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Vietato abortire in Sicilia. Inchiesta sugli ospedali siciliani


Questo articolo è tratto dal settimanale stampato dal palermitano Centro Studi Pio La Torre. Potete trovare le pubblicazioni in pdf disponibili QUI. Si parla di aborto e sicilia, due parole che non vanno assolutamente d’accordo e l’autore di questa bella inchiesta vi spiega il perchè.

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Aborto, un esercito di medici obiettori vanifica i benefici della 194 in Sicilia. Ecco la mappa degli ospedali dove si può abortire. Ad Agrigento il record dei divieti. 

di Dario Prestigiacomo

Oggi, quando si parla di aborto e obiezione di coscienza, il pensiero va subito a Giuliano Ferrara e alla sua lista elettorale uscita abbastanza malconcia dalle urne. In pochi, però, ricordano che la battaglia ideologica contro l’interruzione di gravidanza era già partita qualche anno fa. E non dalle pagine de “Il Foglio”, ma dalla Sicilia, per la precisione dalla cattolicissima Agrigento. Nella città dei templi, infatti, dove da tempo trovare preservativi e altri anticoncezionali in farmacia è un’impresa, nel 2003 suscitò scalpore l’iniziativa della locale Ausl, che, in convenzione con l’associazione “Difendere la vita con Maria”, aveva deciso di aprire un “cimitero” per i feti derivanti da operazioni di aborto. Sono passati cinque anni da allora, ma del cimitero non se n’è saputo più nulla.

Del resto, si è pur sempre in Sicilia. Ma Agrigento, nonostante tutto, resta ancora oggi una delle roccaforti italiane della lotta all’aborto. Nell’unico ospedale della città, il “San Giovanni di Dio”, tanto per fare un esempio, da più di un lustro per un’interruzione di gravidanza si deve attendere l’arrivo, una volta a settimana, di un medico di Mazzarino, in provincia di Caltanissetta. Non che manchi il personale: nel reparto di ostetricia lavorano ben 44 persone, di cui 13 medici e 10 ostetrici. Il problema è che nessuno di questi è riuscito a resistere al richiamo dell’obiezione di coscienza, tanto che, si racconta, ogni volta che una donna abortisce, una parte del personale del reparto si riunisce in preghiera nella vicina cappella per celebrare speciali "messe per la vita".

Ma guai a pensare che nell’Isola questa situazione riguardi solo Agrigento. All’ospedale di Mazzarino, da dove proviene il ginecologo che opera al San Giovanni di Dio, c’è solo un capo sala ad aiutare l’unico medico non obiettore del reparto di ostetricia. «Qui è ormai diventata una lotta contro il tempo – racconta un infermiere – Non solo ad Agrigento, ma anche a Caltanissetta e a Enna ci sono troppi pochi centri per l’interruzione di gravidanza. Così, l’utenza aumenta e i tempi di attesa si allungano». Un altro esempio limite è la provincia di Enna: dei quattro centri per l’interruzione di gravidanza censiti dalla Regione nel 2003 ne è rimasto soltanto uno, nel capoluogo, all’ospedale Umberto I.

Chiuso il centro del “Basilotta” di Nicosia. Al “Chiello” di Piazza Armerina le attività sono state interrotte per mancanza di personale non obiettore. Anche l’Ivg del “Capra” di Leonforte non accetta più prenotazioni. Il motivo per cui è chiuso non ci è dato saperlo. Vano anche chiedere al centralino del reparto di ginecologia a quale struttura poterci rivolgere per prenotare un intervento d’aborto: «Non sono cose che ci riguardano – dice una donna al telefono – Posso solo dirle che qui non facciamo operazioni». Eppure, fino a un lustro fa, la situazione in Sicilia non sembrava poi così critica. Anzi, l’Isola, stando ai dati del Ministero della Salute, appariva quasi l’avamposto della laicità italiana, visto che a fronte di una media nazionale di circa 70 obiettori ogni 100 medici, la media da noi si fermava a poco più di 40.

Ma basta fare un viaggio nelle principali province siciliane per capire che in questo lasso di tempo la situazione è cambiata drasticamente. Nella provincia di Palermo, ad esempio, su un totale di 95 ginecologi che lavorano nei 5 centri per l’interruzione di gravidanza attualmente funzionanti (quello di Villa Sofia è stato temporaneamente sospeso per dei lavori di ristrutturazione) i non obiettori sono rimasti soltanto in 8: tre sono al “Civico” (su 26 ginecologi), due al “Cervello” (su 15), uno a testa al “Policlinico” (su 35), all’“Ingrassia” (su 9) e all’ospedale di Petralia (su 5). Al reparto di ginecologia dell’ospedale di Termini Imerese l’intera équipe ha scelto la strada dell’obiezione e così le operazioni sono state interrotte.

A conti fatti, la quota di chi ha smesso di praticare aborti nella provincia palermitana è del 91,5 per cento, percentuale notevolmente più alta della media nazionale. Che quello di Palermo non sia un caso anomalo lo si può constatare prendendo a caso due grandi ospedali di Messina e Catania. Al “Cannizzaro”, nel capoluogo etneo, di 12 medici ne è rimasto solo uno che va ancora in sala operatoria. Va un po’ meglio, così per dire, al “Piemonte” di Messina: 2 non obiettori su 14 ginecologi. La media di obiettori, insomma, si aggira sempre intorno al 90 per cento. A confermare questa tendenza ci sono le ultime rilevazioni del Ministero della Salute, pubblicate pochi giorni fa e relative al 2006: ora la quota di obiettori in tutta l’Isola raggiunge tra i ginecologi l’84,2 per cento. Il dato più alto tra le regioni italiane.

Alte anche le percentuali di obiettori tra gli anestesisti (76,4 per cento) e il personal non-medico (84,3). Ma cosa è successo in questi anni? Come mai questa escalation così imponente di obiettori? Guardando alle cronache e ai dibattiti televisivi, si potrebbe pensare che le gerarchie ecclesiastiche e i loro sostenitori dei vari movimenti per la vita stiano facendo proseliti. Ma c’è poi la sonora batosta elettorale della lista “No, aborto” di Giuliano Ferrara a far venire qualche sospetto. Sospetto confermato da un ginecologo siciliano, che, sotto la promessa dell’anonimato, spiega: «La verità è che la religione c’entra poco o nulla.

Chi sceglie l’obiezione di coscienza lo fa nella maggior parte dei casi per questioni di carriera, perché quando si resta in pochi ad accollarsi tutte le operazioni di Ivg, si rischia di entrare in un circolo vizioso per cui l’unica attività che fai è l’aborto. Non cresci più professionalmente. Una situazione che alla lunga ti sfianca fisicamente e psicologicamente». Per capire meglio cosa succede negli ospedali, basta considerare che ogni mese nella sola provincia di Palermo vengono compiute circa 200 operazioni: tradotto in ore, significa che ogni medico non obiettore resta in sala operatoria anche dieci ore a settimana.

La conseguenza è che non solo i ritmi per i ginecologi diventano insostenibili (con il serio di rischio di commettere errori), ma anche i tempi di attesa per le donne si allungano a dismisura. Negli ospedali siciliani presi in esame, si va da un minimo di 4 ad un massimo di 6 settimane. «Niente di più lontano da quanto si indica espressamente nella legge 194 – dice Antonella Monastra, consigliere comunale e responsabile del consultorio di via Danisinni a Palermo – Ormai si fa fatica anche a trovare barellieri non obiettori». A rischio sono soprattutto le donne che la decisione d’abortire la prendono in ritardo: solitamente a loro vengono riservati gli interventi d’urgenza, per non sforare le 12 settimane di gravidanza che la legge prevede come tempo massimo oltre il quale non si può più abortire.

Ma quando i centri per l’Ivg scoppiano di domande, quasi tutte le operazioni diventano urgenti. E così, il rischio di non potere più abortire si fa concreto. Non a caso, pare che negli ultimi anni si stia riaffacciando nell’Isola una vecchia e odiosa pratica che sembrava ormai quasi debellata: l’aborto clandestino. «A ricorrervi sono soprattutto le immigrate – dice Gabriella Filippazzo, medico e componente del Coordinamento di donne per la 194, cartello che raccoglie singole professioniste, associazioni e sindacati – Ma non mi stupirei che in questa situazione anche qualche donna siciliana abbia chiesto aiuto alle mammane».

Centri chiusi, medici sfiniti, attese interminabili, persino il ritorno delle mammane: è questo, insomma, il contesto dentro il quale le donne siciliane sono costrette a muoversi quando decidono di abortire. «Questa non è una terra per donne – dice Valeria Ajovalasit, presidente di Arcidonna – E non lo dico solo perché la Sicilia ha il più alto tasso di disoccupazione femminile del paese e tra le percentuali più alte di donne vittime di violenze. Il problema è che continua a persistere un preoccupante ritardo culturale, alimentato da una classe politica incompetente e inadatta a guidare questa regione verso l’Europa.

Un esempio – dice ancora – ce lo ha dato recentemente la giunta Cuffaro, che, insieme alla Lombardia, ha deciso di non votare le linee guida messe a punto dal ministero della Salute per una migliore applicazione della legge 194. Una scelta cinica, perchè non tiene conto della situazione drammatica in cui versano oggi le strutture pubbliche per l’interruzione di gravidanza, dove la mancanza di medici non obiettori sta rendendo impossibile una corretta applicazione della legge e, conseguentemente, sta mettendo a rischio la salute di migliaia di donne». In questo contesto, qualche mese fa, alcuni maggiorenti siciliani di Fi hanno pensato bene di ritirare fuori le vecchia idea di un camposanto dei feti. La proposta è stata portata all’Ars, perché stavolta l’intento è di istituire in ogni provincia uno di questi speciali cimiteri. Del resto, come diceva il prete (la parodia di don pizzarro ndb) di Corrado Guzzanti, «a noi interessano i morti, mica i vivi».

—>>>L’immagine viene da qui 

Posted in Corpi, Omicidi sociali.


One Response

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  1. Manuela says

    Non è certo un problema solo della Sicilia,ormai anche a Milano succede la stessa cosa.Succede anche di peggio:medici che non “vedono”danni gravi ed evidenti nei feti ,proprio perchè le donne non abortiscano.Continua la politica clericale per mungere quattrini alla gente.Le strutture di ricovero per i disabili ormai adulti non portano più molta grana,in quanto non impietosiscono tanto come da piccoli perciò serve carne fresca ,che non arrivava più da quando le donne si rifiutarono di essere incubatrici ad ogni costo ,dietro scelte di altri che se ne fregano della sofferenza inflitta ad esse e ai loro figli,colpevolizzate perchè osano volere figli sani.Non mi sembra che i cattolici rifiutino trapianti di organi ,perchè lì, a volte ,si stacca la spina per prelevarli,gli organi.Non mi risulta nemmeno che rifiutino cure avanzate,in quel caso la scienza va più che bene anche a loro.Le strutture per disabili sono un gran busines per chi ha tutte le agevolazioni fiscali possibili e sottopaga il personale sfruttando gli immigrati che non osano rifiutare doppi e anche tripli turni..L’ho visto fare a molti colleghi ricattabili per via del permesso di soggiorno.La chiesa non ha mai deviato dalla propria politica di colpevolizzazione delle donne e di sfruttamento dei lavoratori ,adesso poi vive un momento d’oro e se le donne non si uniscono di nuovo per difendersi insieme dagli attacchi feroci dei benpensanti vedo un futuro che tale non è…sarà il momento dell’annientamento totale . I primi soggetti a cui togliere diritti …era ovvio che sarebbero partiti dalle donne perchè è colpendo loro che colpisci tutta la società ,che magari neanche se ne accorge .