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Maschio padrone: il femminismo radicale non è solo una critica al dominio sociale degli uomini. E’ anche un modo per capire gli altri sistemi autoritari.


In questi giorni il dibattito in corso ci permette poco di ragionare sui rapporti di potere nella società e nelle relazioni private. Eppure ragionare di controllo sui corpi e sulla sessualità e quindi sugli e sulle individui/e diventa indispensabile per capire in effetti quali siano le basi su cui si fondano interi sistemi totalitari. Un mezzo per esercitare dominio e oppressione sulle persone è quello di controllarne la sessualità. Lo sapeva Mussolini e lo sa bene anche il papa.

Ogni relazione si stabilisce sulla base di un rapporto di potere generalmente inconsapevole ed è per questo che la analisi sugli scambi sessuali sado/maso, in quanto patti di relazione con esercizi di potere concordati, diventa utile per capire come molte delle nostre relazioni e delle relazioni sociali in generale sono regolate da comunicazioni ipocrite e da attribuzioni di ruolo coatti spesso obbligati dal comodo concetto di "funzione naturale".

Nel nostro sistema sociale chi ti domina ti dice invece che sta facendo una cosa buona per te. Questo toglie il diritto alla scelta, alla reciprocità e avalla la schiavitù inconsapevole come metodo di relazione umana, sociale, politica, economica. Così dove si insinua il dissenso interviene la censura basata su un pregiudizio… Volendo portare il ragionamento da tutt’altra parte vi indico dunque che di analisi su potere e sessualità potete leggere sul blog di Fastidio [QUI e QUI].

Io invece vi propongo un pezzo di Robert Jensen tratto da Znet, che L’Internazionale ha pubblicato questa settimana. Si tratta del ruolo del femminismo, della lettura di genere che scardina e rilegge radicalmente le basi dei ragionamenti di chi instaura, mantiene in vita e si fa mantenere dai sistemi totalitari. Trovo che il pezzo sia interessante anche se dice cose che molte donne hanno già detto prima di lui. Ma è ottimo leggere come lui per primo si rapporta al femminismo e perchè ritiene gli sia stato utile per rileggere la realtà politica e sociale che altrimenti vedrebbe in maniera differente. Grazie a Imprecario per averlo segnalato e poi pure copiato! 🙂 

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Maschio padrone

di Robert Jensen

Il femminismo radicale non è solo una critica al dominio sociale degli uomini. E’ anche un modo per capire gli altri sistemi autoritari.



C’è un gioco
che si fa da bambini “il re della collina”: per vincere bisogna rimanere da soli in cima a una collina (o su qualunque altra cosa al centro di una zona prestabilita).
Tutti quelli che sfidano la supremazia del sovrano devono essere respinti, cioè il re deve ricacciare indietro tutti i bambini che tentano l’assalto alla collina. Il gioco si può fare in maniera amichevole, con l’accordo che tutti useranno la minima forza necessaria, o con violenza e cattiveria, sfruttando ogni mezzo. I giochi che cominciano in modo amichevole spesso diventano comunque cattivi e violenti. Questo schema è usato anche in alcuni videogiochi, nei quali un giocatore deve riuscire a tenere una zona sotto controllo per una quantità di tempo prestabilita.


Tutti possono
giocare al re della collina. Ricordo che quand’ero bambino lo facevano maschi e femmine, ma era soprattutto un gioco da ragazzi. E’ uno di quei giochi che preparano i maschietti a diventare uomini. Indipendentemente da chi partecipa, il re della collina sottolinea un tratto essenziale del concetto di virilità: nessuno è mai al sicuro e tutti possono perdere qualcosa.
Naturalmente questo tipo di virilità è pericoloso per le donne. Spingere gli uomini a controllare le “loro” donne e a provare in quel controllo un piacere che produce un’epidemia di stupri e maltrattamenti. Ma questa concezione della virilità è pericolosa anche per gli uomini. Una cosa è chiara a proposito della virilità del tipo “re della collina”: non tutti possono vincere. Anzi, in base a questa concezione della mascolinità, in un determinato momento può esistere soltanto un vero uomo. Al vertice di un sistema gerarchico, per definizione, c’è un’unica persona. Solo uno può essere il re della collina. Sempre secondo questa concezione della virilità, gli uomini sono costantemente in lotta tra loro per il predominio. Tutti gli altri devono essere in qualche modo sottomessi al re, ma neanche il re può sentirsi troppo al sicuro: deve sempre stare in guardia per non farsi cacciare dalla sua collina. E questo non è solo un gioco.

Un amico che ha lavorato a Wall Street, una delle più importanti arene della competizione maschile nel mondo degli affari, mi ha raccontato che andare al lavoro era come “trovarsi al centro di una rissa quando tutti i posti con le spalle al muro sono già occupati”. Potevano farti fuori – metaforicamente parlando – in qualunque momento e non c’era modo di sentirsi al sicuro. Questa è la virilità vissuta come competizione e minaccia continua. Quali che siano i suoi vantaggi o il potere che dà sugli altri, è sfiancante. E, in fin dei conti, poco appagante.
Nessun uomo in particolare ha creato questo sistema. E forse nessuno, se ne avesse realmente la possibilità, lo sceglierebbe. Ma ci viviamo dentro e questo sistema distorce le nostre possibilità, riducendo la profondità e la gamma delle nostre emozioni e limitando la nostra capacità di avere dei rapporti più intensi con gli altri, non solo con le donne e i bambini, ma anche con gli altri uomini. Rapporti che ci rendono vulnerabili, ma che danno un senso alla nostra vita. “l’uomo che volle farsi re” è in realtà “l’uomo che rimane solo e sconfitto”.


Il fatto
che questa virilità malsana danneggi gli uomini non significa però che comporti gli stessi pericoli per gli uomini e le donne. Come fanno notare  da tempo le femministe, c’è una bella differenza tra una donna che rischia continuamente di essere stuprata, picchiata e uccisa dal suo uomo, e un uomo che non è capace di piangere. E’ anche vero che i vantaggi materiali immediati che noi uomini otteniamo dal patriarcato, così si chiama questo sistema di dominio maschile, non bastano a compensare adeguatamente quello a cui dobbiamo rinunciare, vale a dire una parte della nostra umanità. Naturalmente non tutti gli uomini hanno una vita facile. Altri sistemi di dominio e di oppressione, la supremazia bianca, l’eterosessismo, il capitalismo predatorio, producono vari tipi di sofferenza nei maschi che non sono bianchi, negli omosessuali, nei poveri e nei proletari. L’analisi femminista non impedisce di vedere questi problemi. Al contrario, aiuta a vederli più chiaramente.

Ogni autunno all’università del Texas, affronto con gli studenti del primo anno una discussione sulla politica dei generi. Parliamo dei problemi come la parità delle retribuzioni, le molestie sessuali, la violenza degli uomini e i ruoli di genere. La maggior parte delle ragazze e alcuni ragazzi esprimono opinioni che potrebbero essere definite femministe. Ma quando chiedo chi di loro si considera femminista, non sono mai più di tre su quindici (e sempre donne) quelli che alzano la mano. E se chiedo come mai, di solito non citano le posizioni politiche del femminismo, ma rispondono che essere femministi non è una cosa normale e che solo la gente strana è femminista. Questa reazione è sicuramene legata all’attacco al femminismo lanciato dalla cultura dominante che si può riassumere nell’espressione “nazi-femminista” resa popolare da Rush Limbaugh, un conduttore radiofonico di destra.

Per difendersi da questo attacco alcune femministe hanno cercato una definizione più innocua possibile del termine femminismo. Hanno provato a convincere uomini  e donne che il femminismo non vuole sovvertire le norme di genere stabilite e non costituisce una minaccia per gli uomini. Ma questa, secondo me, è una strategia sbagliata. Per fare la differenza nella crisi dei sessi e dei generi e contribuire al cambiamento sociale di cui abbiamo urgente bisogno, penso che il femminismo debba portare avanti con determinazione la sua sfida all’ordine esistente. E questo sarà inevitabilmente percepito come minaccia da molti uomini, almeno all’inizio. Il femminismo, dunque dovrebbe essere più radicale che mai.

In genere il termine “radicale” evoca l’idea di comportamenti estremi, pericolosi, di persone ansiose di distruggere tutto. In realtà le soluzioni radicali sono semplicemente  quelle che affrontano i problemi alla radice. Se si vuole affrontare in modo onesto la crisi di un sistema bisogna essere radicali. A prima vista questa onestà può spaventare. Ma, riflettendoci meglio, sono proprio le idee radicali che danno speranza e indicano la via per uscire da una crisi.
Visto che queste idee sono screditate nella cultura dominante, è importante definirle chiaramente.

Per femminismo intendo un’analisi di tutti i modi in cui le donne sono oppresse, in quanto classe sociale, di come gli uomini come classe detengono più potere e di come queste differenze costituiscono sistematicamente uno svantaggio per le donne sia nella sfera pubblica sia in quella privata. L’oppressione di genere prende varie forme a seconda della posizione sociale e quindi è fondamentale capire i legami tra l’oppressione che gli uomini esercitano sulle donne e altri sistemi di dominio: l’eterosessismo, il razzismo, il privilegio di classe e tutte le forme di dominio coloniale e postcoloniale.


Per femminismo radicale
intendo la denuncia del fatto che, nel sistema patriarcale in cui viviamo, uno degli strumenti principali dell’oppressione, un metodo di dominio essenziale, è la sessualità. L’altra cosa che ho imparato da questo femminismo radicale è che criticare il dominio degli  uomini sulle donne non basta: serve una comprensione più ampia dei sistemi di potere e di oppressione.
Naturalmente il femminismo non è l’unico modo per criticare l’oppressione, ma è uno dei più importanti e per me ha rappresentato il primo approccio a questo a questo tipo di riflessione. La mia vera formazione politica è cominciata dal problema dei generi e da lì mi sono spostato sui temi dell’ingiustizia economica e razziale, delle guerre imperialiste che nascono da quell’ingiustizia e della crisi ambientale. In un certo senso, ogni sistema di potere e di oppressione è unico, ma tutti hanno alcuni aspetti in comune. Proviamo a sintetizzarli.


La maggior parte
dei sistemi filosofici e teologici si basa sui concetti di giustizia, uguaglianza e di dignità per tutti gli individui, e pure consentiamo alla violenza, allo sfruttamento e all’oppressione di prosperare. Come si spiega questo fatto? In ogni società solo una piccola percentuale di veri sociopatici si comporta apertamente e senza rimorsi in modo crudele e oppressivo. Il femminismo mi ha aiutato a capire questo complicato processo, che si potrebbe spiegare così. Il sistema e le strutture in cui viviamo sono gerarchici.
Il sistema e le strutture gerarchici garantiscono certi privilegi, piaceri e vantaggi materiali alla classe dominante. Le persone di solito sono riluttanti a rinunciare a questi privilegi, piaceri e vantaggi.
Questi vantaggi vanno a scapito di una classe subordinata.
Vista la diffusa accettazione di concetti basilari come quello di uguaglianza e di diritti umani, per giustificare la gerarchia bisogna trovare delle spiegazioni diverse dall’interesse personale puro e semplice. Una delle giustificazioni più convincenti usate dai sistemi di dominio e di subordinazione è quella di dire che sono “naturali”.

I sistemi oppressivi si sforzano di dimostrare che la loro gerarchia, e la disparità di potere e di risorse che ne deriva,  è una cosa naturale e che non può essere modificata. Se gli uomini sono naturalmente più forti e più intelligenti delle donne, il patriarcato è inevitabile e giustificabile. Se i bianchi sono naturalmente più intelligenti e virtuosi delle persone di colore, la supremazia bianca  è inevitabile e giustificabile. Se i ricchi sono naturalmente più intelligenti e più lavoratori dei poveri, l’ingiustizia economica è inevitabile e giustificabile. E se gli esseri umani occupano un posto speciale nell’universo, per motivi teologici o biologici, il loro diritto di prendere tutto quello che vogliono dal resto del creato è inevitabile e giustificabile.


Per le gerarchie
ingiuste e per l’autorità illegittima che esercitano è essenziale di essere naturali. E’ comprensibile, quindi, che chi fa parte della classe dominante di solito la pensi in questo modo. E poiché controllano le istituzioni che hanno il compito di raccontare la realtà (soprattutto l’istruzione e i mezzi di comunicazione di massa), i membri della classe dominante possono inventare una storia del mondo che spinge una parte della classe subordinata a interiorizzare quell’ideologia.
Il femminismo mi ha permesso di capire meglio non solo il dominio maschile, ma tutti i sistemi di autorità illegittimi. Ho visto la strategia fondamentale che avevano in comune e ho capito che se fossimo più fedeli agli ideali che difendiamo a parole, respingeremmo quei sistemi considerandoli inumani. Sono tutti sistemi che provocano sofferenze indicibili. Per questo dobbiamo opporgli resistenza. E dobbiamo capire cosa li lega.


(testo uscito su Znet con il titolo kink of the hill)

—>>>La foto è dell’artista Marc Blackie 

Posted in Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio.


4 Responses

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  1. FikaSicula says

    grazie a te false alarm :)*
    e insieme ringraziamo Imprecario che questo post lo ha proposto 🙂
    bacione

  2. false alarm says

    ciao
    ti ringrazio per questo post, come per molti altri che spesso e volentieri vengo a leggermi sul tuo blog!
    🙂 false alarm

  3. FikaSicula says

    hai perfettamente ragione ganglio 🙂

  4. Ganglio says

    Ogni sistema energetico tende a preservare se stesso, al di à del bene e del male. Solo attraverso la consapevolezza si possono attuare strategie volte ad accelerare la morte termica di un particolare sistema.