà e se si arrivasse ad una conclusione ci sarà sempre una parte che denuncerà di essere stata sottovalutata.

Di contro se io sono colei che prova a coesistere, vende o baratta azioni o contributi sociali di vario genere mi interesserà provare ad innalzare il "valore" di quello che offro perchè il baratto sia ad armi pari, perchè sia onesto, perchè ci sia una dimensione dello scambio che non lascia me assolutamente frustrata. Stiamo parlando in questo caso di dinamiche di relazione che già consentono qualche forma di rivendicazione. 

Nella società abbiamo spesso esempi di gioco a somma zero, in cui esiste un predatore e una preda, uno schiavista e una schiava, che non si trasformeranno mai in un baratto a meno che la preda o la schiava non rivendichi con forza lo spazio di contrattazione a partire dall’attribuzione di un valore.

E’ accaduto con i lavoratori, prima schiavi, poi schiavi minimamente retribuiti, poi, con il riconoscimento del *valore* della forza lavoro nelle fabbriche e nella società economica, persone con contratti, diritti, doveri, in rapporto al datore di lavoro a partire dal livello, dai rischi, dalla quota di contributi che ciascuno è in grado di dare all’impresa.

E’ accaduto con gli stranieri, i soggetti di altre religioni, svalutati e dunque sconfitti a partire da un gruppo dominante fino a che non c’e’ stato un sommovimento sociale che ne ha permesso in qualche modo la emancipazione.

E’ accaduto con i gruppi glbtiq, anche loro passati attraverso la svalorizzazione persino certificata in quanto malattia fino ad arrivare all’attuale diritto di esistenza che spesso però non corrisponde ai diritti civili acquisiti.

E’ accaduto con le donne: ci hanno detto che non avevamo un’anima, che eravamo malate e psichiatrizzabili se esigevamo cose diverse da quelle che padri e mariti ci imponevano, che non avevamo facoltà di partecipazione alcuna alla vita pubblica fino a che non ci hanno concesso il diritto di voto, e parliamo dell’altro ieri ovvero del 1946 per l’italia e poco prima in altre nazioni occidentali. Fino a che abbiamo potuto parlare di noi, della nostra sessualità, della insoddisfazione legata alle prospettive che ci venivano *concesse*. Anche in questo caso, come in tutti gli altri, la battaglia continua ad esistere su un piano che vede da un lato una concezione predatoria evoluta e ipocrita delle relazioni – prendo il massimo concedendo il minimo – e dall’altro il tentativo dei soggetti depredati di diritti di mostrare con forza che quel valore utile e paritario al raggiungimento di un vero rapporto di cooperazione non è mai stato raggiunto. 

Mettiamoci nei panni dei predatori. Facciamo finta che essi siano a capo di un governo e che stiano insistendo su una politica dello stato sociale che ha bisogno del lavoro gratuito, di cura e in casa, delle donne come elemento chiave di ammortizzazione sociale. Facciamo anche che bisogna continuare a sponsorizzare la natalità perchè senza nuovi nati non c’e’ sufficiente consumo e manodopera a basso costo e la politica economica che poggia tutte le sue speranze nel capitalismo (il predatore per eccellenza) ciclicamente (basta leggersi un buon libro di storia per saperlo) rischia di dover abdicare alle nazionalizzazioni.

Per ottenere che le donne (ma lo stesso vale per i gay, le lesbiche, tutti coloro cioè che non partecipano ordinatamente alla costruzione del modello sociale così come l’ho descritto) siano pre-disposte ad un baratto che somiglia tanto ad un gioco a somma zero la prima cosa da fare è abbassarne il valore, ridurlo alla peculiarità "decorativa", a quella di "anestetico antistress" o ai semplici accessori biologici, la "disponibilità" di elementi attrattivi per l’uomo e di un apparato riproduttivo. Si tratta di una svalutazione oggettiva, della limitazione delle libertà individuali. Non si tratta di "senso di inferiorità" vittimista. E’ un fatto, non una paranoia.

E’ quello che si fa quando uno speculatore tenta di acquistare immobili a basso costo. Si parte dalla svalutazione del terreno, dell’edificio, diventa un dis-valore persino la etnia e le condizioni economiche dei vicini di casa. C’e’ chi prospera lasciando che una zona delle città degradi fino in fondo per poi calarsi come un falco ad acquistare tutto quello che viene messo in svendita.

Lo stesso vale nelle relazioni umane. Dire di un gay che è malato equivale a diminuirne il valore, a istigare omofobia, a farlo sentire in debito e infine a punirlo con una politica economica e finanziaria che reprime i comportamenti sociali *non consoni* e premia quelli *utili*. Pensate questa cosa a partire dalle pensioni. Quando si parlò dei Pacs o dei Dico uno degli argomenti di opposizione principale era l’ereditarietà dei beni o la reversibilità della pensione. Niente diritti civili e minore la spesa sociale.

Dire continuamente, fino all’ossessione, che di una donna tutto ciò che si può prendere sta a metà del suo corpo, tra le ossa iliache e i femorali, equivale ad una eterna, insistente, molesta, svalutazione. Ma il sessismo non si compone soltanto di questo evidente sistema di relazione.

C’e’ un sessismo istituzionale che quando emette una sentenza per condannare uno stupratore pare che lo faccia spinta da quel misto di pietà e commiserazione che spetta ai soggetti "deboli". Esprimersi su una donna che ha subìto violenza, massima espressione di quel tratto predatorio, o su un cucciolo di foca in via di estinzione è più o meno la stessa cosa. Bisogna che la donna violentata faccia tenerezza, altrimenti si becca gli insulti direttamente dalla bocca del giudice. Così è accaduto con la condanna di un uomo che ha preteso "troppo sesso" da sua moglie, creando così un precedente basato sulla quantità di sesso che sarebbe giusto *pretendere* dalla coniuge prima che questa possa denunciarlo per stupro. Così è accaduto anche nel caso dello stupro di capodanno. Lui condannato in primo grado e a lei si riserva la lavata di capo così sintetizzabile: *se non gli ridevi in faccia, gli dicevi che ce l’aveva grosso e che era un toro virile lui non ti avrebbe stuprata*.[leggi i dettagli QUI]

C’e’ poi un sessismo che diventa regola di comportamento. E’ quello che parte dalla convinzione che tutto è ottenuto, che le donne non hanno di che lamentarsi e che qualunque forma di rivendicazione sia da considerarsi "vetero". Tale tipologia di sessismo si può trovare ovunque, tra donne e uomini, tra colleghi e amici, tra partner e compagni di avventure politiche e si esprime nell’attribuire principalmente alle femministe la pretesa di una parità sociale e relazionale tout court. Smentire questa prospettiva rivendicando una collocazione differente – ma NON minore – a partire dalle proprie diversità, contraddire certezze cristallizzate in coloro che comprendono una causa mai fino in fondo e solo per descrizione generica di stereotipi in negativo, significa spesso doversi scontrare con un altro da se’ che non ti vuole vedere per quello che sei.

Un dialogo tra un uomo che in buona fede afferma dei concetti reazionari e una donna che viene antipaticamente definita "vetero" può riassumersi così:

Lui: – "Noi non siamo diversi. Noi siamo uguali. Vedi che non sono sessista?"

Lei: – "Bello stabilire l’uguaglianza a partire da se’ e negando
le diversità. Fai conto che lo stesso ragionamento lo applichi al tuo
rapporto con gli stranieri. Questa non è uguaglianza. E’ annessione
coatta." 

L’errore sta nella visione egocentrica delle cose. E’ una percezione distorta che parte e finisce esclusivamente con se stessi. E’ una forma di giustificazione per un egoismo che possiamo vivere ovunque, a partire dalle persone che abbiamo più vicino. L’egoismo sarà tanto più grande quanto meno sarà il valore che attribuiremo alle persone. La perdita di valore corrisponde alla perdita di aspettative di cooperazione. Se una delle due parti viene vista e descritta come non valorizzabile sul piano dello scambio, ovvero ne possiamo fare perfettamente a meno, non ci sarà interesse al baratto, dunque il passo successivo è augurarsi o perseguire la sua morte sociale.

Ascoltare e accettare la diversità è uno dei principali presupposti per costruire relazioni basate su reali attribuzioni di valore, dove il baratto diventa corretto e dove la crescita diventa reciproca.

Perciò una delle prime cose da dire in ogni rapporto sarebbe: "Tu non sei come me. Iniziamo da qui." 

Le persone invece stanno in relazione tra loro utilizzando meccanismi di potere non consensuali. La sentenza sullo stupro di capodanno dimostra come il modello di comportamento sponsorizzato per le donne sia la "sottomissione".

Non giudico il comportamento in se’ molesto, decisamente no. Non lo giudico tale se parte da una scelta condivisa. Se si inserisce in una visione autonoma e autodeterminata della propria vita.

Un atto di sottomissione, di quell’affidarsi senza dubbi ed esitazioni, è il bondage. Nulla da dire su quelle che scelgono di legarsi mani e piedi per scelta. L’autodeterminazione però dovrebbe sempre fare da spartiacque. Partendo dal presupposto che siamo tutti diversi deve essere ammissibile che io non voglia praticare sottomissione inconsapevole.

Ma una sottomessa "consapevole" già equivarrebbe ad una donna cui dovrebbe essere riconosciuto un eccessivo valore. Ecco perchè in italia si continuerà a immaginare il sesso, le relazioni, di qualunque tipo, solo come qualcosa di compatibile con la necessità di dominio degli uomini etero.

Consigli di lettura (se ne avete altri, postate tra i commenti)

Piacere-dolore-potere Piacer-dolore-potere reprise 

—>>>Nelle foto, Betty Page

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio.