E’ un film di Federico Micali (che ha documentato anche la storia di Lucarelli nel film 99 amaranto). Rilasciato sotto licenza Creative Commons. Già proiettato a Firenze e distribuito in Dvd, sarà presto nelle sale nazionali. Tratto dal libro "Breve storia del cinema Universale" di Matteo Poggi. In poco più di un’ora racconta un pezzo della storia di Firenze prendendo a pretesto la memoria di un cinema dal quale sono passate varie generazioni. Tutte hanno celebrato la memoria di questo posto che ora non esiste più e che in un modo o nell’altro ha influenzato la loro vita.
Al posto del cinema oggi si trova una discoteca ed è una trasformazione che, per dirla con le parole che vengono usate durante il film, in qualche modo descrive bene il passaggio di Firenze da città viva a città immagine.
C’e’ la perdita di una o più identità collettive che si raccontano e che descrivono la città dal periodo dell’alluvione (il ’66) a quello della fine degli anni ottanta. Un cinema che si trasforma in sala d’essai e che ospita la contestazione degli anni settanta, assiste alle perquisizioni della polizia, forma generazioni politicizzate che in quel posto dibattono, spinellano, vivono. E’ testimone della decimazione causata dall’eroina e ospita poi i figli della cultura punk, fino alla degenerazione nella quale il caos era solo fine a se stesso. Si chiudeva un’epoca, nell’89, quando il muro di berlino veniva giù e l’Universale calava definitivamente la saracinesca.
Il film fa raccontare il cine d’essai ai suoi frequentatori e protagonisti. C’e’ di tutto. La cassiera, lo staccabiglietti, un meridionale piccolo e tarchiato, il bodyguard Romanone, personaggi che da soli meriterebbero un racconto. C’e’ il ceto popolare del pignone (il quartiere fuori mura, oltre la porta di san frediano) che si mischiava a quello universitario e politico. La gente comune che assisteva alle proiezioni di easy rider o soldato blu. Le canne come elemento di condivisione e l’agio mentale per vivere quel posto in totale spaparanzamento tra una battuta e l’altra.
La cosa che viene fuori con forza è l’anarchia dello spettatore che consumava la licenza di battuta, di improperio, di commento ad alta voce e in questo tutti erano coinvolti. I cattivi ricevevano lanci di lattine e le scene di sesso venivano apertamente incitate con un tifo che discriminava i bu’hi (buchi, froci in fiorentino) e che ovviamente metteva in croce in maniera sessista le donne.
Lo dice una delle rare intervistate: era duro per le donne resistere in quel cinema ma loro dovevano esserci e quindi restavano a farsi subissare di battute che davano della "troia" alla cassiera mentre quella rispondeva per le rime, non offendendo i fanciulli bensì la loro madre.
Ci sono poi episodi esilaranti come quello della vespa che entra dentro al cinema, fa un giro e poi esce lasciandosi dietro una scia di fumo. O quell’altro dei colombi lanciati in volo sulle teste degli spettatori. Ma ci sono le lotte, i ricordi di generazioni che avevano quel luogo quale unico svago. Perciò ne parlano. Perciò serviva un film per raccontarlo.