Dopo l’illibatezza, lo spettro del delitto d’onore e del matrimonio riparatore ecco tornare con forza un altra parola che sembrava bandita qualche decennio fa: "adulterio".
La pronuncia il tg2, servizio pubblico che si permette di commentare una sentenza di cassazione con la battuta "alla faccia del marito intollerante" e con vari riferimenti rispetto alla cornutaggine di un marito, al tradimento della di lui moglie e ad una sentenza che in maniera palese viene descritta come ingiusta.
Il corriere non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione e ne parla in prima pagina.
La notizia sarebbe che lei ha tradito lui per qualche anno, lui lo sapeva ed è stato zitto e ha avanzato critiche solo in fase di divorzio per provare a non pagare gli alimenti. Il giudice lo ha condannato a pagarli con gli interessi.
Sono più che certa che molti uomini non perderanno l’opportunità di lasciarsi sfuggire fior di commenti sessisti. Vale perciò la pena spiegare.
Il matrimonio è un contratto. Una cosa regolare, come si trattasse di un rapporto d’affari. Si può scegliere di farlo oppure no. Ci sono dei ruoli, degli obblighi e delle garanzie. Tra questa quella di essere economicamente supportat* se non si ha un lavoro retribuito dopo il divorzio.
Dimenticavo, il tg2 si è permesso di sputtanare la signora dicendo che ha preteso gli alimenti nonostante abbia una relazione con un "facoltoso" uomo dedito al commercio.
Quello che il tg2 evidentemente non sa è che gli alimenti non vengono attribuiti sulla base del passaggio di proprietà della figa. Una donna non è una cosa, non è una macchina ma – tenetevi forte – è una persona che ha il diritto a stabilire rapporti non sulla base di una dipendenza economica vincolante. Gli alimenti vengono invece attribuiti sulla base del principio di autonomia personale giacchè "relazione" non sta per "prostituzione retribuita con contratto regolare".
Se una donna, ma sarebbe possibile anche se si trattasse di un uomo, ha investito la sua vita in LAVORO per la famiglia, in casa, nella crescita dei figli, nella organizzazione familiare, nella costruzione e nel mantenimento del patrimonio familiare, rinunciando quindi ad altre occupazioni, a fine matrimonio non la si può liquidare con un calcio in culo e neppure con una liquidazione giacchè non c’e’ stipendio ma solo un accordo che si presta alla applicazione del principio di schiavitù femminile.
Vale la pena leggere il capitolo enorme che riguarda il matrimonio come istituzione, per capire quante regole e quante restrizioni a fronte di nessun vantaggio a livello sostanziale a parte gli assegni familiari che si esauriscono in pochi euro mensili [notate come il sito del ministero alle pari opportunità sia documentato su questo, i link neppure funzionano].
Pensate che fino a poco tempo fa le donne venivano denunciate per abbandono del tetto coniugale (come se fosse una assenza immotivata sul lavoro) e per questo veniva sottratto loro anche il diritto di vedere i figli. Molte donne hanno perso la vita per questo, sono state brutalmente percosse dai mariti senza poter decidere di andarsene perchè per la legge loro sarebbero state doppiamente colpevoli.
Fino a che i rapporti sono gestiti in modo impari, con ruoli che fanno capo alla regola della famiglia patriarcale alle donne non resta molta scelta. C’e’ una intera struttura sociale che è basata sul principio che le donne devono rinunciare al lavoro per fare figli e dedicarsi alla famiglia.
Un sostegno economico dopo il divorzio è il minimo che si possa pretendere. Se gli uomini chiedono perchè il peso della precarietà della donna dalla quale hanno divorziato debba ricadere esclusivamente su di loro, possono sempre aiutarci ad avanzare istanze e rivendicazioni allo stato.
Il ministero al welfare di sacconi, con la sua idea "innovativa" di riportarci tutte a casa, sarebbe certamente felice di ascoltare la opinione di maschi che "non vogliono assumersi la responsabilità" del ruolo che lo stato assegna loro. Se gli uomini non si opponessero alle nostre richieste di autonomia professionale ed economica forse tutti quanti saremmo liberi da dipendenze e quindi anche giustamente liberi di gestire le relazioni senza pesare gli uni sugli altri per quanto sia atroce immaginare che il principio di solidarietà collettiva non esista a partire dalle persone più vicine. E poi ci chiediamo perchè gli italiani sono razzisti e non hanno voglia di spartire un tozzo di pane con nessuno…
Insomma: noi precarie, noi moralmente attaccate, noi puttane, noi con figa in proprietà anche post divorzio, noi in usufrutto, in comodato d’uso, noi vittime della gogna mediatica, noi senza ammortizzatori sociali, noi senza diritto a tutela per la maternità, noi da usare e gettare via come vorrebbero fare i padri che sempre più insistentemente chiedono l’affido dei figli per evitare di passare il mantenimento alle ex mogli.
Non è attaccandoci e ricacciandoci in ruoli del secolo scorso che potete liberarvi di noi. Odiateci meglio. Odiateci di più. Odiateci tanto da volerci autonome e sarete i nostri più grandi alleati. Perchè vi assicuro che non c’e’ niente di peggio che dipendere da un uomo, in qualunque condizione.
Resta comunque che il tg2 è una merda e che tre quarti della stampa – quella berlusconiana – fa veramente cagare. E scusate il gergo, ma la nausea straripa…
Una mia amica è stata in causa col padre per anni perché quest’ultimo (economicamente molto benestante) si rifiutava di passarle 200-pidocchiosi-euro al mese dopo aver divorziato dalla madre, motivando la cosa col fatto che lei sia maggiorenne (peccato sia anche una lavoratrice precaria con lunghi periodi di disoccupazione). Fortunatamente in ogni grado di giudizio le è stata data ragione e durante l’ultima udienza il giudice ha aggiunto, rivolto al padre, di non aver mai conosciuto un uomo così spregevole.
Per fortuna c’è ancora qualche brava persona in giro…
Ieri c’è stata una conferenza con uno psicologo e artista. L’oggetto della discussione doveva essere la forma, tuttavia poi si è deciso di affrontare anche altre tematiche e tra queste vi era proprio il matrimonio. Lo psicologo ha messo in luce come la maggior parte dei libri descrive l’amore e si conclude con il matrimonio, ma non prosegue appunto con le vicende matrimoniali. Del tipo: e vissero tutti felici e contenti, poi il nulla, come se il matrimonio fosse la fine di qualcosa e l’inizio di qualcosa d’altro, quasi una forzatura. Mi ha fatto pensare parecchio.
Ora, non metto in dubbio che vi siano matrimoni “riusciti”, in cui i due coniugi riescono a percepirsi individui, ed esseri umani, ognuno con una propria identità, però credo che per un buon 90% ciò non accada. Non conosco bene la situazione in altri paesi, ma qui, in Italia, il “matrimonio” è vissuto come una sorta di catenaccio, un contratto a vita in cui due membri si trovano invischiati e fusi l’uno con l’altro, che nega ogni possibilità di individualizzazione. Un rapporto morboso tenuto in piedi da un contratto formale deciso dal Codice Civile. Quando questo contratto (nevrotico per sua stessa natura, intesa nel senso di paese in cui è stato stilato) termina, suppongo che uno dei membri, più fragile (che non è una giustificazione, ma un dato di fatto) decide di vendicarsi del torto subito, dello stacco (o smacco) attingendo alle vulnerabilità dell’altro (ecco perché spesso si tende a voler negare l’assegno ai figli). Se infatti non fosse vissuto come un modo nevrotico di vivere in due, non credo proprio vi sarebbero problemi nel caso di una rottura.
Tutto ciò per dire che si tratta sempre dello stesso problema: una visione distorta dell’altro.
Bel blog.
E’ agghiacciante! Un giorno ho letto (non mi ricordo dove) che gli uomini italiani sono quelli che pagano gli alimenti alle ex-mogli e ai figli con + fatica e riluttanza. Conosco un avvocato amico mio che fa il civilista e spesso tra le controparti ha mariti che si rifutano di pagare anche gli alimenti ai bambini