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Trombatrice precaria: comparazione generazionale

Trombatrice precaria negli anni ottanta, ovvero dei flash back di quando ero gggiovane e un po’ meno sveglia.

Capello cotonato, depeche mode nelle orecchie e spalline da Spazio 1999 che mi facevano sembrare un parallelepipedo.

Il mio ideale di vita al femminile era flash dance. Solo che in Sicilia non c’erano posti da saldatrice e soprattutto la mia stanza non era uno scantinato di un chilometro quadrato. Al massimo ci potevo saltare sul posto. Figuratevi che per allenarmi a fare la spaccata dovevo arrampicarmi sul comò.

Ad ogni modo ero abbastanza snodabile e quindi mi si adattava la trombata in macchina con il cambio che mi trapanava l’osso sacro e il freno a mano che spaccava il mio lato b in quattro creando un vero e proprio varco alternativo.

Lui era abbastanza tasciuliddu. Immaginate lo stigghiolaro della vucciria con i capelli di simon le bon. Il risultato era davvero terrificante. Ma in quel momento mi sembrava l’essere più fascinoso del mondo.

Mischino, era pure pieno di premure. Ogni volta che ci incontravamo lui aspettava che io mi svuotassi di tutte le imbottiture che a occhio e croce riempivano tutto il sedile di dietro. Mi è capitato qualche volta di tornare a casa con una spallina in meno e non potete immaginare la sofferenza di dover stare con una spalla sollevata e rigida  per fare il paio con l’altra. Di togliere le spalline non mi veniva proprio in mente. In quegli anni se non sembravi un armadio quattro stagioni ti sentivi lària (brutta anzi di più) come la morte.

Quella volta ci fu un incontro abbastanza appassionato. Nella foga non si riuscì a reclinare tutto il sedile e le varie imbottiture finirono un po’ dappertutto. Qualcuna deve essersi bloccata proprio in mezzo alle mie cosce perché ad un certo punto vedo lui che si mette a trafficare la’ sotto ed è tutto concentrato a farmi venire. Nel frattempo lo vedevo fare su e giù come un pazzo e sembrava che non avesse avuto mai una strada così libera.

Dopo un gemito vastaso e un altro abbastanza sofferente lo vedo che mi osserva con un punto interrogativo stampato in faccia.

“ma perché non dici niente? Eri tutta bagnata. Ti è piaciuto vero?”
“a me no, ma alle mie spalline sicuramente si…”

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Torniamo ai giorni nostri:

Beddamatri santissima che picciottazzo. Un pezzo da novanta. Bello, bello, bello. Capello lungo che sembra gesu’, labbro carnoso che me lo mozzicherei tutto, occhi verdi che se li cerchi non si trovano neppure in un catalogo.

E’ un giovane interattivo. Di quelli che se usi i comandi della playstation lui ti cambia il finale. Ha la passione per i computer. Più che passione è una specie di buco nero che se lo suca dalla sua scrivania e lo fa gravitare, penso, in un’altra dimensione. Se non è così allora non si spiega il suo sguardo assente mentre tracchiggia con una mano sulla tastiera, una sul mouse, una con le dita nel naso e un’altra ancora a grattarsi le big bubble.

La razza in questione è di quelle tecnologiche, cresciute davanti ai video games. Se non fanno almeno quattro cose insieme soffrono come bestie.

Lo conosco in chat. Uno che finalmente mi risponde alla stessa velocità. Quanto mi rompe quando c’e’ quello che parla con me e nel frattempo si fa la sega con un’altra. Non sapete quanto odio stare a turno. Che per trombare virtualmente, che vi pare semplice ma è un lavoro che dovrebbe essere riconosciuto con apposita qualifica, ci vuole il numeretto come dal carnezziere.

Lui e’ veloce con la tastiera e lo è anche nelle battute. Dolce74, così si chiama. Quando mi confessa che nel frattempo sta facendo altre mille cose quasi non ci credo. Poi però lo rivaluto. Uno che si legge la posta, naviga su internet, si scrive due righe di codice tanto per gradire, mixa della musica e chatta anche con me, tutto allo stesso tempo, merita tutta la mia ammirazione. Giuro che non mi ha mai fatto sentire in stato di abbandono.

Non come quelli che ti fanno venire le filìnie (ragnatele) a furia di aspettare.

Quello che non immaginavo era che lui potesse essere un multiaction anche nella vita reale.

Mi invita a cena. Non vi dico quanto c’ho messo per prepararmi. Mi depilo. Filippa mi viene con il pelo un po’ sbilenco. Provo a dare una simmetria regolare. Mi viene una cosa a zig zag che neppure zorro avrebbe potuto fare di meglio.

Mi guardo meglio e alla fine della zeta pelosa vedo un foruncolo con una minuscola palla bianca. Non so se avete presente. Sono bolle dolorosissime che hanno ettolitri di pus segnalati da un puntino chiaro all’esterno. Decido che deve sparire. Nel giro di un minuto Filippa è diventata la zeta pelosa con una voragine in cima. Una fica alle pendici dell’etna.

Mi vesto, mi trucco, e finalmente esco. Lui abita in un appartamentino all’ultimo piano di un palazzo nuovo. Stanze quadrate, tetti regolari, finestre in alluminio, mobili legnomarket, saloncino con angolo cottura e camera con letto – vissuto – vicino all’angolo della tecnologia. Un bel po’ di libri e musica hard rock  a tutto volume.

Bella atmosfera, gli dico. Lui non afferra l’ironia.
Sembrano maiali scannati a natale, rilancio. E mi riferisco chiaramente al pezzo “soft” che lui ha scelto come colonna sonora del nostro incontro.

Lo vedo partire a razzo per spegnere lo stereo. Mi sembra un gesto di grande sensibilità se non fosse che resta un sottofondo isolato di qualche scrùscio (suono, rumore) tipo la musichetta antipatica del Pac Man.

Mi pare male a dirgli di sparare sul computer per abbatterlo e decido che è sempre meglio della musica di prima che rischiava di farmi venire una crisi epilettica.

Lui ha preparato la cena: pizza vegetariana surgelata riscaldata in forno e un contorno di verdurine tristi e scondite. Da bere c’e’ un bel cerasuolo di vittoria che ho portato io.

Non apparecchia ma mi consegna il piatto e quando è sicuro che gli ho timbrato una ricevuta metaforica si lancia dritto verso il computer.

Faccio una cosa e arrivo subito, mi dice.

Mi rendo conto che il suo “subito” è abbastanza vago. Va da qui all’eternità e secondo me supera anche l’infinito. Mi concentro sulla pizza. Sa’ di colla. Se l’appallottolo e la lancio sulla crozza di dolce74 secondo me ha l’effetto di una bomba atomica. Provo a sgranocchiare qualcosa di verde. Cibo da stitici anche quello. Nel frattempo tracanno vino che è una bellezza.

Il cerasuolo mi sembra l’unico elemento seducente della cena. Il mio sguardo comincia a fissare un punto vuoto e quando la mia testa si risveglia dallo stand by vedo che finalmente l’uomo spegne il computer.

Si dirige verso di me e io mi sforzo di fare la faccia più sensuale che posso. Mi sento una triglia sopravvissuta ad una pesca di frodo. Ho un sorriso da ebete e la bottiglia di vino è mezza vuota.

Senza curarsi della pietanza di plastica che ho lasciato sul piatto lui si avventa su di me.

Ci siamo, penso. Trombata time. Finally. Mi si ravviva l’occhio e non riesco a trattenere una risata eccitata. Lui fissa la mia bocca e spalanca la sua. Eccoci: vegetariano con i cibi e cannibale con la trombatrice precaria qui presente.

Il suo labbro carnoso è letale e ingloba il mio che diventa un ostaggio privo di possibilità di movimento. Mi paralizza pure la lingua mentre la sua sta circumnavigando le radici dei miei molari e minaccia di recarsi in visita di cortesia fino alle porte dell’esofago.

Quando mi lascia l’opzione respiro, giusto per pochi secondi, provo con indifferenza ad asciugare lo tzunami di saliva sulla sua maglietta. E’ vischiosa e sembra la traccia di una lumaca incontinente senza pannolone.

Con tenacia e determinazione dolce74 si fissa su un punto del mio collo e non si sposta fino a quando non ha provocato un maremoto pure lì. Infine mi spoglia e con la delicatezza di un operatore ecologico – precisamente della sede nettezza urbana a borgovecchio – arriva alle mie mutande.

Riesco ad anticipare la sua mossa e prima che depositi sputazza sulla mia preziosa lingerie mi sfilo lo slip. Per la rapidità con la quale devo effettuare il movimento scuoto la panza – con il vino a digiuno – che sta soffrendo per il mal di mare. Riesco a trattenere un conato di vomito.

Lui è deciso a dare una passata di lingua alla mia Filippa. In qualunque altra occasione e con una secrezione umana di liquidi, gli avrei fatto una statua. Al momento però io penso al vulcano. Temo che stuzzicarlo non sarebbe una buona cosa. Una simile inondazione potrebbe causare la fuoriuscita del magma.

Faccio un altro movimento rapido per raggiungere la cintura dei suoi pantaloni. Come diversivo. Comincia a girarmi la testa. Lui mi rimette a posto, come si fa con le auto che sbandano nelle sequenze di corsa virtuale. Si lancia su Filippa e il connubio di pelo appena rasato, vulcano spremuto e sputi abbondanti, mi provocano un prurito che chiama la grattata imperiale. Lui mi sega la mano e crea una barriera tra i miei arti e la mia ‘ippa.

Mi metto in posa rassegnata. Aspetto che lui si sazi e mi propongo di spiegargli la differenza tra un cunnilingus e una leccata all’uovo. Un po’ di farina e la Filippa panata è pronta per la frittura.

Lui è veloce, si vede che sta pensando anche ad altre cose. Un alienato tecnologico. Altro che il magnifico maschio polifunzionale che mi ero immaginata.

Continua a leccare a scatti senza lasciare una sola zona asciutta e tiene gli occhi chiusi. Non mi sorprenderebbe se nella sua testa vedesse scorrere i pezzi del tetris.

Il vomito sale in un attimo. Non mi lascia il tempo di allontanarmi e lui mi tiene stretta come un animale che non vuole lasciare la sua preda. Gli macchio il divano e lui finalmente si stacca e fa il dispiaciuto.

Potevi dirmelo che stavi male, mi rimprovera.
Mi stavi facendo il bidèt. Ho pensato che liquido più, liquido meno, non avrebbe fatto differenza. – Lo osservo.

Mi porta una mappina (tovagliolo) mezza sporca e mi fa cenno di andare in bagno. Mi asciugo come posso. Quando torno da lui è già impegnato a fare l’ammazzatutti in un gioco di guerrieri.

Senti io andrei, comunico.
Hai bisogno di qualcosa? – Se ne accerta.
Si, mi porto la bottiglia di vino. E’ stata l’unica cosa asciutta della serata.

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