Skip to content


Il “pensiero unico” dominante e le opinioni divergenti

Quello che mi fa specie in questi giorni (a parte la costante nausea
che mi viene per il fascismo rosa e strisciante che si manifesta in
tutta la sua interezza) è che persone che parrebbero essere
sganciate da luoghi comuni, da stereotipi dominanti, individu@ dunque
intelligenti, dotate, soggett@ pensanti presumibilmente autonomi che
hanno strumenti critici per farsi una opinione al di la’ di quello che
propina il bombardamento mediatico a senso unico, insomma queste persone dichiarano che davvero è giusto fare quello che sta
facendo veltroni, il governo, il prefetto e tutta la compagnia armata poliziesca a roma. 

Dichiarano di essere davvero spaventate perchè
il popolo romeno sta in italia (intendendo che non piacciono soprattutto i Rom, quelli volgarmente chiamati zingari con tutta la scia di pregiudizi che si portano dietro, senza poi capire effettivamente la differenza tra Rom e Romeni) e che ragionare sulla sicurezza e
provvedere in quel senso non è una cosa cattiva. Ebbene, questo è il risultato di
quei trenta e più anni di fascismo rosa con il quale la cultura berlusconiana e
quella moderata in genere ci ha nutrito (come ci diceva bene nanni
moretti nel suo film Il Caimano). Noi non siamo esenti da nulla.
Ci siamo cascati talmente tanto che ora chi la pensa come me viene
quasi guardato con sospetto, come fossimo bestie rare che non sanno
quello che dicono. C’e’ chi nega il fascismo e la "violenza di genere", il femminicidio. O c’e’ chi riconosce la violenza di genere ma evoca soluzioni fasciste. Siamo davvero al paradosso. Siamo tornati al tempo di Lombroso e delle sue teorie sui tratti somatici del perfetto delinquente (Come riconosceranno infatti gli stranieri da espellere? Dato che è stato introdotto il concetto di persona "potenzialmente pericolosa", su cosa si baserà questa valutazione? Sulla larghezza del cranio? Sui lineamenti? Ma questo non è già successo nel periodo nazista?). Questo mi fa pensare e tanto a molte ma proprio
molte cose. E se penso che Ruini ha ordinato alle suore – sempre prone
sempre – di evangelizzare il web aprendo dei blog, allora mi chiedo se
non sia necessario che tutti ci si rimbocchi ancora di più le maniche
per parlare di cultura altra.

Due cose dunque: la proposta di fare una
statua ad Autistici/Inventati perchè consente (come altri meravigliosi
progetti) che circoli un po’ di sana materia grigia in questo triste e
italico e deprimente mondo virtuale e il consiglio di leggervi due
interventi di Nicoletta. Uno è recente (rubato dalla mailing list di
Facciamo Breccia) e riassume davvero molte cose essenziali da ribadire
e l’altro è un suo articolo passato ma attualissimo per quello che
dice. Buona lettura!

**************

"Disgusto, profondo disgusto. Stiamo assitendo ad una rappresaglia degna del peggior fascismo.

Pensate un po’ se, quando è stato ritrovato il corpo di Pasolini
massacrato avessero abbattuto tutte le baracche che si trovavano lì
vicino…

Su un articolo di repubblica ieri, un rumeno abitante della stessa
baraccopoli del bastardo che ha massacrato questa ennesima donna diceva
di guadagnare 35 euro al giorno e che con quei soldi non può prendere
in affitto una casa e mantenere una famiglia allo stesso tempo.

Questa è la situazione: in Italia queste persone sono sottopagate e più
si infierisce contro di loro meno li pagheranno per farli lavorare, più
crescerà la miseria in cui sono costretti a vivere, più rischieranno
l’espulsione (naturalmente quelli in soprannumero rispetto all’esercito
di riserva che il capitale richiede), e il cerchio si chiude:
sfruttamento/espulsione/sfruttamento. Un cerchio criminale fatto di
razzismo e discriminazione.

Cosa facciamo? Alla prossima violenza domestica made in Italy chiediamo
che venga abbattutto l’intero palazzo in cui il porco abita? Che venga
rasa al suolo la città in cui abita? O chiediamo lo sterminio di tutti
i maschi (già dalla pancia della madre) così il problema è risolto alla
radice
?

Veltroni mi disgusta, ma ha anticipato la linea PD sulla gestione della
povertà e dell’emarginazione, teniamone conto: una linea che poco ha da
invidiare al peggior razzismo di matrice fascista travestito da
democratico e, a proposito di fascismo, che Veltroni dica che Roma era
sicura prima dell’arrivo dei rumeni è allucinante: che ne è delle centinaia di
aggressioni fasciste
avvenute a Roma? che ne è dell’aggressione
squadrista a villa Ada? che ne è dell’omicidio di Renato Biagetti,
colpevole di uscire da un raduno reggae? tutto cancellato?

perché non cacciano i fascisti dalle città? perché non chiudono le loro sedi?
perché uno squadrista è meglio di un rumeno? o forse perché può perfino diventare utile in questa rappresaglia razzista?"

*************

Nel nome del padre. Anzi, della "razza"

di Nicoletta Poidimani

Se dico "Hina" è immediato associare a questo nome la ragazza pakistana
sgozzata dal padre e seppellita nel giardino della loro casa in
provincia di Brescia, nell’agosto del 2006. Ma se invece dico "Camilla"
non viene in mente nessuna donna in particolare.
Eppure Hina e Camilla hanno una storia in comune: giovani coetanee,
entrambe sono state uccise dai padri, a un anno di distanza. L’una
perché aveva disobbedito al potere patriarcale, l’altra perché aveva
fatto notare al genitore che fumava troppe sigarette e costui le ha
sparato più volte alla schiena, poi è fuggito.

E¹ una sera al principio di ottobre, con alcune amiche discutiamo degli
ultimi, numerosi omicidi di donne e di come il "pacchetto sicurezza"
alimenti la cultura della paura nascondendo le vere cause di morte per le donne. Un’amica pakistana, Arifa, mi fa notare in che modo differente l’informazione abbia trattato gli omicidi di Hina e Camilla. In effetti, basta fare un giro in internet per vedere con quali aggettivi sia stato definito il padre di Camilla: professionista, per sottolineare quanto fosse
una brava persona; depresso, come a cercare una giustificazione per un gesto così inqualificabile, che diventa raptus improvviso, altro modo per spiegare l’inspiegabile.
Invece il padre di Hina è senza dubbio un fondamentalista, che voleva imporre alla figlia le proprie tradizioni. Ma cosa cambia per le due figlie? Forse che l’una è morta più felicemente dell’altra?

Siccome in Italia l’informazione è sempre condita con pettegolezzi, i media ci informano che Camilla non era neppure una figlia particolarmente ribelle, mentre ci hanno ampiamente sottolineato quanto fosse ribelle Hina. Quindi Camilla era brava perché non era ribelle, Hina era brava perché era
ribelle. Entrambe brave, entrambe uccise. Cosa le differenzia nel giudizio indotto dagli articoli di giornale? È brava e coraggiosa la ragazza che si ribella al padre padrone pakistano, è brava la ragazza che non si ribella al padre professionista italiano. Che poi entrambe finiscano ammazzate dal genitore, questo è un altro paio di maniche.

Ciò che conta non è la vita di queste donne, ma la nazionalità dei loro assassini, come in ogni caso di violenza contro le donne. Le donne uccise o stuprate da familiari, parenti e amici italiani ­ che sono poi la gran parte­ meritano solo un trafiletto sui giornali, ma emergono alla ribalta delle
cronache se lo stupratore o l’assassino è un immigrato. Assistiamo, così, quotidianamente alla distorsione razzista di un dramma reale, il femminicidio. E oggi più che mai la logica securitaria, principale produttrice di paura, sfrutta questo gravissimo problema ­ in Italia mai risolto perché mai realmente affrontato ­ per rappresentare l’altro, lo straniero, come pericoloso.
Eppure i dati dello stesso Ministero dell’Interno parlano chiaro: tra il 2004 e il 2005 è stato rilevato un incremento delle violenze sessuali (22%) distribuito in egual misura fra maggiori e minori di 14 anni; un incremento delle percosse (21,3%), delle minacce (16%) e delle ingiurie (19%) ­categoria, quest’ultima, che comprende anche le molestie sessuali.

I luoghi privilegiati di queste violenze sono le mura domestiche ­ innanzitutto ­ e il posto di lavoro. Se poi teniamo conto del fatto che una minima percentuale di donne ­ poco più del 7% ­ denuncia le violenze subite e che è più facile denunciare la violenza subita da uno sconosciuto che da un
familiare, il quadro che ne risulta è impressionante e si discosta ben poco dalla situazione di paesi che ci vengono raccontati come i luoghi-simbolo della sottomissione femminile.

Siamo così sicure di stare bene da queste parti? Siamo così sicure che il vero pericolo per le donne sia la strada? E, soprattutto, siamo ancora disposte ad essere ostaggi dello "scontro di civiltà"?

Curiosamente, coloro che alimentano la monocultura dello scontro di civiltà sventolando la libertà femminile nella nostra cultura, a fronte degli integralisti che, altrove, impongono il velo alle donne perché non inducano al "peccato" gli uomini provocandoli o che puniscono le adultere con la
lapidazione, sono poi gli stessi che si ergono a giudici della donna che ha subito violenza, colpevolizzandola con l’immancabile "Se l’è cercata" e vittimizzando, così, gli stupratori ­ per i quali ci sarà sempre qualcuno, anche un sindaco, disposto a pagare gli avvocati per difendere il buon nome dei bravi ragazzi ­ o sostenendo che non basterebbero le pietre delle Dolomiti per lapidare le proprie concittadine adultere (Gentilini dixit). Sarebbe più appropriato chiamare questo "scontro di civiltà" col suo vero nome: rinnovata alleanza fra patriarcati, fra dominatori.

Il Comune di Milano ha tappezzato di recente la città con un manifesto molto esplicito per pubblicizzare un corso di autodifesa femminile: su una scacchiera una regina rosa è assediata dagli scacchi neri. Diventa una "cintura rosa", è l’invito indirizzato alle donne. Le lezioni si tengono,
significativamente, in vari parchi e giardini milanesi, come se fossero quelli i luoghi più pericolosi.
Eppure se si vuole che le donne si difendano davvero il primo passo è proprio quello di superare la paura.

Paradossalmente, la giustificazione più gettonata da parte di donne e uomini "esperti del settore" è che le violenze femminicide siano effetti della crisi del maschio, che si vede messo in discussione il proprio ruolo dominante in una società in cui le donne ormai "possono tutto". Come se prima del femminismo e della timidissima ­ e del tutto insufficiente ­
emancipazione le donne non subissero violenze, come se la sottomissione fosse una garanzia di tutela e non, a sua volta, una violenza foriera di violenze.

Molte donne ancora oggi parlano con voce sommessa nella speranza che ciò dissuada il marito/fidanzato dall’usare violenza, e non capiscono ­ o capiscono troppo tardi ­ che quella è già una forma di violenza a cui si piegano, e che a quella violenza ne seguiranno altre, in crescendo. Questo avviene in molte case, in molte famiglie, in molte relazioni. Fino alla torsione completa di sé, quando una donna dice a se stessa "Mi picchia perché mi ama/Mi stupra perché mi desidera", o si attribuisce la responsabilità del comportamento violento dell’altro, scagionandolo ogni volta, fino a diventare prigioniera di una dinamica sempre più pericolosamente irreversibile. Questa è la realtà dei fatti, queste sono le dinamiche che, nel terzo millennio, ancora avvengono nelle case italiane.
Ma nel nome della "razza" e della sicurezza tutto ciò viene nascosto. E nel nome del padre anche una "brava ragazza", l’ennesima donna, viene uccisa ­ senza più neppure far notizia.

Posted in Anticlero/Antifa, Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali.


3 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. FikaSicula says

    – Guarda freesud per come si mettono le cose io penso che al prossimo omicidio di mafia decidono di radere al suolo la sicilia 😐
    altro che incarcerare i mafiosi…
    comunque è una aggressività che risale al tempo di mussolini. se vai a leggere le motivazioni con le quali deportavano ebrei, rom (e poi gay, lesbiche, compagni, partigiani etc etc) sono esattamente le stesse. siamo tornati indietro nel tempo perchè quel tempo purtroppo ce lo siamo scordato.

    – peppe, ti ringrazio molto per i complimenti. ho visto che hai pubblicato il corsivo di sansonetti e la mia risposta sarebbe che hanno aspettato troppo a farse la quella domanda. da queste parti la facevamo già al tempo del rifinanziamento della missione in afghanistan…

  2. freesud says

    La reazione seguita all’omicidio compiuto dal rumeno
    è di una aggressività sconosciuta ai governi italiani… stanno colpevolizzando un popolo per il delitto di un singolo… vedremo se al prossimo omicidio di mafia succede lo stesso… se lo stato reagisce con la stessa virulenza… e incarcera tutti i mafiosi… ma quanto mai… campa cavallo che l’erba cresce!

    un saluto

  3. peppe says

    e ci si mette pure un certo veltroni a spararle più più grosse del primo berlusconi su questa storia dei rumeni.
    Ammiro sempre di più la tua lucidità analitica.
    ciao