Provo a condividerlo in maniera semplice. In questi giorni, mentre ci danniamo l’anima perché i palestinesi vengono massacrati uno ad uno e tentiamo di fare qualcosa per fermare questo sterminio, potremmo trovarci a sentire opinioni di condanna del governo israeliano che hanno radici profonde, credo un po’ differenti dalle nostre.
Una di queste si chiama “negazionismo” (che va tanto a braccetto con il “revisionismo”). Lo dice la parola stessa. È la pratica del negare qualcosa. In questo caso un pezzo di storia rispetto alla quale c’e’ chi ha avanzato dubbi. Avete presente l’antisemitismo nazista? Non è morto con la fine della seconda guerra. Ha trovato una sua forma, diciamo così, intellettualizzata a partire dalle voci di illustri rappresentanti di destra che hanno semplicemente cominciato a negare che la storia del massacro degli ebrei fosse vera arrivando alla conclusione che in realtà fosse stata del tutto inventata. Niente campi di concentramento, niente camere a gas, niente forni, niente esperimenti sui corpi dei prigionieri. Gli ebrei erano in un club vacanze a prendere il sole e a fare bagni in piscina con tanto di colazione servita a letto.
Vero è che gli ebrei dal canto loro hanno contribuito alla negazione di un altro pezzo di storia che invece si riferisce allo sterminio di migliaia di lesbiche, gay, rom, partigiani, dissidenti, intellettuali in dissenso con il regime fascista. Vi hanno contribuito quanto meno minimizzandola per far emergere con più forza lo sterminio ai loro danni. Ma questa è un’altra storia e non è questo il momento di raccontarla.
Si diceva dei negazionisti. In questi giorni hanno ricominciato a far sentire la propria voce tra gli applausi generali e quel che è peggio sembra proprio che c’e’ chi ritiene che questi possano rappresentare gli ideali di chi contesta la politica di Israele da sinistra.
L’altra si chiama “terzoposizionismo”. Terza posizione fu una organizzazione di destra degli anni settanta che coinvolgeva pezzi di rappresentanze di destra extraparlamentare, si fiondava nel bel mezzo dei gruppi studenteschi e si opponeva all’msi che veniva giudicato reazionario (Né fronte rosso, né reazione, lotta armata per la Terza Posizione!). Terza posizione era frequentata da nomi di spicco, alcuni dei quali ancora noti e persino legittimati sul piano politico nazionale, con un legame che potremmo definire “platonico” con i nuclei armati rivoluzionari (nar) dei quali non credo di dovervi raccontare nulla.
Terza posizione ce l’aveva con il capitalismo degli stati uniti e con la russia. Si definiva contro gli imperialismi e quella stessa "posizione" si è arricchita via via di nuove possibilità di speculazione teorico-politica. Israele è sorretta, finanziata, coccolata dagli stati uniti, e non solo da quelli. Israele è diventato nella testa di chi ha ereditato la mentalità terzoposizionista un ulteriore obiettivo contro il quale condurre azione politica.
Negazionismo e terzoposizionismo si sono mischiati (o hanno provato a farlo generando quasi sempre episodi che hanno stimolato la repressione) spesso nelle nostre lotte. Quando parlo di noi io penso a tutta quella cultura di sinistra che parte dalla resistenza partigiana, che è antifascista e antitotalitarista, che riconosce ogni oscenità compiuta dal nazismo ma distingue quel pezzo di storia dai fatti attuali. Perché gli israeliani non possono sentirsi in diritto di appropriarsi di una terra che non è la loro facendo pagare ai palestinesi un debito storico che neppure li riguarda. Siamo quelli che abbiamo chiara la differenza tra governo israeliano e israeliani. Sappiamo che tra gli israeliani vi sono dissidenti, soggetti critici. Contestiamo la politica del loro governo e gli interessi che guidano la loro scelta e non l’intero popolo. Interessi che usano un pregiudizio, integralizzano (se si può dire), fondamentalizzano una cultura per renderla funzionale agli obiettivi degli stati uniti che ha sempre avuto bisogno di una base Nato in pieno medio oriente.
Insomma la questione è assai più complessa e la semplificazione fanatica non ci appartiene. Tale semplificazione viene comunque presa a prestito, spesso anche in buona fede, da persone che allo svelarsi dei profondi limiti delle ideologie – penso all’atteggiamento critico emerso con più chiarezza contro le dittature comuniste – mancano, come dire, di un pilastro di riferimento. Di un luogo saldo al quale ancorarsi per non lasciarsi trascinare via da argomentazioni di opposizione pressappochista. Di una cultura certa, fatta di conoscenza del passato, con tutti i suoi pro e contro, per non lasciarsi affascinare dalla “forza” delle argomentazioni certamente fasciste che assumono una coloritura più netta rispetto al blando rosa a pois che oramai vediamo sulle scene dei comunisti ri-f(i)ondati o – peggio – democraticizzati.
C’e’ una cultura di sinistra un po’ vaga e disorientata che da un lato riesce a ritrovare vigore solo indossando (interpretando) abiti cari (alla destra) a quella cultura dei linciaggi giustizialisti, dei metodi e dei comportamenti accentratori, autoritari e assertivi, dei processi agli individui (tanto cari anche alle br), della contrapposizione corpo a corpo agli squadrismi machisti (e chi si sottrae è femminella o frocio – a proposito di omofobie sinistrorse – sicchè anche per le donne "emanciparsi politicamente" significherebbe placcare il fascio con le tette :P), della elezione a leader assoluto di questo o quell’altro personaggio che riesce ad ottenere più popolarità attraverso uno show piuttosto che per il suo accento meridionale, dall’altro si fa incrociare dagli slogan terzoposizionisti e negazionisti per meglio sostenere i propri motivi che con la storia di quegli slogan non c’entrano proprio nulla.
Effettivamente si. La storia è un po’ confusa ma tanto semplice e chiara se ci pensate bene. La cultura di sinistra è permeata di una mentalità di destra, forse da sempre, forse da ora, non lo so. Lo è nelle modalità prima ancora che nelle parole. Lo è nel riprodurre pratiche senza saperne anteporre altre. Lo è in quella incapacità di sforzo critico che non permette di andare al di là del dito che prova inutilmente a indicare la luna. Lo è persino in quegli sfoggi di estrema coerenza e integrità che diventano censori, autoritari, giudicanti, inquisitori della complessità altrui. Lo è in quella incapacità di ascolto, in quella tendenza a far diventare scontro quello che dovrebbe essere affrontato come conflitto costruttivo. Lo è in quella tendenza a creare gerarchie, regole, chiese, a sublimare dogmi che diventano stretti per chi si sente laica/o e vuole avere il diritto a scegliere con la propria testa, senza dover necessariamente vivere la propria passione politica intruppata in un esercito che non fa domande e che recita a memoria gli stessi slogan stanchi da giorni, mesi, anni.
Quello che so è insomma che questo permette a negazionisti, revisionisti e terzoposizionisti di dire che il fascismo non esiste più. Non nella modalità nella quale si esprimeva prima. Si tratterebbe ora di due culture “legittimamente” contrapposte. I naziskin, gli ultrà fasci e gli amici di forzanuova sarebbero soltanto degli insetti resistenti che insistono a fare politica a suon di coltellate e che non sanno ascoltare. Se sapessero farlo avrebbero udito parole garbate che affermavano che destra e sinistra non esistono più. Il mondo è tutto un grande arcobaleno, il cielo è blu, il sole fosforescente, i ghiacci non si sciolgono e il buco nell’ozono in realtà è un forellino piccino picciò che si può rattoppare con un pezzo di chewingum. Se fossero stati a sentire avrebbero capito che il fascismo si fa legittimare dagli ebrei con una visitina ad auschwitz e si intrufola nei contesti di sinistra facendo lotte contro imperialisti e israeliani.
In questi giorni, perciò, state attenti alle azioni che appoggiate, ai comizi che applaudite, alle petizioni che firmate. Leggete quali gruppi li propongono e chiarite bene – se volete – che fascismo e la vostra lotta contro la politica di Israele, in qualunque modo voi la state compiendo – attraverso il volontariato, con la scrittura, con le petizioni, le manifestazioni, i presidi, i sit in, la raccolta fondi per il popolo palestinese, etc etc, non c’entrano nulla e non possono andare a braccetto insieme. O per lo meno abbiate chiaro che potete contaminare ogni luogo con i vostri contenuti solo se non perdete di vista i vostri obiettivi per sposare quelli altrui. Le accuse di antisemitismo a sinistra (?) incombono o potrebbero essere indotte e assieme a quelle a pioggia sappiamo bene che arrivano i sospetti di terrorismo, le perquisizioni, etc etc. Tutte belle scene che non colpiscono quasi mai i fascisti. Chissà come mai.
Per capirci: non esiste solo il rosso e il nero. Esiste anche una lettura della storia in fucsia. Provate. Potrebbe piacervi! 🙂
—>>>Leggere anche "Gaza, e il bisogno di mantenersi lucidi"
—>>>Vignetta "Bad Boy – Storia e revisionismo" a firma Lombardi presa in prestito da QUI
No, quello si capiva bene, stai tranquilla! Ho un po’ divagato, anche se credo che siano argomenti connessi… Da un lato si può odiare Israele perché fascisti, dall’altro si corre il rischio di fare di tutta l’erba un… FASCIO! Credo di aver anche voluto dare una risposta a quanto dicono i mille commenti in giro per la rete dei soliti sostenitori d’Israele…
Buon anno anche a te!
non volevo propriamente spiegare che gli israeliani non sono tutti uguali. mi sembra una cosa scontata m hai fatto bene tu a pubblicare oggi il pezzo tratto dal manifesto che ho linkato alla voce soggetti critici su questo post. a me premeva di più raccontare del fatto che vi sono oppositori israeliani, che si esercitano spesso in dimostrazioni d’odio contro quello stato e che non sono propriamente pacifisti ma fascisti in senso stretto. spero che questo si sia capito.
ciao 🙂
e buon anno
Hai fatto assolutamente bene a pubblicare questo post. Tant* si guardano dal criticare la POLITICA israeliana a causa dello stereotipo per cui criticare il governo d’Israele sia dare prova di antisemitismo. Tant* altr*, di fronte alle immagini di morte che arrivano da Gaza, potrebbero minimizzare quanto avvenuto nel ‘900 ai danni del popolo ebraico (e non solo). Il 27 gennaio, data della liberazione di Auschwitz, sarà la giornata della Memoria. La tragedia del nazismo e della «soluzione finale» è sicuramente come proporzioni la più clamorosa dell’intera storia umana: dobbiamo stare attenti a non dimenticare, perché c’insegna dove ci siamo spinti e dove ci possiamo spingere. Credo fortemente che l’attuale comportamento di Israele dipenda dal NON aver interiorizzato la terribile lezione patita dal popolo ebraico, anche se certi accostamenti possono non essere felici, perché stimolano soltanto polemiche sterili. Complice la celebrazione ufficiale della Memoria, parleremo spesso della Shoah, nel prossimo futuro: ma sarà necessario farlo cercando di trasformare il ricordo in un’occasione per ripensare le nostre politiche di morte (mica soltanto quelle israeliane) e per cercare una via nuova alla pace… I 6 milioni di morti ebrei non sono in alcun modo responsabili della politica di Tel Aviv. La distruzione e la morte che cadono su Gaza non possono essere accetatte perché altrimenti si è antisemiti!