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Il diritto alla felicità sessuale per le donne

Bisognerebbe avviare una campagna affinchè le neomamme di figli maschi mettano loro il nome "Evo". La bella idea l’ha avuta ImPrecario [e di buone idee lui ne ha tante: basti pensare al suo "Filastrocchio", gustosissimo libro di ironiche e militanti riflessioni civili in rima].

Chiamare un figlio maschio "Evo" potrebbe
servire a dare un po’ di equilibrio a questa sbilanciata e assillante
ripartizione di ruoli. La storia ci serve anche per stabilire che non siamo madonne e neppure dobbiamo mai espiare quell’invenzione che fu il peccato originale. Un
sesso al femminile noi ce l’abbiamo e non è neppure una cosa omologata,
poichè siamo differenti anche tra noi. Insomma, non siamo isteriche, non
siamo frigide, siamo un po’ etero, un po’ lesbiche, un po’ senza schemi
e senza etichette, un po’ libere, un po’ come ci pare. Quello che è
certo è che abbiamo diritto a provare piacere e su questa strada la
ricerca è ancora lunga. Ma come per tutti i percorsi difficili si ha
bisogno quantomeno di iniziare da un punto chiaro.

Leggete questa notizia: "Si
chiama Maria Soledad Vela, è una deputata ecuadoriana vicina al
presidente Morales e ha chiesto all’Assemblea costituente del suo paese
che il diritto al piacere sessuale delle donne venga riconosciuto
ufficialmente dalla prossima Costituzione. Mai prima d’ora la "carta
magna" di una nazione aveva inscritto questo diritto
nei suoi dettami, ma la signora Vela non sembra avere dubbi in
proposito: «Garantire il diritto alla felicità sessuale per ogni donna
è un modo per riconoscere loro la possibilità di prendere decisioni
libere e responsabili sulla propria vita sessuale e per lottare meglio
contro il ruolo di oggetti riproduttivi che storicamente le è stato
assegnato dalla società in Ecuador». Come ha poi precisato la stessa
deputata, la sua proposta rimarrà separata dalla sfera autonoma del
diritto sessuale ecuadoriano.
" [da Liberazione]

Questo mi sembrerebbe un
inizio più che sensato. Che la democrazia (o quell’utopia che non è mai stata realmente realizzata) non è mica iniziata senza che
lo si scrivesse da qualche parte. Così per la libertà dalla schiavitù
di ogni uomo e ogni donna piegati al servizio coatto dei ricchi.

Il piacere femminile è
sempre stato piegato al volere degli uomini. E quando non ci piaceva
quello che facevano allora eravamo isteriche o frigide. Se cercavamo
orgasmi e godimento invece eravamo ninfomani. Perciò si tratta di
schiavitù e nel nostro percorso di liberazione effettivamente ci
sarebbe bisogno di scrivere da qualche parte che una società come si
deve dovrebbe essere basata su una carta di diritti che preveda anche
quello al piacere femminile.

Questo percorso noi lo
stiamo ancora compiendo e non è una cosa affatto semplice. Così mi pare
carino raccontarvi di una tenera e splendida fanciulla che da
adolescente trova un amore etero e con quello vive la sua prima volta.

Per ben tre anni ha
vissuto rapporti senza avere mai un orgasmo. Per ben tre anni ha
collezionato punti per la canonizzazione in vita. Perchè di madri
terese di calcutta protese al benessere del pene ce ne sono tante e
tutte praticano una infelice elemosina di emozioni.

Si arraffa quello che si
può: un brivido di passione qui, un inizio di piacere la’, una
spolveratina di massaggio lì, uno stimolo casuale ad una zona erogena
qua.

I maschietti fanno come
gli gira e perseguono obiettivi abbastanza noti. Le ragazze sembrano
bamboline simil giochi/clementoni che se le tocchi male stanno zitte e
se le tocchi bene suonano la campanella. Come si fa a capire cosa ci
piace se c’e’ un mondo intero che ci dice che deve piacerci ciò che
piace a lui?

La fanciulla senza orgasmi
non era poi una stupida. Solo che non conosceva il suo corpo e poi era
innamorata. Insomma le piaceva. Con qualche orgasmo, uno ogni tanto, sarebbe
stato perfetto. Invece lui l’ha addestrata a farlo godere: con un buco,
con un dito, con un soffio, con le mani, con la bocca. Spingeva quella
testa in su e in giù come fosse una molla. Per un pompino ben fatto
c’e’ bisogno di un gran maestro, non c’e’ niente da fare.

Passato quel tempo quella
meravigliosa donzella allenata a fare da bambola gonfiabile (una vera è
di sicuro molto meglio: è più calda, sa meno di plastica e poi –
cacchio – interagisce
) finì per trovarsi un altro partner e fu così che
scoprì il piacere.

Questo per dirvi che il
passo dall’uso all’abuso è veramente semplice e se tanto ci da tanto
allora un uomo che ha speso tanta energia per addestrare la sua
bambolina ovviamente ne esige il marchio di proprietà.

Di una donna è il corpo
quello che appartiene più di tutto. Del resto in genere non se ne
occupano. La gelosia viene da lì. Da quel pensiero ossessivo e
paranoico che si concentra su un principio semplice: lei è mia e lo
deve fare solo con me.

Secondo questo desiderio
infantile il corpo di una donna può anche essere usa e getta. Lo si può
prendere anche se chi lo indossa dice di no e lo si può cedere a terzi
per stringere patti tra branchi di amichetti in vacanzuole con stupri
di piacere.

Un corpo di donna lo si
considera muto e se tenta di parlare lo si piega al silenzio. Così può
capitarti quello che ti guarda strano se pratichi l’orgasmo urlato.
C’e’ chi si imbarazza se segnali corsie d’emergenza per portarti al
piacere. C’e’ chi ti concede una dignità di desiderio solo se a lui non
è venuto su. Perchè spesso noi esistiamo in una sorta di complicità con
maschi inefficienti. Un patto del silenzio: io tarzan moscio e tu jane
puttana.

La gelosia me l’hanno
descritta in tanti modi. Una vampata, una fiamma che parte dal basso.
"Dal basso, dove?" "Da giù…" "Dal pene?" "Nooo, ma che dici." "Ancora
più giù? Allora dalla rotula? Da dove ti parte ‘sta vampata?" Non è
dato saperlo. Sappiamo solo che è una fiammata e acceca gli occhi e il
cervello e in nome di questo falò inestinguibile gli uomini si sentono
in diritto di fare qualunque cosa. Di farti qualunque cosa.

Lo so, non è un problema
che riguarda soltanto gli uomini. Ne ho viste di donne diventare matte
e scriteriate. Io no, a me non capita. Di esclusivo nei rapporti c’e’
sempre molto poco. Se il corpo viaggia altrove non mi sembra una cosa
tanto strana. M’incazzo solo se chi sta con me rompe un patto di
complicità. Ma è una incazzatura solida, resistente, del tipo: ti mando
‘affanculo e non torno più indietro, che le cose quando sono rotte sono
rotte e basta. Non ci perdo tempo ad aggiustarle. Non sono nata per
tenere insieme i cocci delle relazioni frantumate. Le storie non sono infinite. Non durano per
sempre. Io proseguo.

Se c’e’ qualcuna che ha in
mente di fare lo stesso e lascia indietro un tipo violento e
infiammabile allora muore. Nel bresciano, dentro il lago d’Iseo, hanno trovato una donna morta.
L’ha uccisa il marito, come sempre. Un italiano del luogo. Uno di
quelli che si preoccupano dei furti in villa. E mi sorprende che
non si sia detto che c’era di mezzo "l’uomo nero", che non sarebbe
stato ne il primo ne’ l’ultimo a tirare fuori l’immigrato per dargli la
colpa dell’omicidio della moglie.

L’appartenenza dei corpi è
una cosa che tocca anche i rapporti tra figli e genitori. Sono questi
che pretendono di decidere di quale sesso dovrà godere la propria
prole. Sono di quella religione dei piaceri "morali" e di quelli
"immorali". Ci sono gli orgasmi leciti e quelli "illeciti" e ad
attribuirgli la liceità è il padre, qualche volta anche la madre. 

A Palermo un ragazzo gay ha rischiato di morire accoltellato
dal suo papa’. Poco tempo fa è stata una madre che ha accoltellato una
ragazza perchè lesbica. Ed è il caso di ricordare che Loredana, la
giovane ragazza morta suicida perchè trans e perseguitata dal genitore
che l’aveva maltrattata per tutta la vita, rappresenta
l’emblema di quella categoria di pensiero che in Sicilia e anche
altrove si sintetizza nel delicato concetto di: "Mio figlio? Meglio morto che frocio!".

Sappiamo allora che ad
usare il coltello sono questi padri e queste madri che a differenza di
altri genitori hanno deciso di liberarsi dell’oggetto della vergogna.
Hanno deciso di punire il proprio figlio o la propria figlia perchè ha
scelto di desiderare e prendersi il diritto a vivere il piacere come
gli pare. 

Chi ha messo quell’arma in
mano a quei genitori però sono altri. Sono quelli che continuano a
coltivare pregiudizi e a sollecitare enormi aree di discriminazione.
Sono quelli che disegnano progetti di cura riabilitativa
dell’omosessuale perchè hanno deciso che si tratta di una malattia.
Sono quelli che devono mostrarsi fieri e patriotticamente virili, sono
fascisti che usano il membro per riprodursi e giammai confesserebbero
di desiderare un altro uomo, neppure se si trattasse del loro amico
camerata.

E’ una società che basa le
proprie certezze sull’omofobia. E’ una società che basa il proprio
equilibrio sul controllo dei corpi. Sulla loro certa destinazione d’uso
che mai potrà discostarsi dai fini riproduttivi. Sulla negazione del
piacere, del desiderio, della pelle, degli odori, delle labbra, del
sangue, delle mani. Le negano agli altri e poi le negano a se stessi
salvo poi viversi sessualità non consapevoli e prive di qualunque forma
di consensualità. Di questo è fatta la pedofilia dei preti e di questo
sono fatti gli stupri delle monache.

Bisogna ribadirlo,
dichiararlo, urlarlo: Il sesso è una roba che riguarda noi. I corpi
sono "cosa nostra". La sessualità è roba mia. Voglio stare con chi sto
bene a letto e non con chi torna utile alla ripopolazione del pianeta.
Non sono un lombrico. Non sono una mucca spenta. Non sono un’animale da
monta. Non siamo formiche, api operaie, lucertole, pipistrelli. Non
siamo vivi per riequilibrare l’ecosistema.

Se è quello il nostro
ruolo allora cominciamo smettendo di inquinare il pianeta e dividiamo
equamente le risorse che ci restano, altrimenti abbiate la decenza di tacere. Siamo già troppi. Non servono
altri figli. Smettete di obiettare. Smettete di essere mandanti morali di delitti che non cessano mai. Lasciateci godere in pace. 

—>>>L’immagine fa parte della campagna per il Pride Nazionale del 28 giugno a Bologna.

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, Sensi.


4 Responses

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  1. Rob says

    Purtroppo le cose che dici sono giuste e assolutamente vere.Ma non sembra che ciò turbi i propositi di qualcuno;quando c’è in ballo la dignità di una donna o si diventa ridicole perchè il femminismo è demodè oppure ci viene dato delle ossessive.E nel frattempo di confonde la realtà,si pensa che avere un uomo sia vessillo di femminilità ed essere zitelle femministe sia una giusta condanna. è triste.Al sud lo è ancora di più. E la cosa peggiore che andrà sempre peggio perchè alla maggior parte delle donne tutto questo sta bene,immerse come sono nell’illusione della loro vita patinata.

  2. FikaSicula says

    Ale: non volevo farti preoccupare :P, che gentile. ti giuro che no. io non ho avuto traumi da “piccolina”. 🙂

    Imprecario: non ringraziarmi perchè te lo meriti. eppoi ancora ti devo una recensione che non sono riuscita a fare. prima o poi becco una tua filastrocca e la pubblico e così la recensione si fa da se’ 🙂
    e grazie per aver apprezzato le mie descrizioni. è difficile descrivere le cose “ordinarie” o almeno quelle che finiscono per passare in quanto tali e indurre indignazione in chi le legge.

    comunque no, non stavo descrivendo un mio choc. parlo di un’altra ragazza che non ero io. parlo di un’esperienza che non m’e’ toccata, per fortuna. me ne sono toccate altre, ma questa no.

  3. imPrecario says

    Intanto grazie per la citazione e per la pubblicità :))))
    e poi grazie per ciò che scrivi e per il tuo modo di descrivere cose così reali ed evidenti … da risultare choccanti ….
    Non tutti poi sono così onesti da ammettere il loro stato di choc…. è pieno di choc(chi) che cercano altrove

  4. Ale says

    hai avuto choc così grandi quando eri piccolina?