Skip to content


Quell’abusivo di un giornalista antimafia

orioles1

Update: il processo è stato rinviato e l’ordine dei giornalisti ci tiene a far sapere che non si è costituito parte civile. Siamo felici che ci abbia ripensato.

In sicilia accade una cosa strana. Succede che Pino Maniaci viene processato oggi per "esercizio abusivo della professione giornalistica" e che l’ordine dei giornalisti si sia costituito parte civile contro di lui per rivendicare il fatto che se non hai il tesserino non puoi fare informazione antimafia.

Peppino Impastato, della cui morte ricorre l’anniversario proprio in questi giorni, avesse fatto radio aut adesso avrebbe subito lo stesso tipo di processo. Pino Maniaci fosse vissuto al tempo di Impastato invece che processato sarebbe stato ucciso.

Oggi però tutti si sono fatti "cchiù sperti" (più furbi) e un omicidio fa sempre troppo scruscìo (rumore). Per ridurre al silenzio basta un processo. Possibilmente con richiesta di risarcimento danni. Raggiunge lo stesso obiettivo senza rischiare neppure una inchiesta piccina picciò. Perchè le leggi le fa chi governa e non sempre chi governa è così obiettivo da mettere in circolazione leggi di buon senso.

Quello che più fa specie in questa storia però è il ruolo del’Ordine dei giornalisti, un carrozzone che serve a garantire una casta senza tuttavia pretendere il minimo rispetto della deontologia professionale. Fosse davvero utile come minimo avrebbe strappato il tesserino a tanti gossippari andati a dare fastidio alle vittime del terremoto in abruzzo. 

Un tesserino non fa un giornalista e un giornalista non è tale per via di un tesserino. Anzi a dirla tutta diciamo che questa storia del tesserino è una gran fesseria. Semmai qualcun@ volesse rimetterlo in discussione e creare sistemi di accesso alla professione che non passano per via baronale, clientelare, nominale e preferenziale, sarebbe una grande cosa per tutti. Mai come ora l’informazione avrebbe bisogno di gente come Pino Maniaci. Ordine permettendo.

Vi passo un pezzo che ha scritto Riccardo Orioles che ve la spiega meglio di me. Grazie a Sebastiano Gulisano per avermi allertato su questa tristissima storia con l’invito a scrivere all’ordine dei giornalisti siciliano (invito che è stato raccolto da tant*).

>>>^^^<<<

“ORDINE, GIORNALISTI!” : IL CASO MANIACI

Bisogna mettere ordine nel giornalismo in Sicilia: a cominciare da
gente come Pino Maniaci, che si permette di fare inchieste
brillantissime, di farsi minacciare e di aggredire dai mafiosi senza
neanche avere uno straccio di tesserino “professionale” in tasca. E
quelli che si sono accordati coi mafiosi per pubblicargli i messaggi o
intimidire i cronisti irrispettosi? Per loro non c’è Ordine? O l’ordine
magari c’è, ma lo dà chi comanda?
“Il direttore dell’emittente
televisiva Telejato di Partinico (Palermo), Pino Maniaci, è stato
rinviato a giudizio per esercizio abusivo della professione di
giornalista. Il processo è stato fissato all’otto maggio prossimo.
Secondo l’accusa, Maniaci, «con più condotte, poste in essere in
esecuzione del medesimo disegno criminoso», avrebbe esercitato
abusivamente l’attività di giornalista in assenza della speciale
abilitazione dello Stato, conducendo ogni giorno il tg di Telejato…”. La tv più volte minacciata, querelata e contestata da boss e notabili della zona di Partinico.

Otto giornalisti sono stati ammazzati in Sicilia per aver fatto
onestamente il loro mestiere. Tre (Mauro De Mauro, Mario Francese,
Giuseppe Fava) erano giornalisti professionisti, tre (Cosimo Cristina,
Giuseppe Spampinato, Beppe Alfano) erano semplici corrispondenti
locali, e due (Mauro Rostagno e Peppino Impastato) non erano in alcun
modo iscritti all’Ordine, pur lavorando a una precisa attività
d’informazione. Solo tre su otto, dunque, dall’Ordine erano
riconosciuti giornalisti in senso pieno. Ma tutti si caratterizzavano
per le inchieste, ben condotte, sui poteri mafiosi: che viceversa
trovavano pochissimo spazio sull’informazione “ufficiale”.
Questa si trovava, e si trova tuttora, in regime di monopolio
(Ardizzone a Palermo, Ciancio nel rimanente): un monopolio talmente
forte da riuscire a impedire la pluralità dell’informazione anche nei
confronti di testate nazionali (Repubblica a Catania è costretta a
uscire senza cronaca).

L’informazione sui temi potenzialmente “pericolosi” – i poteri mafiosi
anzitutto – restava quindi affidata o alle precarie testate
d’opposizione (L’Ora, I Siciliani) o a piccoli gruppi locali (Radio
Aut, ad esempio) o a singoli giornalisti isolati. Questo contesto,
dagli anni ‘50 ad oggi, non è cambiato affatto. E infatti i giornalisti
colpiti dalla mafia si ripartiscono quasi alla pari nei vari decenni.
In questa situazione, assolutamente eccezionale in Europa, non sembra
che l’Ordine dei giornalisti locale (e meno ancora la locale
Associazione della stampa) si sia in qualche modo distinto per eccesso
d’impegno. Nessuna delle otto vittime è stata in alcuna maniera
sostenuta – e alcune erano in manifesto e immediato pericolo di vita –
prima delle aggressioni, che dunque colpivano individui isolati. Quanto
al dopo, non sono mai mancate le commemorazioni, le cerimonie, le
commosse eulogie. Ma solo queste.
* * *
L’Ordine siciliano non è intervenuto neanche in presenza di episodi
gravissimi sul piano dell’etica professionale. La linea del quotidiano
La Sicilia, ad esempio, fu direttamente influita da esponenti
importanti di Cosa Nostra in almeno due precise occasioni, nel ‘93
(intimidazione di un cronista da parte di Giuseppe Ercolano) e nel 2008
(pubblicazione di messaggi di Vincenzo Santapaola). In nessuno dei due
casi l’Ordine ritenne di adottare una qualsivoglia sanzione a carico
dei giornalisti coinvolti, specialmente del direttore-editore Mario
Ciancio. Non sarebbe stato senza costi, del resto, visto che per
Ciancio lavora buona parte dei più cospicui colleghi siciliani, dentro
e fuori Ordine e Associazione.
Meno ancora s’intervenne su violazioni latu sensu “politiche”, come la
vera e propria campagna del Giornale di Sicilia di Palermo contro il
pool antimafia, o il rifiuto a Catania di pubblicar necrologi di
vittime della mafia, o le intimidazioni – su La Sicilia – contro i
“pentiti” di mafia che minacciavano di tirar dentro imprenditori.
Tutto questo per dire che è ben strano che improvvisamente l’Ordine dei
giornalisti di Sicilia si scopra una vocazione ai regolamenti, e che
debba scoprirla proprio nei confronti di Maniaci. Letta da fuori
Sicilia, parrebbe un’iniziativa autolesionistica e perdente. E
indubbiamente lo è, o perlomeno non è che porti qualche vantaggio al
vecchio Circolo dei Civili che bene o male rappresenta il giornalismo
siciliano. E allora perché si sono messi in questo pasticcio?
Voi ed io ci spiegheremmo facilmente la cosa con le caratteristiche
fisiologiche – età non verde, orecchio duro, sonnolenza – di questi
rispettabili colleghi. Ma un osservatore più smaliziato, uno come
Andreotti ad esempio (“a pensar male si fa peccato però a volte ci
s’azzecca”), non mancherebbe di far notare che il trambusto su Maniaci
copre molto opportunamente un’altra faccenda antipatica che
s’annunciava, anch’essa – normalmente – di competenza dell’Ordine: i
guai di Ciancio con Report, dopo quelli col Santapaola, dopo quelli con
Repubblica.
E che c’entra Ciancio che è di Catania con l’Ordine che sta a Palermo?,
direte voi. Io non saprei che dirvi. Ma il divo Giulio, che ne sa più
di me, vi guarderebbe ironico e ghignerebbe: Eh…”.
Non c’è molto altro da dire, su questa storia. Mi spiace per i colleghi
che ci son rimasti coinvolti (non Maniaci, naturalmente: quelli che
hanno votato per silenziarlo) perché per la maggior parte sono gente
perbene, senza velleità eroiche ma anche senza voglia di far del male;
non certamente mafiosi né complici della mafia e tuttavia capacissimi
in questo caso – come don Abbondio con l’Innominato – di favorirla così
per pigrizia, senza neanche rendersene conto.
“E non avendo il tesserino, lo scaricaste? Così, davanti ai suoi nemici mafiosi?”.
“Ma forse non mi sono spiegato abbastanza, monsignore… m’hanno intimato di non far quel matrimonio”.
“E quando avete scelto questo mestiere, non sapevate che esso
v’imponeva di sapere andare oltre le carte, di scegliere che la verità
va difesa ad ogni costo?”.
“Torno a dire, monsignore… avrò torto io… Il coraggio, uno non se lo può dare”.
Va bene, finiamola qui. E’ una storia buffa, tutto sommato. Maniaci
rischia la pelle, la rischia (ora che l’hanno isolato) anche un po’ di
più. Ma noi tutti speriamo che lui abbia fortuna. Speriamo che questa
storia resti così. Una buffa storia divertente, siciliana.

* * *

TUTTO IN ORDINE

La Regione Siciliana possiede una struttura d’informazione superiore a
quella di tutte le altre Regioni messe insieme: ben ventitré
giornalisti, reclutati senza concorso con la qualifica di redattore
capo (3.800 euro al mese). Venti di queste ventitré assunzioni sono
state messe sotto inchiesta dalla Corte dei Conti, che addebita a
Cuffaro e Lombardo (“assunzioni ingiustificate e il mantenimento in
servizio senza motivo”) un danno erariale di quattro milioni di euri.
La Corte si chiede fra l’altro chi mai possano capeggiare se sono tutti
redattori capo.
Fino al 2004 la Regione aveva solo quattro giornalisti per le varie
mansioni. Nel 2006 ne vennero assunti altri quindici (fra cui tutti i
portaborse degli assessori regionali). Altri ancora vennero assunti nel
2007. Attualmente la Regione Sicilia ha alle proprie dirette dipendenze
un po’ meno giornalisti del Corriere della Sera e un po’ più di
Telejato. Ma tutti rigorosamente in Ordine, altro che Maniaci.

Posted in Omicidi sociali, Pensatoio.


2 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. Mario says

    Ciao, ho citato la notizia perché trovo che sia una cosa gravissima. Conoscevo la questione di Telejato e sono colpito da quanto poco se ne parli a livello nazionale. Del resto, non mi sembra che la ricorrenza dell’uccisione di Peppino Impastato sia l’occasione per molte più riflessioni sull’oggi…

Continuing the Discussion

  1. mariobadino linked to this post on Maggio 11, 2009

     
     Un link dal blog Femminismo a Sud per ricordare Peppino Impastato (del quale sabato scorso ricorreva l’anniversario dell’uccisione in una Cinisi e in un’Italia mafiosa e omertosa, allora come oggi) ricordando chi oggi denuncia Cosa Nostra…