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Lettera sul 24 novembre da Facciamo Breccia – Torino

Molto volentieri pubblico la lettera aperta di Facciamo Breccia Torino inviata:

A tutte le donne che stanno costruendo la manifestazione del 24 novembre contro la violenza maschile sulle donne
    
Siamo le donne di Facciamo Breccia Torino, alcune di noi fanno parte di collettivi femministi, altre dai collettivi universitari e/o centri sociali, tutte ci riconosciamo nel movimento antagonista.
Seppure da oltre un anno lavoriamo insieme (molte di noi in altri ambiti da molto prima) sul tema della violenza di genere, non abbiamo potuto partecipare alle assemblee che ci sono state a Roma, e ce ne dispiace.

Riconosciamo a chi ha partecipato, da Roma e dalle altre città, il merito di aver pensato la manifestazione, di aver messo a disposizione energie e tempo per costruirla, nel modo in cui le presenti hanno ritenuto efficace.

Non vogliamo quindi mettere in discussione le decisioni raggiunte e le disposizioni per la manifestazione, vorremmo semplicemente portare il nostro contributo, nell’auspicio che la discussione possa proseguire serenamente, nel reciproco rispetto e nel reciproco riconoscimento di percorsi e pratiche.


Abbiamo infatti molto condiviso l’appello che chiama le donne alla mobilitazione: siamo stufe della violenza sui corpi delle donne e siamo esasperate dalle strumentalizzazioni che ne fanno i media, servi dei politicanti di destra e di sinistra.
Troviamo la situazione particolarmente odiosa perché da un lato ci designano come vittime e ci spingono a rinchiuderci nelle case, dall’altro ci usano a pretesto per provvedimenti di stampo repressivo che generano solo odio e paura. E sappiamo bene che l’odio e la paura conducono sempre alla violenza.


Vorremmo però riprendere la discussione sulle pratiche e riportare le nostre perplessità sulla decisione di fare una manifestazione chiusa agli uomini,
discussione affrontabile anche, con calma, a corteo avvenuto, perché i toni che abbiamo letto sul blog e su molte mailing list (compresa quella interna di facciamo breccia)  non ci sono piaciuti affatto: verso chi ha posto la questione molte hanno usato toni prescrittivi o giudicanti ("o così, o siete contro le donne"), o di rifiuto dell’argomento ("se discutete le pratiche, non vi interessa il contenuto"). Alcune, esasperate da ciò, hanno deciso di non partecipare, e di questo ci dispiace molto.

Come abbiamo scritto, alcune di noi appartengono ad un percorso femminista e si ritrovano in collettivi di sole donne, altre hanno partecipato in diverse occasioni a momenti di discussione non-misti e non-mista è stata la riunione che ha portato a scrivere questa lettera: non siamo quindi contrarie a prescindere a momenti "separati" tra donne e siamo anzi convinte che ben abbiano fatto, le donne, a porre con forza in determinati momenti, la necessità di pratiche separatiste.
Ma non ci sembra la pratica adatta a questa occasione.

E questo per alcune ragioni, che cercheremo di descrivere nel modo più chiaro possibile, partendo dalle nostre esperienze  quotidiane.


La ragione forte è che siamo fermamente convinte che qualsiasi movimento di liberazione da un’oppressione, soprattutto in questa fase storica, abbia la necessità, oltrechè di fondarsi sull’autorganizzazione, di essere in grado di  costruire alleanze e sinergie.
Lo crediamo fermamente come militanti antagoniste, lo crediamo fermamente anche "in quanto donne e in quanto femministe": Anche per questo, abbiamo scelto, oltre al percorso "tra donne", di fare parte di una realtà "mista" come Facciamo Breccia, tanto più che molte di noi fanno parte di centri sociali e/o collettivi misti. Ad esempio, quando discutiamo del diritto al matrimonio per gay e lesbiche, in Facciamo Breccia Torino, portiamo la nostra elaborazione di femministe sulla critica alla famiglia (compresi i dati sulla violenza in famiglia!). Quando abbiamo discusso nei luoghi misti di precarietà, abbiamo contribuito con la nostra analisi sul fatto che la precarietà della vita è innanzitutto femminile ed è un ostacolo contro l’autodeterminazione, in particolare contro l’autodeterminazione delle giovani donne.

Quando abbiamo discusso e agito sulle questioni legate ai/alle migranti, abbiamo imposto che si adottasse un punto di vista non solo maschile anche se la maggior parte dei migranti che si stava mobilitando e che stavamo intercettando era prevalentemente maschile, abbiamo segnalato i rischi di riferirsi alle autorità religiose (per esempio Imam) per relazionarsi con alcuni gruppi, ci siamo immaginate forme di relazione con le donne migranti, anche se spesso non abbiamo saputo metterle in pratica in maniera efficace.


La nostra collocazione, di femministe e di antagoniste, ci obbliga costantemente a mettere in relazione le cose e a ragionare sulla complessità e sulle contraddizioni.
D’altra parte la violenza maschile contro le donne è in stretta relazione con la violenza esercitata sui soggetti  considerati deboli, diversi, discostanti dalla norma.

Ci siamo chieste ad esempio: chissà che cosa avrebbe prodotto discutere della manifestazione del 24 non solo con le donne ma anche magari con le associazioni di migranti e con chi si occupa del tema, o con i/le rom (sono poche le migranti organizzate o che si espongono, e che vanno comunque valorizzate al massimo, ma molte di più sono le organizzazioni miste e quasi interamente maschili)? Magari sarebbe stato il momento per mettere insieme le rispettive analisi, per dire "ai migranti" (inteso ai gruppi di migranti organizzati, misti-a prevalenza maschile) che per noi femministe loro non sono gli stupratori, i violenti, i cattivi tout court, ma nel contempo per affrontare anche con loro un discorso di consapevolezza senza strumentalizzazioni razziste sulla questione della violenza maschile, col diritto reciproco a criticare atteggiamenti e posizioni.


In questo spirito di dialettica continua, noi ci siamo battute ed in parte abbiamo ottenuto, con mille limiti e debolezze, che le realtà miste di cui facciamo parte abbiano chiaro che il neutro-maschile che comprende tutti/e non esiste.
L’abbiamo imposto  discutendo in maniera accesa, a volte litigando, a volte, semplicemente, spiegandoci. Abbiamo incontrato resistenze, ma anche voglia di mettersi in discussione, e vorremmo poter lavorare su quest’ultima, invece che usare a pretesto l’ostilità e l’ignoranza di altri. Non vogliamo rinunciare alla  dialettica pensando che i compagni con cui facciamo politica su moltissime cose tornino ad essere, in alcune occasioni, semplicemente, dei maschi, nel modo in cui la cultura dominante determina.
    

Non lo vogliamo fare perché noi abbiamo preteso che non ci considerassero, semplicemente, femmine, nel modo in cui la cultura dominante determina.
    

Non pensiamo che la manifestazione del 24 avrebbe avuto una grossa partecipazione maschile, in ogni caso. Sappiamo che pochi sarebbero stati coloro che avrebbero fatto lo sforzo di venire ad un corteo a Roma su un tema che non è (ancora) così popolare e mobilitante. Ma tanto più per questo motivo non vorremmo far passare il messaggio che la violenza sulle donne sia "una questione di donne". Ci pare poco efficace dire ai nostri compagni di politica mista che sfruttino quel momento senza donne per riflettere di quanto loro maschi siano violenti, di come loro maschi possano immaginarsi di risolvere i problemi. Ci pare più probabile che pensino che di cose da fare ce ne sono tante, e che finalmente hanno un sabato libero..


Non vorremmo proprio poi che uomini e donne discutessero della questione in separata sede, le une guardando in cagnesco, gli altri con un misto di timore reverenziale e rispetto, oppure indifferenza, oppure ostilità: siamo noi che subiamo la violenza maschile, e quindi vorremmo mantenere noi l’iniziativa sul tema, in un contesto di scambio e crescita per tutti e tutte. E crediamo che l’iniziativa non si mantiene escludendo, ma sapendo cogliere e accogliere le contraddizioni in seno alla controparte..

      
Sappiamo e siamo consapevoli che aprire la manifestazione alla partecipazione maschile avrebbe potuto causare problemi di strumentalizzazione. Ma crediamo anche che i rischi di strumentalizzazione vadano risolti con la forza dei contenuti, non con le esclusioni.
Dobbiamo lasciare spazio alla dialettica ogni volta che se ne presenta l’occasione, dobbiamo avere fiducia nella nostra (di donne) capacità di imporci, proporre, gestire.
      


Speriamo che le nostre righe siano lo spunto di una discussione serena, perché crediamo che il movimento femminista, o le donne, come meglio credete, abbia(no) la necessità di discutere di sé e delle proprie pratiche.

      
Noi verremo a Roma il 24 e speriamo di portarci molte donne. A Torino ci sono state diverse riunioni cittadine e lunedì 19 c’è stata una grossa assemblea. Con altre, stiamo organizzando i treni, abbiamo attacchinato, volantinato e fatto banchetti in università.. Insomma, ci stiamo impegnando un bel po’, ci interroghiamo da sempre su come raggiungere le donne nella maniera più efficace, quindi ci spiacerebbe sentire come argomentazione semplicemente la necessità del protagonismo femminile, perché ne siamo fortemente convinte. Crediamo semplicemente che una manifestazione separata non sia il mezzo migliore per affrontare il tema della violenza contro le donne.

Sappiamo che nazionalmente il coordinamento Facciamo Breccia ha prodotto due documenti di adesione alla manifestazione del 24 novembre, una come compagne e una come compagni: le accogliamo con rispetto, ma ci prendiamo il diritto di dire anche la nostra posizione locale.
      
    Ci vediamo presto.
    Le compagne di Facciamo Breccia Torino

Posted in Corpi, Fem/Activism, Pensatoio.


2 Responses

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  1. FikaSicula says

    si, sono brave… grandiose 🙂

  2. imprecario says

    W Le compagne di Facciamo Breccia Torino