Ombra, tempo due post, ha raccontato delle sue due nonne. Una fa l’antimilitarista e l’altra è stata sfrattata per via della badante ucraina. Sono due storie belle e avevo proprio chiesto a Ombra se le potevo riportare qui perchè due donne così, nordiche che più nord non si può, già da sole potrebbero raccontare un buon pezzo dell’italia per come è stata e per quello che è. Buona lettura!
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La parcondicio vale anche per questo blog. Recentemente ho raccontato una storia su di una delle mie due nonne. Adesso tocca all’altra.
Succede
che quest’altra mia nonna sia bloccata nel letto da qualche anno, per
colpa del diabete. Costretta nel letto e costretta a dover fare la
dialisi tre volte alla settimana per poter vivere degnamente. Una
tortura, secondo me. Ma sta di fatto che con questa terapia, si
mantiene lucida e in sostanziale buona salute. E questo mi fa piacere.
E’ una donna di montagna, la mia nonna. Nata e cresciuta a 1800 metri in una borgata di un paesino di nome Pragelato. Una borgata
raggiungibile, a piedi, in un’ora. Lei è nata lì, è cresciuta lì, ha
vissuto la guerra in quei luoghi, combattendo a suo modo contro chi
aveva invaso quelle valli, ma anche contro chi si improvvisava
partigiano per rubare il poco che i contadini strappavano alla terra.
Mia nonna non ha un bel ricordo dei partigiani. Una volta, racconta,
una piccola banda aveva requisito l’unica loro mucca. Loro, di
famiglia, non erano fascisti. In alta montagna questo tipo di divisioni
e di visioni, viene progressivamente meno. La famiglia di mia nonna
viveva in un contesto comunitario vecchio di secoli, dove la
solidarietà tra le persone era l’arma per sopravvivere. Quella stessa
solidarietà che oggi viene spesso strumentalizzata da particolari
gruppi di libertari che si rifanno ad un contesto mitico, pensando alla
vita montagna come un contesto di autoproduzione senza costrizioni.
Come si dice a casa mia: le balle. La solidarietà c’era e in parte c’è
anche tutt’ora. Ma era strumentale.
Comunque stavo raccontando di mia nonna. Dopo che i "partigiani" le
ebbero portato via la mucca, lei e suo padre si misero al loro
inseguimento, conoscendo meglio il territorio. Non visti, una notte,
riuscirono a recuperare l’animale e a ricondurlo nella stalla. E’ un
ambiente duro, la montagna. Nonostante questo tuttavia, e nonostante la
sua poca simpatia per i partigiani, mia nonna resta una di quelle
persone di montagna, semplici, aperte e con valori forti ed
inattaccabili. E nella sua semplicità, continua a quasi 90 anni a saper
riconoscere le persone. Fu lei la prima da cui sentii pronunciare la
parola "Duce" in riferimento a Berlusconi, nel 1994. Nella sua
semplicità, è avanti, mia nonna.
Sarà
forse anche per questo che quando le abbiamo affiancato (per forza di
cose) una badante, lei non si è scomposta e l’ha sostanzialmente
accettata, riconoscendone, tra l’altro, la storia di sofferenza. La
badante arriva dall’Ucraina, luogo che mia nonna non aveva mai sentito
nominare, non essendosi spinta mai oltre Torino (in cui è andata forse
una volta) ed avendo solo la quinta elementare, conseguita negli anni
’30 del ‘900. Nonostante ciò è stata in grado di comprendere quella
persona che la accudiva e di instaurare una relazione anche forte.
E
qui arriviamo ai giorni nostri ed alla criminalizzazione dei migranti
cui assistiamo quotidianamente. La badante di mia nonna è, ovviamente,
regolare e con tutti i permessi di soggiorno e le carte a posto. A
rigor di logica non dovrebbe temere nulla, essendo una di quelle
persone che con il suo lavoro e le sue tasse, mantiene accettabile il
PIL italiano. Invece accade che la padrona di casa di mia nonna (dalla
quale lei affitta l’alloggio da più di 30 anni) decida che avere una
ucraina nel palazzo sia sconveniente. La paura della padrona di casa
(che ovviamente ha il culo sfondato dai soldi) è quella che alla morte
di mia nonna, la badante pretenda di restare nell’alloggio. Pagando
l’affitto, certo, ma si tratta pur sempre di una straniera. Ovviamente
ogni ente interpellato le ha confutato questa ipotesi, in quanto la
badante non è parente e quindi non puo’ attuare questo "trucco".
Nonostante ciò, la stronza ha deciso che ha troppa paura dell’invasione
straniera e, quindi, ha dato lo sfratto a mia nonna e alla badante.
Dopo 30 anni. Una donna di 90 anni dializzata. Una badante che non vede
sua figlia da 10 anni e che fa uno dei lavori più pesanti in
circolazione. Via.
Si
ritroveranno in mezzo ad una strada. Ovviamente non sarà così, ma ogni
sera in queste ultime notti, mi ritrovo a immaginare sofferenze immani
per quella padrona di casa, per il suo mondo, per la sua specie.
Lo
straniero non deve avere residenza, deve stare lontano portandosi
dietro il suo lavoro. Questo è il clima in cui viviamo. Questo è quello
che siamo. Per questo spero nella crisi.
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Piccola storia inutile che si perderà nel tempo e nel vortice degli avvenimenti importanti.
Premessa.
Quando nevica è prassi che i proprietari o gli inquilini di una casa
liberino il marciapiede antistante l’abitazione dalla neve accumulata
in modo da consentire ai pedoni il passaggio. E’ una pratica antica
come antiche sono le abitudini di vita collettiva tra gli umani. Io
faccio un pezzetto del lavoro e se lo facciamo tutti si vive tutti
meglio. Una sorta di lavoro collettivo in un momento di difficoltà per
un territorio dove nevica. Il tempo erode ogni cosa e quindi succede
che questa antica pratica si stia lentamente perdendo. In pianura non
nevica più molto e basta un inverno normale per con nevicate normali
per mandare tilt tutto e tutti e per far finire i soldi ai comuni. Che
così non puliscono più le strade. Ma al di là dello sgombero con gli
spazzaneve (che serve in principal modo le auto), è questa forma di
solidarietà collettiva il nodo centrale del discorso. Una solidarietà
che si và via via perdendo.
Succede
che nevichi abbondantemente come spesso è accaduto nel passato e come
non accadeva da qualche anno. Succede che i comuni della provincia di
Torino vadano in panico e succede che vada in tilt anche il sistema
solidaristico per cui i marciapiedi non vengono più puliti. Troppo
occupati con il proprio lavoro e la propria singolarità. Succede che le
prime vittime della neve che si tramuta in ghiaccio siano gli anziani.
Mia nonna abita a Pinerolo, città prealpina dove ha nevicato molto.
Ha nevicato
anche, ovviamente, nei pressi della caserma Nizza Cavalleria. Uno di
quei fiori all’occhiello dell’esercito di professionisti che chiamiamo
esercito di Pace. Succede che i militi che vi risiedono non si sognino
di sgomberare un centimetro quadrato del marciapiede che contorna la
caserma. Una strada molto trafficata dai pedoni, per altro.
Mia nonna
abita proprio vicino alla caserma e ogni giorno si diverte a commentare
gli esercizi che i soldati fanno in cortile. Commenta la forma fisica
dei soldatini, la loro poca voglia di stare in fila e il loro scarso
interesse per ciò che devono fare. Ha un’opinione molto scadente dei
soldati. Forse perchè li vede tutto il giorno a fare nulla.
Mia nonna
si accorge che il marciapiede non è spazzato e da brava ottantenne che
conserva i valori collettivi di qualche tempo fà, compone il numero dei
Vigili, che la mandano sostanzialmente a cagare dicendo che hanno cose
più grosse a cui pensare. Senza scomporsi, mia nonna prende un opuscolo
e chiama la Protezione Civile dicendo che soprattuto per gli anziani è
davvero pericoloso per marciapiede e che i militari potrebbero alzare
il culo (no, non ha usato proprio queste parole).
La Protezione Civile
le risponde che comunicherà subito ai militari di fare quanto da lei
richiesto. Dopo un paio d’ore escono tre soldatini, evidentemente
incazzusi, che si mettono a spalare i due chilometri di perimetro della
caserma. Il giorno dopo a spalare sono in 7.
Non so
se è stato merito di mia nonna. Non so se per una telefonata si son
scomodati. Questa storia mi ha però fatto riflettere molto su quello
che spesso viene detto e scritto a proposito della perdita del senso
dell’altro. Gli anziani sono noiosi e tediosi nel loro puntiglio. Si
lagnano spesso e rimandano le loro parole ai tempi andati che
sicuramente erano tempi dove tutto andava meglio. Parola loro. Però la
memoria di un tempo che fù non è solo un sentimento nostagico legato al
"si stava meglio quando si stava peggio". Rappresenta anche la relatà
di un complesso sociale in piena disgregazione, cui nessuno riesce a
dare risposte. Rappresenta la solitudine che ci avvolge e cui riusciamo
asolo a tratti a far fronte.
La storia
di una società il cui unico orizzonte è il proprio, effimero, benessere
momentaneo. E’ vero, senza memoria non vi è futuro. Ma senza idea del
futuro non vi è nemmeno memoria di ciò che si è. Restare umani vuol
dire anche questo.