La paura è una marea torna indietro a chi la crea.
La paura è un sentimento molto facile da evocare. Gli umani sono esseri
tremendamente vulnerabili, per loro stessa natura timorosi. Un giorno
arriva un re e dice che i barbari d’Oriente mettono in pericolo la vita di
tutto il regno: verranno, deprederanno villaggi, uccideranno vecchi e
bambini. Bisognerà conquistarli e ucciderli tutti perché ciò non
avvenga.
Un altro giorno arriva un vescovo e dice che gli infedeli mettono in
pericolo la vita di tutta la comunità: per colpa delle loro bestemmie e
della loro dissolutezza rischieremo di bruciare tutti all’inferno.
Bisognerà torturarli e bruciarli tutti perché ciò non avvenga.
Un altro giorno ancora arrivano dei generali americani e dicono che l’asse
del male mette in pericolo la vita della democrazia: verranno,
annulleranno benessere e progresso, porteranno angoscia e disperazione.
Bisognerà costruire bombe atomiche e ucciderli tutti perché ciò non
avvenga.
Ogni guerra è figlia della paura, ogni paura serve a mantenere controllo e
potere.
Agli amministratori pubblici in questi anni è rimasto ben poco da
redistribuire ai sudditi. La torta è stata divisa tra grandi aziende,
banche, enti poco benefici, associazioni mafiose, imprenditori e massoni.
In fondo alla teglia da garantire sono rimaste solo le paure.
Se a Firenze
un affitto costa metà di uno stipendio, le fabbriche chiudono una dopo
l’altra, gli spazi verdi e di socialità vengono ingoiati da cemento e
amianto, si dovrà agitare un anonimo mostro chiamato degrado, darsi un
gran da fare per neutralizzare pericolosissimi lavavetri, discutere del
terribile problema dei marciapiedi invasi dai mendicanti, proclamarsi
difensori del decoro e di altri vaghi concetti rispolverati per
l’occasione.
Se i giornali dovessero parlare delle paure che rabbuiano il
nostro futuro, parlerebbero di un costo della vita sempre più alto, di
giornate passate a lavorare rischiando di morire per portare a casa due
lire di stipendio, di banche che ci rubano ogni mese un chilo di ossigeno,
del caporalato delle agenzie interinali, di una terra avvelenata da
multinazionali e grandi opere. Ma i giornali devono parlare di mostri, di
barbari, di streghe e del babau, altrimenti nessuno li comprerebbe.
La paura è un sentimento molto facile da evocare, dicevamo. Ma è
altrettanto facile che sfugga di mano all’apprendista stregone che l’ha
creato. Insegnare la paura del diverso non è una magia semplice da
controllare. Puoi ritrovarti con annoiati ragazzini che bruciano immigrati,
impiegati bancari ridotti a moderni taxi driver, pensionati lacerati dalla
paranoia, ometti di periferia organizzati in ronde fasciste.
Probabilmente
nessuno farà più molto caso a tangenti, appalti truccati e nomine
garantite. Una società così, però, è una società sull’orlo di una
crisi di nervi e quando ne saranno rimaste solo le macerie voltarsi
indietro a guardare il mostro che si è costruito sarà davvero ormai
inutile.
Noi che non abbiamo da spaventare nessuno
non vogliamo piu’ convivere con la paura
che ci stringe con i suoi tentacoli quotidiani.
Non aspettiamo re, vescovi e generali che ci difendano
da ciò che loro stessi creano.
Non abbiamo paura degli alieni e dei mostri,
affrontiamo paure e ansie vivendo le nostre città
e ricostruendo il nostro futuro.
Se i giornali dovessero parlare delle paure che rabbuiano il nostro futuro, parlerebbero di un costo della vita sempre più alto, di giornate passate a lavorare rischiando di morire per portare a casa due lire di stipendio, di banche che ci rubano ogni mese un chilo di ossigeno, del caporalato delle agenzie interinali, di una terra avvelenata da multinazionali e grandi opere. Ma i giornali devono parlare di mostri, di barbari, di streghe e del babau, altrimenti nessuno li comprerebbe.
Bel post. Condivido tutto ed in special modo quanto scritto sopra.