Ho sognato che alcuni uomini arrivavano per portarmi via. Io lottavo ma era tutto inutile. Mi trascinavano per i capelli e non potevo urlare. Uno di loro mi tappava la bocca. Unico testimone il mio compagno che era forse uno degli ultimi a credere ancora in una democrazia. Guardava attonito. Non riusciva a credere a ciò che stava accadendo. Era notte. Questo lo ricordo distintamente. Buio.
Ripassavo a memoria tutte le brutte azioni che potevo aver commesso perché questo ti insegnano sin da piccola. Se c’e’ un esercito di uomini che viene a prenderti deve essere per forza colpa tua. Nessuno diceva niente. Il mio compagno era bloccato da un gendarme. Ce n’erano altri. Stavano mettendo a soqquadro tutta la nostra vita. Carte, documenti, libri, appunti, disegni, la macchina da scrivere. Lui teneva buona la bambina che piangeva.
Mi portarono in un luogo con tante stanze umide. Dentro ognuna di esse c’era qualcuno. Sentivo delle urla, il click clack delle porte di ferro, ancora urla. Poi toccava a me. Volevano sapere a quale organizzazione appartenevo. Dicevano di avere le prove. Dicevano che ero una terrorista, una sovversiva. Avevano trovato pagine scritte a mano, fogli, libri dei quali sconsigliavano la lettura. Avevo delle opinioni – dicevo – ogni tanto se ne parlava con gli amici – dicevo – facevamo volantinaggio – dicevo.
Ho chiesto un avvocato. Nessuno venne mai in mia difesa. Non vidi più mia figlia e del mio compagno dissero che aveva parlato. Aveva confessato e dunque era libero. Presero anche lui che non c’entrava niente. E non c’entravo neppure io perché non è un reato esprimere una opinione. Nessuno lo seppe mai. Sparimmo nel nulla. Nostra figlia ci cercò a lungo. Al risveglio pensai che non poteva esserci nulla di più terribile di quell’esperienza.
Ho sognato un’altra volta. Arrivarono dei signori in pieno giorno. Mi portarono via mentre la gente attorno urlava che ero un’assassina. Il mio compagno attonito. Era uno degli ultimi a credere ancora in una democrazia. Mia figlia piangeva. Altri uomini perquisivano la casa e portavano via tutto. Documenti, libri, macchina da scrivere.
Arrivammo in una specie di caserma e fuori tanti giornalisti e telecamere. Mi tennero chiusa per tre giorni senza farmi parlare con nessuno. Poi riuscii a vedere il mio compagno e un avvocato. Mi dissero che avevo violato la legge. Parteggiavo per la razza impura. Aiutavo i nemici della patria e mi opponevo al regime.
Dissi che non avevo fatto niente. Esprimevo le mie opinioni, mi sarebbe piaciuto chiarire l’equivoco perché non avevo mai fatto del male a nessuno. Mi dissero che i giornalisti che avessero osato scrivere qualcosa di diverso sarebbero stati mandati al confino. A mia figlia diedero in premio un posto in collegio perchè diventasse una bella fanciulla italiana. Dissero che lei non doveva pagare le colpe dei suoi genitori. Il mio compagno provò a farsi ascoltare mille volte. Poi, non vedendomi tornare, prese il sentiero delle montagne e morì ucciso in battaglia su un prato verde. Io fui fucilata subito dopo la sentenza emessa alla fine di un processo farsa. Al risveglio pensai che non poteva esserci nulla di più terribile di quell’esperienza.
Ho sognato che molti uomini venivano a prendermi in pieno giorno. Fuori non c’era nessuno. La cosa lasciava indifferenti tutti. Il mio compagno attonito. Era uno degli ultimi a credere ancora in una democrazia. Mia figlia piangeva. Tante persone in divisa perquisivano tutto. Portavano via documenti, fogli, disegni, volantini, dischetti, cd, chiavette usb, computer, telefonino, libri.
Arrivammo in questura e non c’era nessuno. I giornalisti non potevano più occuparsi delle inchieste. La maggior parte lavorava per fonti di informazione del capo del governo e in ogni caso se scrivevano anche solo un rigo rischiavano la galera. Io non avevo alcun diritto da cittadina, la costituzione era stata cambiata, il presidente del consiglio faceva simpatiche battute sulle dittature latino-americane. Mi avevano portato via dalla mia vita e nessuno lo avrebbe saputo mai.
Fecero arrivare un avvocato per poveri poiché io non potevo permettermi niente di più. Egli disse che avevo infranto la legge. Avevo detto cose, volantinato, pubblicato idee su un sito internet, parlavano di apologia. Chiesi quale legge può mai essere così ingiusta da punire l’opinione di una persona che non ha mai fatto male a nessuno.
Dei nuovi modi del fare male, per come li concepiva la legge, mi spiegò tutto il commissario capo. Disse che di male ne avevo fatto eccome. Certe cose non si possono scrivere, dire, neppure pensare. Chiesi cosa ne sarebbe stato di mio marito e mi tranquillizzarono. Sarebbe stato accusato solo di complicità. Mia figlia sarebbe rimasta con noi.
Mi condannarono a qualche anno di prigione, poca cosa in realtà, e poi dovetti pagare tanti soldi per compensare la multa che mi avevano fatto. Ogni cattivo pensiero valeva più d’un gettone. Bisognava stare molto attenti a non fare cattivi pensieri. C’era giusto la ronda politicizzata che sorvegliava i pensieri affinché non ce ne fossero di cattivi.
Fummo salvi entrambi, io e il mio compagno, e solo più tardi ci accorgemmo che in effetti eravamo comunque morti. Socialmente morti. Sopravvivevamo a stento, senza casa, accampati in un posto invivibile per un prezzo esagerato, e nostra figlia finì per odiarci. Disse che le avevamo rovinato la vita, che eravamo troppo esagerati, che le nostre idee erano antiquate, che eravamo servi delle ideologie, che eravamo masochisti, che avremmo tanto potuto comprare la macchina color verde smeraldo modello jung people e lei avrebbe potuto fare carriera in televisione. Era arrabbiata e per distinguersi preferì tesserarsi al partito del primo ministro. Noi eravamo semplicemente invisibili. Al risveglio pensai che non poteva esserci nulla di più terribile di quell’esperienza. Perché era tutto un sogno, vero?
Ho sognato che ero bambina e vivevo al Testaccio, a Roma. Di mattina andavo a scuola e avevo tante amiche. Il pomeriggio si andava al bar mentre mamma se andava a lavorare, così come papà. Al Testaccio si stava bene, c’era acqua potabile e corrente elettrica. Sono nata lì da genitori che in Italia son nati. Poi una mattina ci hanno fatto spostare tutt*. Ho sognato che regalavo un fiore al poliziotto che nemmeno aveva il coraggio di guardarmi negli occhi, di abbassare lo sguardo a un metro da terra, la mia altezza. Ho sognato la nostra nuova “casa”, un parcheggio a fianco di una strada statale, tanto pericolosa da non poterla attraversare. Ho sognato il vuoto intorno e niente più scuola. Ho sognato viaggi in auto di 15 km per prendere acqua con le taniche, niente più lavatrice, niente più elettrodomestici. Ho sognato un futuro fatto di polvere e odio contro di me e tutti i Romanì. Poi mi sono svegliata e ho pensato al passato, e a quello che a scuola mi hanno raccontato sul destino del mio popolo sotto i regimi totalitari. E ho avuto paura, tanta paura.
C’e’ chi dice che chi fa di questi sogni esagera, perche’ guardando le TV e leggendo i giornali ancora le cose si possono dire, le critiche al governo si possono fare e prova (appunto) ne sono questi blog dove si raccontano i sogni. Se non esistesse democrazia il dissenso non potrebbe essere raccontato neppure sottoforma di sogno.
Ma gia’ il sognare certe cose indica che la democrazia e’ ammalata. In una democrazia sana certe cose non sarebbero neppure sognate.