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Donne alla sbarra per esproprio di manifesto fascista

http://www.donnenews.it/files/news/img_g_503.gif

C’e’ questa vicenda bolognese che sta impegnando tante persone a proposito di una iniziativa contro la violenza sulle donne e di un manifesto (sotto trovate link e dettagli). Le donne che sono chiamate a partecipare a questo seminario portano avanti con determinazione un modo del fare politica e comunicazione contro la violenza maschile sulle donne che è totalmente diversa da quello che si vorrebbe loro accreditare a causa del manifesto razzista e xenofobo oggetto di tante critiche.

E’ vero, è stato un errore di comunicazione che si presta a mille speculazioni: bisogna dire che siamo tornate indietro nel tempo, che oramai lo stupratore è inteso solamente come lo straniero al quale dedicare leggi razziali e ronde xenofobe, ma usare la propaganda fascista (per rappresentare quello che accade ora e che a vederselo riproposto così chiaramente scandalizza di rimbalzo persino quelli che accanto alla parola "stupro" scrivono sovente il termine "marocchino" o "rom") senza contestualizzarla e spiegarla si presta a veicolare un messaggio che non tutti/e hanno gli strumenti per interpretare. Bastava anche una frase che spiegasse che il governo, la destra, vogliono indurci a pensare allo stupro come una questione etnica invece che di genere. A mio avviso meglio scegliere un’altra immagine, differente, esaustiva, che parlasse di violenza maschile invece che di passaporti ed epidermidi con alti livelli di melanina.

Io mi auguro comunque che al prossimo manifesto di forza nuova che rimanderà ad una interpretazione xenofoba e familista della questione degli stupri i giornalisti e i politici di sesso maschile bolognesi sapranno reagire con altrettanta forza e con altrettanto spirito partigiano. Mi auguro anche che tutti/e coloro che si sono sentiti/e giustamente indignati/e (evviva!) dal manifesto in questione vorranno partecipare all’iniziativa di domani 17 aprile proprio per ragionare di provvedimenti contro lo stupro (o per la sicurezza delle città) che non usino le donne per applicare politiche razziste e fasciste. Tutto il resto lo lascio dire a Barbara Spinelli, una delle relatrici dell’iniziativa, la quale ha scritto una lettera aperta che dice tante cose molto più interessanti.

Vi copio e incollo i dettagli dell’iniziativa e poi tutto il contenuto dell’intervento di Barbara che ringrazio sempre per il prezioso lavoro che fa. Il suo blog è "Femminicidio", che poi è anche il titolo del suo libro.

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Venerdì 17 aprile 2009 ore 16.30-19,30
Aula Magna S. Cristina via del Piombo 5 Bologna

Il Centro di documentazione ricerca e iniziativa delle donne della
città di Bologna organizza il seminario sul tema Femminicidi, ginocidi
e violenze sulle donne

In occasione della pubblicazione degli scritti:
D. Danna, Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era globale, Eleuthera, 2007;
B. Spinelli, Femminicidio: dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Angeli, 2008;
T. Pitch e G.Creazzo in “Studi sulla questione criminale” Ginocidio. La violenza maschile sulle donne Carocci, 2009

le autrici
Giuditta Creazzo, Daniela Danna, Tamar Pitch, Barbara Spinelli

ne discutono con

Carla Faralli, Fernanda Minuz, Rossella Selmini

Coordinano

Raffaella Lamberti e Milli Virgilio

Hanno aderito all’iniziativa :
Associazione Orlando, Armonie, Casa delle Donne per non subire violenza, UDI, SOS Donna, AdDU 

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Barbara Spinelli: A proposito del seminario di domani e delle polemiche sul manifesto.

MANIFESTO SHOCK PER IL SEMINARIO SU FEMMINICIDI, GINOCIDI E VIOLENZA CONTRO LE DONNE.
L’ASSESSORA: E’ STATA UNA MIA SCELTA.

Poiché sono una delle relatrici al seminario di domani, nel darne notizia ho scelto di prendere parola. Per capirci.

I fatti

http://bologna.repubblica.it/dettaglio/Manifesto-fascista-e-razzista-il-Comune-si-scusa-Ma-%C3%A8-polemica/1618450

http://bologna.repubblica.it/dettaglio/virgilio:-e-stata-una-mia-idea-mi-dispiace/1618455

http://bologna.repubblica.it/dettaglio/care-amiche-ecco-come-e-andata/1618700

La mia lettera aperta

Non è una scelta facile essere coerenti con sé stessi, ma è necessaria quando si crede in qualcosa.
Per
questo alle volte è necessario mettersi in discussione anche per le
proprie omissioni, e, quando queste provocano ferite, sentirsene
responsabili.
Nonostante io, da autrice del libro “Femminicidio”,
invitata quale relatrice al convegno, sia estranea alla bagarre insorta
sull’illustrazione fascista, mi sento comunque responsabile nei
confronti di tutte quelle persone, ma soprattutto di quelle e di quei
migranti che si sono sentiti offesi dalla locandina del convegno in cui
sarò una delle relatrici.
Mi sento responsabile perché nel vorticare
di impegni quotidiani non ho guardato la mail di presentazione del
convegno in cui avrei parlato, non ho mai aperto quell’allegato, e l’ho
visto solo oggi insieme alle polemiche che l’hanno accompagnato.
Chi
come me non fa di mestiere il conferenziere, e di giorno galoppa per
imparare una professione e guadagnarsi da vivere come può, di solito
non va per il sottile, e le presentazioni le apre il giorno prima
dell’incontro, per fare un copia incolla e linkarle sul blog, o su
facebook.
Ironia della sorte!
E pensare che, proprio questo mese,
quando, invitata come relatrice in un dibattito in paesino romagnolo di
provincia, per una iniziativa pubblica ma in fase elettorale, mi sono
indignata e ho negato la partecipazione perché il titolo imposto era
“Violenza sulle donne: la vera emergenza”, e io non volevo vedere il
mio nome associato proprio a quella logica che attraverso il mio
impegno io cercavo di decostruire.
Per cui oggi, presi i giornali,
ritrovare sulla prima pagina di Repubblica nazionale il seminario cui
partecipavo come relatrice per il “manifesto shock” che lo presentava
mi ha fatto “un certo effetto”. Devastante.
Devastante come il
potere dei media di oscurare per anni il tuo pensiero e di capovolgere
il senso del tuo impegno in un solo giorno, e non per una scelta tua.
Devastante. Mi sono sentita morire a constatarne gli “effetti reali”.
Ho letto le spiegazioni dell’Assessora, gli strali lanciati dai politici ed i distinguo dell’Ordine dei giornalisti.
E
ho deciso di con-dividere il turbine di emozioni che mi ha avvinto, e
di spiegarle, di farne patrimonio comune, perché non sono sentimenti
semplici e diretti, né tantomeno formalismi, ma è un mix esplosivo che
rischia di divorarmi di rabbia e amarezza se non esternato.
E ho
deciso di pubblicare la mia lettera solo sul mio blog, così, chi vorrà
leggerla, intorno vi troverà altri frammenti di me e del mio pensiero,
potrà conoscermi per quello che sono, e, anche se non parteciperà al
seminario, potrà cogliere come i contenuti dello stesso propongano
un’analisi che va in senso esattamente opposto a quello securitario e
xenofobo cui fa rimando il manifesto.
Il perché delle mie emozioni
controverse, seppure io risulti del tutto “esterna” alla polemica
insorta, non riesco a racchiuderlo in due righe formali, di quelle
tanto gradite dall’ANSA e dai giornalisti, ma non è facile districare i
pensieri quando ancora sono troppo impregnati da emozioni negative.
Provo ad andare per punti.

1) Il manifesto

Indubbiamente la scelta è opinabile. E non è facile dirlo per chi invitata tutto ha saputo a cose fatte.
E’ evidente per chiunque che si tratti di una riesumazione di propaganda fascista.
Se
l’avessi visto per tempo, avrei consigliato o di spiegare
l’illustrazione, o di modificarla, perché è un immagine che altrimenti
“parla da sé”, razzista e xenofoba.
E in quanto tale, se inserita
nella presentazione di un convegno contro la violenza sulle donne, può
dar luogo – come di fatto è avvenuto – a seri fraintendimenti sugli
intenti dell’incontro: chi non avesse conoscenza delle relatrici,
potrebbe infatti pensare all’ennesimo incontro che declina la violenza
sulle donne come un problema di sicurezza e dei migranti.
Così non è.
Perché
anzi le relatrici sono tutte giuriste e criminologhe che attraverso i
loro scritti e le loro azioni si sono impegnate a combattere gli
stereotipi razzisti e securitari che incistano politiche e norme in
materia di violenza sessuale.
Sui giornali comunque il problema non
è stato frainteso tanto in questo senso, quanto piuttosto si è
concentrato sul fatto che l’immagine fascista è stata inserita
nell’ambito di un incontro patrocinato dal Comune.
Anche su questo ci sarebbe da riflettere.
Per
quanto concerne la scelta dell’immagine. E’ stata indubbiamente
infelice, in quanto non “esplicata”, e dunque di per sé offensiva.
Tuttavia, sulla stampa, la si poteva pure spiegare, una volta che ci è finita !!
Il
rimando (per lo meno, quello che ci ho visto io oggi!) infatti è un
rimando parecchio colto, e che proprio per questo o va spiegato o è
inadatto ad accompagnare l’immagine di un seminario pubblico.
Forse può coglierlo solo chi ha “memoria storica” antifascista e antisessista ben radicata.
Ma è un rimando, se spiegato, azzeccato, a mio avviso.
Appena
ho visto il manifesto, è stato immediato per me perché era stato messo
lì: il rimando è alle marocchinate, la “licenza per stupro” concessa
alle truppe di liberazione come premio per aver vinto la linea nemica.
Allora come oggi, il corpo delle donne usato come strumento politico per ottenere consenso.
Allora
come oggi, alla base dello sdegno (e della richiesta di risarcimento)
che seguì alla coraggiosa denuncia –postuma- dell’UDI, ci fu l’onore
nazionale violato, e non la dignità, il corpo, la libertà di ogni
singola donna stuprata.
Un “memento”, a ricordare che la retorica
alla base dei discorsi e delle politiche di contrasto alla violenza
sulle donne (che quasi tutti, ancora oggi, continuano a ritenere sia
solo la violenza sessuale e non anche quella domestica, economica,
sociale, culturale..) oggi come allora è la medesima, ed è al servizio
del patriarcato.
Dunque, pure un rimando alla opera scientifica di
decostruzione femminista fatta dalle autrici, oggi, di quegli
stereotipi fascisti, sessisti, razzisti che sono rappresentati nel
manifesto fascista e che, ieri come oggi, sono alla base delle
politiche di contrasto alla violenza sulle donne (vedasi da ultimo per
quanto riguarda il c.d. d.l. antistupro, il mio commento su
zeroviolenzadonne.it, l’articolo di Milli Virgilio sul Manifesto, le
note di Tamar Pitch in Questione Criminale).
Questo rimando, l’uso
di questo manifesto, viene da una Assessora alle pari opprtunità, con
trascorsi femministi, che, forse proprio forte del ruolo ricoperto e
per la sua storia, pensava (male) di non dover “rendere conto” della
scelta, di non essere fraintendibile negli intenti, e forse anche
convinta di parlare a quei famosi quattro lettori, anzi più spesso
lettrici, che, “aficionadas”, si interessano a questi temi e popolano
questi dibattiti.
Lettrici che conoscono se non di persona almeno
per averle già lette da qualche parte le relatrici, e che dunque sanno
che tra queste si annidano alcune tra le poche studiose femministe da
sempre impegnate nella decostruzione degli stereotipi securitari e
razzisti che permeano il discorso pubblico sulla violenza maschile
sulle donne. Dunque, lettrici che non possono fraintendere.
Non si
tratta di “contorsioni mentali”, come sostiene Lonardo: si tratta di un
rimando strumentale a una storia, quella delle marocchinate, che almeno
chi si proclama antifascista dovrebbe conoscere.
Un errore madornale buttare lì l’immagine senza darle un senso attraverso una nota esplicativa.
E
infatti la politica non perdona, chi rompe paga, e dunque l’assenza di
una nota all’illustrazione ha generato risentimenti di eco nazionale,
legittimi in quanto ai fini della comunicazione pubblica quella
immagine, non commentata, non era immediatamente percepibile nel
significato attribuitogli se non (io suppongo) da chi l’ha scelta o
dalle “addette ai lavori”.
Ha ragione Lonardo che è necessario, per
chi cura l’immagine di eventi pubblici patrocinati dal Comune, mettersi
nei panni degli altri.
E di questo, per non averlo fatto, l’Assessora si è presa le sue responsabilità.
In
questi casi, chiedere scusa a chi per la propria appartenenza etnica o
per la propria storia personale si è sentito offeso, è d’obbligo,
aldilà della volontarietà o della casualità dell’offesa.
Così come è
d’obbligo ribadire i contenuti del seminario e i soggetti coinvolti,
che, proprio e solo a causa dell’immagine, ancora restano ambigui.

2) Lo sciacallaggio mediatico e politico. Basta parlare di altro !!
La rabbia,la passione e la frustrazione.

Uso
questo termine di proposito, perché a quanto pare va di moda oggi,
perché è evocativo e genera riprovazione e sdegno collettivo della
comunità verso chi approfitta, col fine di trarne vantaggio personale,
della tragedia collettiva.
Nel caso di specie, la tragedia collettiva sono i numeri della violenza maschile sulle donne, i numeri del femminicidio.
Oggi,
ogni tentativo di discorso pubblico sulla violenza maschile contro le
donne, diventa oggetto di sciacallaggio. A fini politici, di promozione
personale, di consenso sociale, di controllo del territorio.
My body is a battleground.
Quando
si tenta di fare un discorso scientifico sulla violenza maschile sulle
donne, diventa sempre facile parlare di altro. Perché la realtà
“strutturale” della violenza degli uomini sulle donne, come espressione
di relazioni di potere diseguali, storicamente determinate, è difficile
da spiegare e non fa notizia.
Allora basta un appiglio e il gioco è
fatto. Soprattutto in periodo elettorale, quando la politica si gioca,
più che in altri momenti, sul corpo delle donne.
E allora via, il
corpo della donna diventa oggetto mediatico e politico su cui costruire
il consenso. Donna oggetto di stupro, donna oggetto di protezione dalla
violenza sessuale con ronde e pene più alte, donna oggetto di battute,
donna precaria oggetto di matrimonio per sistemarsi, donna in coma
oggetto di gravidanza possibile, donna bella oggetto di dono tra
presidenti….
Già donna oggetto. “In quanto donna”. Come nel
manifesto fascista, ancora oggi la donna acquista rilievo in quanto
madre, moglie, figlia, puttana: cioè in quanto “funzionale” al maschile.
Femminicidio
è questo: ogni pratica personale o sociale violenta fisicamente o
psicologicamente, che attenta alla integrità, allo sviluppo
psico-fisico, alla salute, alla libertà o alla vita della donna, col
fine di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o
psicologico, fino alla sottomissione o morte della vittima nei casi
peggiori (…) Il femminicidio è un fatto sociale: la donna viene
uccisa nella sua soggettività in quanto donna, perché non accetta di
ricoprire il ruolo che l’uomo o la società vorrebbero impersonasse.
Già,
“In quanto donna”, nel momento in cui una persona incarnatasi in un
corpo femminile e consapevole del suo essere donna nel mondo e nella
società e nelle relazioni produce un sapere “di genere”, e attraverso
questo occhio consapevole analizza la realtà delle discriminazioni che
quotidianamente subisce “in quanto donna”, ecco che non fa più notizia,
scompare.
Non è un caso se, quando c’è da riflettere sulle cifre e
sulle cause della violenza domestica, prima causa di morte per le donne
in Italia, si parla d’altro.
Come per la manifestazione indetta dall’Assemblea cittadina femminista e lesbica per l’otto marzo.
In
quella occasione, su tutti i giornali non si parlò dei contenuti
portati dalle donne alla manifestazione (antisessista, antifascista,
antirazzista), ma trovò spazio solo la polemica col cerimoniere per lo
striscione affisso sotto il portico di Palazzo D’Accursio, e la
polemica con le autorità per la mancata concessione della zona vietata
alle manifestazioni.
Anche quella volta, non fu difficile deviare l’attenzione e parlare di altro.
Anche quella volta, ci fu uno sciacallaggio mediatico e politico.
Già,
perché pure lì i compagni trovarono opportuno, proprio il giorno
dedicato alle “nostre” celebrazioni, per “solidarietà”, prendersi la
piazza (e annessa denuncia) per protestare contro l’ordinanza
limitativa delle manifestazioni in centro.
Oggi come allora, è bastato un appiglio per parlare di altro.
Ed
è bastato forse anche per svista, perché le elaborazioni femministe sul
tema sono talmente di “nicchia”, rispetto a quelle dei “compagni”, che
forse se solo gli intervistati avessero conosciuto il pensiero delle
relatrici avrebbero parlato di altro e quella provocazione si sarebbe
letta appunto come tale, come traccia grafica di quella decostruzione
degli stereotipi fascisti sulla violenza contro le donne (ancora oggi
così vivi e ancora normativamente riprodotti) che i testi presentati
affrontavano per iscritto.
Purtroppo, genera in me rabbia e amarezza
che le parole di analisi spese in tanti anni restino vane e sconosciute
all’opinione pubblica, che di quel seminario ricorderà solo “quello del
manifesto razzista”.
Il potere dei media e della parola pubblica, che non conosce e disconosce la parola delle donne.
Mentre infatti il fascismo ed il razzismo sono immediatamente riconosciuti e riconoscibili, così non è per il sessismo.
Infatti,
se al posto dell’immagine incriminata ci fosse stata la solita immagine
di donna piangente nuda e rannicchiata su sé stessa, nessuno si sarebbe
lamentato.
Già, perché quella immagine, che pure è discriminatoria
nell’associare nell’immaginario collettivo il discorso sulla violenza a
una donna sola, fragile e bisognosa di tutela e protezione (“vittima”,
appunto), non viene percepita come sessista.
Così come pure nessuno
si è lamentato dei manifesti della Relish appesi nella nostra città più
a lungo che in altre, così come pure l’Ordine dei Giornalisti non si
scandalizza per come viene violata la privacy delle vittime di stupro
che spesso e volentieri, anche in casi cittadini, sono rese palesemente
identificabili, così come …..
Ce ne sarebbero troppi di “così come”
da non finire più, e sarebbe un elenco volto non a giustificare
l’errore di cui sopra in cui è incappata l’Amministrazione bolognese e
gli effetti deleteri cui ha dato luogo, ma sarebbe volto a evidenziare
come i discorsi pubblici sulla violenza contro le donne passino sempre
sul corpo delle donne, sulla parola delle donne, e mai attraverso un
pensiero ed una analisi di genere, che sempre viene calpestata tra le
priorità.
Ci sono sempre uomini pronti a parlare di altro a partire dal corpo delle donne.
Ci sono sempre giornalisti pronti a intervistare uomini che parlino “sulle donne” e “per le donne”.
Ci sono sempre sciacalli pronti a costruire emergenze e ricavarne consenso.
Ricordo
ancora la rabbia quando, ai tempi del pacchetto sicurezza proposto dal
centrosinistra a seguito dell’omicidio di Giovanna Reggiani, scrissi
furente sul rapporto tra controllo della sessualità e controllo del
territorio, razzismo, sessismo e politiche securitarie…e da allora è
stato un continuo, ultima tappa Terni, proprio due settimane fa.
Di
qui la rabbia per il silenzio assordante sulle analisi femministe e di
genere della violenza sulle donne, di qui l’amarezza per come,
sistematicamente, emergano appigli per parlare di altro, negando
cittadinanza al pensiero delle donne ed alla soggettività politica,
scientifica, culturale delle stesse.
Domani parlerò di femminicidio, ma un mio contributo su sessismo, fascismo e razzismo lo si trova qui:
http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article824
http://www.donnatv.it/tv/mooffanka/?tool=tvp&vid=522
http://femminicidio.blogspot.com/search/label/sicurezza
http://www.giuristidemocratici.it/what?news_id=20061122082612
Barbara Spinelli, autrice del libro “Femminicidio”
(non l’editorialista de “LA STAMPA” !)

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