Ieri sera (tardi – rai tre) in televisione vedo Camila Raznovich che nella trasmissione Tatami salta tutte le questioni di questi giorni e ne capovolge la prospettiva. Parlava di morte. Della scarsa serenità con la quale la affrontiamo e di mille altre culture che invece la affrontano con grandissima "quiete".
Noi siamo qui a lacerarci perchè siamo attaccati alla vita, a quella degli altri più che alla nostra, a tal punto da proporre sequestri di persona per mezzo delle guardie del papa re, interdizione di parenti, controlli di idoneità. Lo schifo dello schifo che in altro modo non si può chiamare, la parola l’e’ quella, mi dice l’ortolano cresciuto coi racconti del su’ babbo a proposito della r-esistenza.
Invece la morte è un fatto naturale. Una cosa certa. Possiamo sceglierla, aspettarla, provare a esorcizzarla ma prima o poi arriva, per tutti/e.
Ero appena adolescente e mi portarono a vedere il film Harold e Maude. Confesso di non averci capito nulla. Poi l’ho rivisto che ero grande, anagraficamente s’intende, che grandi non si diventa mai fino in fondo, per fortuna.
C’era questa donna avanti con l’età che aveva una gran voglia di vivere. Il suo modo di concepire la vita era assai diverso da quello che le avrebbero imposto le convenzioni sociali, la chiesa cattolica, il nostro presidente del consiglio. Niente nipotini da accudire, niente pensione minima e balere, niente ospizi e messe delle 6 del mattino, niente processioni per la santa patrona, niente social card, niente vecchiaia medicalizzata per la felicità delle casse Asl, niente lavori di utilità collettiva e bimbi bulli che ti sputano davanti alle scuole elementari mentre tenti di non farli schiacciare da un tir.
Maude voleva una vita vera, il gioco, la burla, il divertimento, la passione, l’amore. Non stava a consumarsi nella costruzione di progetti futuri rinunciando al presente. Non restava intrappolata in ruoli imposti.
Uno dei suoi divertimenti era partecipare a funerali di persone sconosciute ed è lì che incontra Harold, poco più che adolescente, circondato da un mondo formale e ipocrita, anaffettivo e indifferente.
Harold viene travolto dalla vitalità di Maude e se ne innamora. Vivono una storia bella e intensa, che nel mondo reale sarebbe costato a lei la morte sociale e a lui decine di sedute psichiatriche in Tso. Poi lei accompagna lui, senza strappi, scenate, fronzoli e merletti, verso il distacco.
Lei decide di morire. Ha scelto la data, l’ora, il modo. Harold, pur soffrendo, della sua scelta ha rispetto. Così è stato nel film e così dovrebbe essere per chi lo desidera nel mondo reale.
La domanda che resta senza risposta, dall’inizio alla fine del film, è: perchè mai ci diciamo attaccati alla "vita" se i vivi sono trattati da morti?
un film bellissimo, anche se c’è una parte un po’ patetica, quella in cui Harold “svela” il perchè dei suoi finti suicidi
elisa ecco: QUI trovi quattro immagini. una è ricavata da una foto con due donne del sud abbracciate e l’altra è la foto di tano d’amico che sta anche in testa al blog in tre miseure diverse. prendi quella che vuoi 🙂
grazie!!!
forsononstotroppobene: grazie a te per averla recepita 🙂
non è mica da tutti!
ma il film l’hai visto?
ciao
“perchè mai ci diciamo attaccati alla “vita” se i vivi sono trattati da morti?”
Credo sia LA domanda.
Grazie per averla posta.
fnstb
ehi 🙂
spetta che vediamo di inventarci qualcosa, carico tra le risorse e posto qui il link
Ragazze vogliamo mettere un vostro bannerino anche sul nostro sito… che mettiamo?