C’è una conduttrice che legge le notizie spogliandosi piano piano. A
ogni notizia, vola via un capo di abbigliamento, fino ad arrivare al
nudo integrale, proprio mentre, magari, sta raccontando della guerra
del Golfo o della crisi dei mutui subprime. Metafora incredibilmente
sublime dello stato dell’informazione contemporanea, arriva in Italia
Naked News, il Tg con le ragazze nude. Si tratta di un notiziario
"particolare" che ha esordito ormai dieci anni fa, nel 1999, sul web –
nakednews.com – e poi è sbarcato sul digitale terrestre e sull’IPTV.
All’estero l’idea è piaciuta tanto da generare 6 milioni di utenti al
mese, provenienti da 172 paesi diversi.
In Italia, gli abbonati vedranno per ora le giornaliste che si
sbiottano su Internet, o direttamente sul cellulare. Sono previste tre
diverse versioni, a cui corrispondono tre diversi gradi di nudità
(bikini, topless e nudo integrale) a seconda di quanti soldi il
“cliente” disposto a spendere per l’abbonamento.
Dal nostro punto di vista, lo show-informazione Naked news conferma un
sillogismo categorico interessante: i giornalisti si son fatti, nel
tempo, spogliarellisti, le spogliarelliste sono tutte giornaliste.
Conferma anche la caduta nella pratica di una distinzione bigotta e
opportunista che vorrebbe la prostituzione del cervello migliore, o
comunque preferibile, a quella del corpo. Fa chiarezza, insomma, una
volta per tutte: all’interno di un’informazione voyeristica e guardona
non si capisce, semmai, come potessero ancora mancare le donne nude che
danno le news.
I giornalisti precari, tra l’altro, potrebbero utilmente spiegare che i
compensi da fame pagati dagli editori italiani e il clima di perenne
ricatto che sono costretti a subire nei giornali per cui lavorano
predispongono naturalmente alla nudità, rafforzando, ancora una volta,
il concetto che Naked News rappresenta un modello assolutamente più
diffuso di quello che appare.
Marco Ottolini, che ha portato Naked News in Italia, presentandolo come
“il programma che non ha niente da nascondere”, invita a non sollevare
troppa polvere: “Lo scandalo per qualche centimetro di pelle scoperta
in più rispetto a quello che si vede già nella tv italiana? Spero
proprio di no. Le riprese sono a distanza, la parte genitale inquadrata
sarà minima, di pochi pixel”.
Si può essere, tutto sommato, d’accordo con lui. Lo scandalo è altrove.
Più nella “vita nuda” del precario contemporaneo che nella nuda notizia.
—>>>copio e incollo da Precaria.org. Aggiungo, senza fare riferimento all’ottimo pezzo ma a commenti letti qua e la’, che i moralismi su questa cosa stanno a zero e che, come per le veline, l’attentato alle donne non è a cura dei dignitosi mestieri che scelgono di fare in totale autonomia. Semmai c’e’ un problema di cultura etero patriarcale che viene veicolata come in mille altri programmi televisivi. Ma c’e’ più rivoluzione dei costumi nella lettura delle notizie con le tette al vento che in qualunque pensiero censorio che vorrebbe le donne "intelligenti" tutte sante e con la cintura di castità. Rivoluzionassero anche un po’ di stereotipi non sarebbe male: qualche tetta non liposuzionata e qualche corpo non liposcolpito per combattere la noia…
si, ora ho capito.
una sex worker è un corpo da cui estrarre e trarre profitto. la differenza corre tra quella che lavora per conto di altri e quella che lavora per se’.
lo stesso sarà in questo caso. sono donne come tante altre che mettono il corpo al servizio di chi ci guadagna. vengono pagate per questo. come le ragazze immagine. come le veline. come le spogliarelliste in tivvu’ che vediamo ogni giorno. quindi a me non sembra ci sia nulla di nuovo. a parte, come dicevo, il fatto che queste donne, essendo giornaliste – spero – e non semplici lettrici, dovranno anche avere una competenza, quindi una autonomia di gestione differente che rende la gestione della esibizione del corpo “rivoluzionaria” perchè rompe stereotipi.
una che si spoglia in tivvù è considerata leggera, facile, il marketing l’ha riprodotta, come dico nel post che ho appena pubblicato, col culo di fuori ma vergine, pia, pura, vendibile alla maggior parte degli italiani, santificata e ricoperta di un moralismo bacchettone che aggrava persino il concetto stesso di mercificazione del corpo dove il corpo diventa strumento per riproporre schemi di egemonia culturale pessima.
una giornalista che si spoglia è pur sempre una giornalista che anche si spoglia.
e dal mio punto di vista una figura del genere si presta meno alle manipolazioni moralizzatrici che oggi temo più della stessa trasformazione del corpo in strumento di produzione del capitale.
Quello che volevo dire sullo sfruttamento è che c’è, mi pare, un di più di sfruttamento. O forse sarebbe meglio dire: un di più di esproprio (capitalista, mica proletario!). Perché nella “manovalanza” è il corpo a fare il lavoro: io, capitalista, pago la tua capacità fisica di trasformare qualcosa. Mutatis mutandis, questo si può dire anche del famoso “lavoro di concetto”, dove il corpo è sì investito ad esempio da somatizzazioni, ma dove non è messo in valore e dove, invece, io capitalista “compro” le tue facoltà intellettuali per trasformare qualcosa.
Se una donna sceglie di esibire il corpo ad uso e consumo di chi lo compra mi sta anche bene, e la capisco. Ma lo capisco se ciò accade “in autonomia” (nei limiti dell’autonomia possibile, viste le scelte così ridotte). Qui, invece – e passami il lessico marxista – il corpo, senza nessun investimento diretto da parte del capitalista, contribuisce al pari della telecamera e dello studio televisivo a produrre sia il salario della giornalista-velina sia il profitto dell’emittente. E il paradosso è proprio che *nessun capitale è stato investito ma quel corpo genera un profitto*, per questo mi pare che ci sia un surplus di sfruttamento. Quasi che il significato “risorse umane” fosse portato ormai a coincidere con la sua stessa etimologia: corpi-miniere, corpi da cui estrarre, corpi che si estraggono, corpi da mungere. Sono cioè non più mercificati, ma mezzi di produzione (forse allo stesso modo che per la loro capacità di generare, ma stavolta per un altro motivo).
Non mi acciglio per la tetta scoperta più di quanto non mi accigli per la badante che dorme con il malato di Parkinson, ma mi preoccupa che, non pago del controllo sulla maternità e delle politiche di crescita della popolazione, il sistema economico giunga a tanto. È l’ennesima astuzia del liberismo o è un’altra fase dei modi di produzione?
(forse messa così la domanda lascia un po’ il tempo che trova, esprimendo solo il mio bisogno di studiare un po’ di più il femminismo marxista)
si-culo car@,
lo sfruttamento c’e’ in ogni caso. che si applichi sui corpi o sulla testa. ma anche sui corpi in ogni modo per la fatica, per le morti sul lavoro, per ogni forma di somatizzazione che ci colpisce come conseguenza della precarietà. lo sai, che te lo dico a fare 😐
i corpi sono lo specchio di quello che siamo e si infierisce su di essi in ogni modo.
i corpi delle donne poi avendo quel gentile optional che ci fa/le fa generare sono ancora di più messe prone a partecipare alla catena di montaggio.
un corpo esibito è ad uso e consumo di chi lo compra per il proprio piacere. se una donna sceglie di fare quello invece che fare la badante io la capisco. sempre di vendita del deretano si tratta.
sulla questione delle notizie e dell’attenzione degli uomini non so se sono d’accordo.
la comunicazione è codificata e finalizzata a scopo di marketing. se lo presenti bene il messaggio arriva. se guardi le pubblicità nel 99% dei casi c’e’ una fika o un riferimento sessuale che vende un prodotto e se tanto mi da tanto allora anche le notizie dovrebbero essere vendute “bene” 🙂
il problema è che se le notizie non hanno nessuna impostazione di genere e non sono come noi le vorremmo allora passerà sempre la solita bruttissima notizia che più che non indignare annoia e basta.
la mercificazione dei corpi è generalizzata. accigliarsi solo quando si vedono le tette è come non voler vedere tutto il resto. molte donne fanno questo errore. ma soprattutto tanti uomini compagni pensano che sia più “dignitoso” per la donna fare la cameriera per due lire che la sex worker. indovina perchè? 🙂
bacione
…mi permetto di aggiungere solo una cosa. Una mezza perplessità: qui scopertamente cade la distinzione tra lavoro di concetto e lavoro fisico.
Ho delle difficoltà a capire, rispetto a questa fagocitazione capitalista dei corpi, che lotte possibili ci sono. Perché ci sarà più rivoluzione, ma c’è anche più sfruttamento.
D’altra parte uno spera nell’eterogenesi dei fini: mentre i maschietti saranno inebetiti dalle tette le donne avranno più tempo per indignarsi per le notizie.
Fika, tesoro, vi scongiuro: affrettatevi a sovvertire il potere!!! (‘un se ne pole più!)
Si forse hai ragione, ma d’istinto vedo una cosa triste …
Grazie
ma no beppone 🙂
non ti puoi intristire per questo.
come dice il pezzo ci si deve intristire per le mille volte in cui ci chiedono di prostituire il nostro cervello, la nostra dignità, le nostre vite.
cosa è più triste?
una qualunque professione precaria subìta o una professione scelta?
Che tristezza…