Ricevo e molto volentieri pubblico queste riflessioni laiche di Debora Picchi. Le condivido e trovo che esprimano quello che in tanti giorni di analisi ho provato a dire mentre raccontavo nella mia "la guerra è mancanza" il disagio di voler stare assolutamente dalla parte delle vittime palestinesi senza però essere schiacciata da pratiche non laiche che non posso che contestare. Questo intervento si somma quindi ad altre riflessioni raccolte in questi giorni da parte di tante donne che vorrebbero esprimere una partecipazione critica alle manifestazioni pro-palestina.
L’urgenza della nostra richiesta di cessazione del massacro a Gaza non ci consente di chiedere a tutto il movimento che si stabiliscano pregiudiziali chiare: antisessismo, laicità, antifascism-I. Tra le persone che stanno scendendo in piazza in questi giorni ve ne sono alcune che trovo anche alle iniziative contro le ingerenze del vaticano o a quelle per la difesa dei diritti della comunità lgbt. Sono presenti donne che scendono in piazza contro la violenza maschile sulle donne. Eppure poche riescono a dire con chiarezza che lottare contro l’aggressione in palestina non può voler dire schierarsi con fondamentalismi di nessun genere. Per fortuna alcune lo fanno. Grazie a Debora. Buona lettura!
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Per chi di voi legge l’inglese,
suggerisco di consultare il sito delle donne londinesi – di varia provenienza
d’origine – che fanno parte del gruppo WAF ( http://www.womenagainstfundamentalism.org.uk/. ). WAF sta per Women Against Fundamentalism
(Donne Contro il Fondamentalismo). Il gruppo è impegnato sui temi della laicità
in riferimento ai diritti delle donne e mi pare di particolare interesse anche
per il suo approccio trasversale alle ‘culture’. Queste donne si battono
per garantire la laicità delle istituzioni anche in merito alle politiche
rivolte alle comunità straniere in Gran Bretagna. Esse denunciano il pericoloso
atteggiamento – spesso tenuto proprio dalla sinistra – di ‘rispetto delle altre
culture’ che troppo spesso permette e legittima la feroce discriminazione delle
donne.
Mi sembra indispensabile, al fine della riflessione in atto nei vari
movimenti di donne in Italia e al fine di promuovere pratiche e politiche laiche
e di rispetto di genere nelle nostre istituzioni e nella nostra sinistra (?),
tenere conto di questa e di simili esperienze di donne che già da tempo si
cimentano con una società complessa e multiculturale.
Fermo restando i punti importanti su cui ognuna di noi lavora nello
specifico (la difesa della 194, la battaglia contro la legge 40, la lotta alla
violenza sulle donne e così via..), credo che ci dovremmo porre come obiettivo
generale quello di far passare in tutti i luoghi della politica, a partire da
quelli a noi più vicini, un’analisi che affronti seriamente la questione di
genere e la questione della laicità vista in un’ottica trans-culturale. Del
resto forti stimoli in questo senso ci arrivano proprio dalle donne afghane, in
particolare da RAWA (www.rawa.org) e dalla
stessa Malalai Joya (www.malalaijoya.com), vividi esempi di
lotta per la laicità e per i diritti nel cuore del fondamentalismo più cupo.
Tenere uno sguardo aperto su tali esperienze estere mi sembra in questo
senso sano e corretto, non solo perché possono rappresentare un contributo
prezioso al nostro lavoro, ma anche perché credo che sia necessario mettere in
discussione pratiche politiche (ahinoi!) qui di gran moda. Come molte di noi,
anch’io sono sempre più preoccupata dalla resistenza e spesso dall’ostinato
rifiuto da parte di gran parte della sinistra a difendere e addirittura ad
accettare posizioni laiche e di rispetto di genere, soprattutto quando si tratta
di affrontare questioni che riguardano le ‘culture non occidentali’, siano esse
rappresentate dalle comunità straniere presenti sul nostro territorio o da
realtà sociali in altri paesi. Proprio nel trattare tali argomenti, ciò che
dovrebbe essere la ‘sinistra’ – sia istituzionale, sia dei movimenti – troppo di
frequente prende posizioni decisamente discutibili in termini di laicità e di
difesa dei diritti, anzi assume posizioni che spesso annientano qualsiasi
approccio democratico e di genere, e sceglie come interlocutori politici
personaggi o gruppi che per
loro natura sono antidemocratici e discriminatori nei confronti delle
donne.
Credo che sia davvero arrivato il momento di riflettere seriamente su
questi aspetti ed eventualmente di fare una discussione aperta e coraggiosa con
quelli che riteniamo siano i nostri interlocutori ed alleati politici per far
emergere le contraddizioni del loro agire. Personalmente mi sono chiesta perché
nei giorni scorsi sono scesa in piazza per partecipare ad un corteo guidato da
una folla di uomini deliranti che inneggiavano a dio scandendo versetti sacri.
Non trovo risposta. Non c’è risposta. Semplicemente non ha senso! Non è questa
la parte con la quale mi voglio schierare e non è questo il modo in cui mi
voglio schierare.
Sono certa che molte di voi condivideranno il mio disagio ma spero che
troveremo insieme il modo, il tempo e la forza di affrontare questo difficile
tema con lucidità, determinazione ed efficacia.
Debora Picchi
di LibereTutte – Firenze
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Chiaramente non intendevo letteralmente che si debba scattare foto agli animisti impunemente e alla faccia loro in barba alle loro credenze. Il mio era un piccolo esempio che voleva sollevare una questione di carattere generale. Era una sorta di metafora su come vengano lasciati alcuni uomini in uno stato di minorità. Tant’è che ho detto “bisogna smontare la macchina fotografica e mostrarne gli ingranaggi”, laddove con questa immagine volevo che il lettore intendesse: è opportuno far vedere certi ingranaggi della realtà a coloro ai quali sono sempre stati tenuti disonestamente nascosti.
Ed il verbo insegnare, di per sé, non è né umile né presuntuoso: indica semplicemente l’atto di far apprendere ad un altro una cosa che non sa. Non era presuntuoso il mio allenatore di scuola calcio quando da bambino mi insegnava a palleggiare.
Allo stesso modo, non è affatto presuntuoso spiegare ai popoli ed agli individui oppressi come certe superstizioni fortifichino l’oppressore.
Quanto alle missioni cattoliche: beh, io le vedo come colonialismo religioso che contribuisce (paradossalmente mettendo pezze) al colonialismo occidentale tout court.
scusate, a me sembra che un atteggiamento laico implichi come prima cosa l’accettazione della realtà, che non significa non impegnarsi a mutarla. Non è certo scattando una foto, alla faccia delle credenze superstiziose di una tribù, che si ‘insegna’ (che verbo presuntuoso!) all’indigeno che l’anima non gli viene rubata, o addirittura che non esiste nessuna anima… Nè, credo, si ottiene nessun progresso verso la fine del fondamentalismo semplicemente rifiutandosi di accettare che i palestinesi, quasi tutti, credono in Allah, o rifiutando per questo di marciare con loro quando Gaza è sotto le bombe.
Quanto ai cattolici che, in quanto parte della Chiesa, non possono parlare di diritti in Africa o altrove, mi pare una visione miope e ancora una volta ideologizzata… l’azione di alcuni, non certo tutti, preti e missionari in Africa è stata ed è preziosa per salvare vita e diritti di uomini e donne, dando un contributo molto concreto alla presa di coscienza del proprio valore di essere umano, da cui parte un’eventuale scelta laica. Questo è in contraddizione con gli sproloqui del papa ecc? Può essere, ma mi pare un problema dei preti in questione, non una discriminante assoluta.
Claudio: sintesi perfetta! 🙂
(G)ilda vi amiamo assaissimo pure noi 😀
il problema l’abbiamo posto perchè tutte lo avvertiamo come un limite. se ne è parlato a lungo e quando si arrivava al nocciolo della questione ci siamo dette, ma perchè mai bisogna tacere su un fatto non capiamo. ciascuna di noi, in luoghi differenti dell’italia ha partecipato a iniziative di vario genere e in ciascuno non mancava il parente stretto di maometto che prendeva la parola per dare messaggi di vario tipo.
se l’avessero fatto in una qualunque assemblea che riguardava questioni italiche o se alle nostre assemblee ci fosse un fervente cattolico che con gli occhi spiritati prendesse la parola per annunciare la parola di dio e per urlare versi della bibbia assieme agli altri uomini in platea noi come minimo ci saremmo alzate e ce ne saremmo andate. invece siccome si tratta di persone che parlano di palestina dovremmo tacere…
la lotta per la palestina di piazza un tempo era un’altra cosa. l’fplp o l’olp e al fatah avevano una natura piu’ laica, assai machista e militarizzata in qualche caso, che non ci piace neppure quella, ma per lo meno non aderente ad una ipotesi di stato confessionale. quello che c’e’ oggi è tutt’altro. diciamocelo. sono tanti musulmani giustamente incazzati perchè le guerre li stanno massacrando. sono tante persone di origine araba che si sentono arrabbiate fino in fondo perchè defraudate di ogni più elementare diritto ovunque.
la guerra in palestina mi pare un po’ un pretesto per portare in piazza l’orgoglio di popoli che in qualche modo tentano forme svariate di resistenza, dalle scarpe alle preghiere, si…
ma poi c’e’ tutto quel portato di integralismo che abbiamo sentito scivolarci sulla pelle ad ogni urlo nelle manifestazioni.
io a quella alla quale ho partecipato ho avuto esattamente la tua stessa sensazione e quella di debora. un disagio profondo. un fastidio a pelle proprio. mi sono chiesta che cavolo ci facevo lì. perciò il prossimo corteo o le prossime iniziative magari me le farò tra amic* e compagn* in fondo alla mischia. meglio sarebbe con altre donne e con le nostre ragioni. perchè in palestina la gente muore e sono convintissima che lì e altrove di gente laica, compagni e compagne palestinesi, ce ne sono.
parliamone
perchè ci fa bene…
da elementi numerici passive non serviamo a nessuno…
bisogna trovare un senso alla nostra partecipazione…
un bacio
dimenticavo: vi amo!
mi sento sollevata dal fatto che abbiate posto questo problema.
il mio disagio alla manifestazione di firenze è stato molto. nonostante non abbia rinunciato ad
farmela tutta fino in fondo , perchè il momento è troppo grave e bisogna farsi sentire, è dura sentir invocare le “armate di maometto”, noi che ci siamo battute sempre contro quelle con la croce e che abbiamo il vaticano in casa. ho avuto anche accese discussioni su questa roba. il mio disagio è sicuramente di donna, ma anche di persona.
terra acqua e libertà mi va bene.
patria, chiesa, attaccamento identitario no.
così continuo a pensarla.
e mi voglio sentire libera di dirlo anche nel mezzo di una guerra.
anzi, noi che non abbiamo le bombe che ci cadono in testa, noi che non siamo rinchiuse dietro un muro a morire come mosche abbiamo il dovere di continuare a dirlo. di non entrare in una logica di guerra.
sono daccordo con l’assemblea dei migranti di Bologna che dice:
“Esprimiamo la nostra solidarietà con forza, ma lo facciamo senza tradurre il linguaggio della solidarietà nel linguaggio dell’identità……..siamo dalla parte di coloro che in Palestina vivono, lavorano e muoiono non in nome di un’appartenenza religiosa o nazionale, ma perché pensiamo che in gioco non è soltanto la fine di un’occupazione odiosa e di azioni militari criminali, ma anche la capacità di superare proprio un orizzonte nazionale che ha sin qui causato solo morti e distruzione e che mostra in Palestina il suo volto più brutale e violento.”
Ecco, forse per una parte della comunità islamica che partecipa alle manifestazioni le motivazioni sono invece proprio quelle dell’identità e dell’appartenenza. E questo mi fa paura. Questo lo sento contro di me.
Sono entrambe domande retoriche e la risposta per tutte e due è: “Un cazzo. E devono andare a fanculo” 😀
la tua è una domandona da un milione di dollari.
te ne faccio un’altra:
che ci fanno i cattolici a parlare di diritti delle donne nel medio oriente se non per avere la scusa di buttare qualche bomba qui e la dato che poi in italia ci trattano da sguattere e puttane con gli uteri al loro servizio per servirgli prole su un piatto d’argento? 😐
Ti dirò, io, da ateo antiteista, il sogno di estirpare le religioni (che sono pensiero magico-schiavistico) dal pensiero umano ce l’ho. Dunque mi piacerebbe “modificare” certe culture. Per esempio insegnando ai bambini la filologia invece del catechismo.
Ha ragione Debora, hai ragione tu, ed aggiungo: cosa ci fanno i religiosi a parlare di libertà accanto ed insieme alle donne?
Il mio atteggiamento di fronte ad un religioso è questo: “Io ho la mia opinione, tu hai la tua e non ti impedisco di professarla. Purché sia chiaro che la tua tua opinione è una cazzata” 😀
claudio io non intendo modificare la loro cultura. non voglio semplicemente che io sia colonizzata in virtù di qualunque ragione superiore, ivi compresa la guerra.
il mio disagio e anche quello di debora da ciò che ha scritto è dato dal fatto che in ogni causa nella quale investiamo dobbiamo poter essere in grado di trovare un modo per fare pratica politica senza essere prevaricati dai dogmatismi altrui.
ha ragione lei: cosa ci facciamo noi femministe in mezzo a tanti uomini che urlano versetti in nome di allah?
allora bisogna trovare un modo per dire che siamo contro la guerra, questa e altre, contro lo sterminio della popolazione palestinese senza attraversare manifestazioni nelle quali è indispensabile andare vestite, coperte, magari insieme ad un uomo, per non essere guardate senza rispetto.
ad onor del vero molti uomini di cultura araba e soprattutto palestinesi che ho conosciuto per fortuna non sono così. sono laici e intelligenti. ma in piazza ora ho visto di tutto e il disagio è enorme…
perchè in piazza non ci sono soltanto palestinesi ma tutte le persone di provenienza araba che attraverso la religione musulmana urlano rabbia nei confronti degli stati uniti e di israele per le aggressioni che subiscono nei loro territori…
insomma è una cosa complessa e quindi il problema bisogna porselo.
non farlo significa chiacchierare di laicità solo quando ci fa comodo…
Mi viene in MENTE*
qualche anno FA*
un appartenente AD una tribù*
Non SCATTANDO una foto*
Causa stanchezza, ho fatto un mezzo disastro 😀
Mi viene in proposito un manifesto che vidi fuori da un CTS qualche anno. C’era la fotografia di un appartenente di una tribù africana e sotto la didascalia: “Se vai in Africa, prima di scattare una foto, ricordati che per alcune tribù questo equivale a rubare l’anima. Rispetta le altre culture”.
Il mio migliore amico commentò prontamente: “Ateismo: mai viaggiare senza”.
Ecco, quel tipo di rispetto, il rispetto da manifesto pubblicitario da sinistra moderatissima, è il non rispetto borghese: non scatti una foto, continui a far credere all’africano che con una foto gli rubi l’anima ed in tal modo lo lasci nel suo stato di minorità, così lui rimane nella sua categoria di selvaggio mentre tu ti pasci nel tuo progresso scientifico e culturale.
Il vero rispetto, in quel caso, sarebbe spiegare all’appartenente della tribù che non è vero che gli rubo l’anima con una foto, mostrandogli che si tratta solo di ingranaggi, di un disegno più evoluto.
Debora Picchi focalizza intelligentissimamente il medesimo problema: rispetto non è contribuire alla sopravvivenza di superstizioni millenarie foriere di sangue, abuso, disparità, schiavitù, arretratezza e quant’altro; rispetto è portare la parola rispetto dove è ancora assente.
Le religioni – se si parla di femminismo – schiacciano la donna, la violentano socialmente, la torturano in teoria e sovente anche nella pratica. Rispettare borghesemente le religioni significa non rispettare la donna e le donne.