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Sicilia: una storia di merda

In Sicilia ci sono luoghi dove il tempo sembra non passare
mai. Il sole è caldissimo. Fa belle abbronzature anche se solo si cammina per
strada o si stendono i panni ad asciugare. Ci sono donne di qualunque età
vestite a lutto, con il nero che assorbe l’afa, che siedono dinanzi alla porta
di casa. Che abbiano quindici anni o sessanta non fa differenza. Sembrano tutte
uguali, con un diametro superiore alla media e la medesima espressione stampata
sul volto. Tutte in fila sul marciapiede, occupando spesso ampie porzioni di
quelle vie che lavano, puliscono e dunque in fondo un po’ gli appartengono.

Una
automobile che vuole passare deve chiedere permesso e i pedoni invece diventano
oggetto di chiacchiere e sguardi fissi che li accompagnano fino a vederli
svanire all’orizzonte. Quello sguardo muto, pettegolo, curioso è una costante
di questi posti. Sono tutte lì, una porta dietro l’altra, una sedia dietro
l’altra a imbarazzare i tragitti di chi non è abituato a dover dire buongiorno
e buonasera  ad ogni sconosciuta
guardona. Hanno occhi che non si mortificano mai, che non tentano di
dissimulare la taliàta. Tutte alla parete come gendarmi. Chi passa sta
al centro: dead man o woman walking del sud. Se avessi un
lanciafiamme vorrei vederle contorcersi e finire tutte quante in un’unica
fiammata.

Strade e stradine profumano di gelsomino, quello che si usa
per fare il gelato o per dare quello straordinario aroma che fa unico, anche se
parliamo di un’altra sponda dell’isola, il gelo di mellone. Dal bar viene il
profumo intenso della brioche morbida col cocuzzolo. E’ la brioche siciliana
che si mangia con il gelato o si inzuppa nella granita. A me piace quella alla
mandorla con uno schizzo di pistacchi croccanti a ornare quel meraviglioso
premio per il palato. Lo stesso pistacchio e mandorle che ornano e
insaporiscono la mustàta, una soffice crema di mosto addensata con la
cenere dei rami di vite, o si insinuano assieme a canditi e gocce di cioccolato
fondente nei cannoli alla ricotta. La bottega vende la cioccolata al peperoncino, quella alla cannella, alla carrubba, all’arancia, al limone. 

C’e’ un piccolo porto dove si trovano all’alba i
pescivendoli per spacciare il pescato e riempire di altri profumi le narici dei
turisti. Poi c’e’ il mare limpido. Azzurro intenso, verde, celeste, schiarito
dai fondali chiari. Ci sono chilometri di spiagge rossicce, con la sabbia
simile al deserto, tenera al tatto, morbida per riposare o passeggiare a piedi
nudi.

Sotto gli alberi delle piazzette barocche siedono uomini anziani.
Vengono fuori come le lumache dopo la siesta, mentre tutto sonnecchia e si
sente in lontananza solo il rumore del mare. Spesso sono vedovi di defunte
“Maria Concetta Di Dio in Occhipinti fu Salvatore”. Hanno gli occhi svelti e
anche loro contano le passanti per cercarne il saluto. Le cercano giovani e
piacenti per offrirsi in matrimonio assieme a figli, nipoti e una piccola casa
che i discendenti non mollerebbero mai a nessuno. Gli uomini più giovani e non
ancora sposati, che non si sono mai mossi dal paesello, che non hanno
proseguito gli studi e ampliato il proprio bagaglio di saperi in città – dove
si trova l’università – lavorano nelle serre a coltivare pomodori e chissà che
altro. Sono sempre abbronzati e hanno muscoli duri e mani tozze.

Sono tamarri che falliscono gli abbordaggi in spiaggia,
in discoteca e lungo il corso dove si svolge il passeggio serale. Quasi non
sanno parlare l’italiano e le ragazze invece come minimo hanno preso il diploma
pronte a tentare il salto della scala sociale per farsi sposare da un laureato
medico o avvocato o da un impiegato statale. Così a questo tipo di uomini non
resta che cercare tra le donne messe in fila assieme alle madri e alle nonne, a
ricamare il corredo nella speranza di vedere passare il loro principe azzurro
in groppa ad un bel vespino smarmittato o ad una utilitaria con stereo e casse
enormi e la scritta “turbo” sui lati. I più coraggiosi possono intraprendere
relazioni online grazie all’unico internet point locale con cabine caldissime e
tastiere schiarite dal troppo sudore. In questo posto la chat  con le donne dell’est è sempre online. Quasi
sempre nude e provocanti, che sperano di essere agganciate da uno di questi
fantasiosi agricoltori per avere una carta di ingresso per l’Italia o per
trovare un allocco disposto a spendere soldi per comprarsi un po’ di felicità.
Come se la tecnologia fosse arrivata solo per portare un po’ d’amore.

Vicino alla Piazzetta si trovano i circoli per le giocate a
carte degli associati, sempre e solo uomini. C’e’ la chiesa con il prete che
celebra messa e la gente che si inginocchia in preghiera vestita di tutto
punto, con visibili chiazze di sudore ovunque e con la veletta in testa. Chissà
se esistono chiese con l’aria condizionata.

Sulla spiaggia ogni tanto si vede qualche musulmano prono a
dirottare preghiera e attenzione verso il sole al tramonto. Gli arabi in questi
posti sono tanti. Arrivano a nuoto, in barca, qualche volta già defunti per
fame, annegamento o perché erano in sovrappiù nel barcone degli scafisti. Il
venerdì è giornata di mercato e oramai gli stranieri hanno quasi completamente
sostituito i mercanti locali. Non che si veda tanto la differenza giacchè
quelli dell’africa settentrionale o del medioriente non sono poi così diversi
dagli uomini della popolazione indigena. Persino il linguaggio, i gesti spesso
si somigliano.

C’e’ un piccolo cinema dove si fa una rassegna estiva di
seconde o terze visioni e qualche “anteprima” rubata al circuito nazionale per
fare contenti i turisti. Nei film spesso si vedono celebrazioni che qui
esistono solo per questioni di importazione. Altri mondi e altre culture che
hanno finito per colonizzare questa assolata mentalità. Qui non esiste
Halloween perché i morti non fanno paura e anzi portano i giocattoli e tante
cose buone ai bambini la notte di tutti i santi. Poi ci sono le sagre paesane:
quella del pesce, della seppia, del polipo, del granchio, delle cozze, della
ricotta. Ultimamente è arrivata anche la sagra della pizza con le sue focacce,
le scacce con il pomodoro e le cipolle, con la ricotta e gli spinaci.
Ogni anno c’e’ poi l’uscita della santa o del santo patrono con tanto di
processione e di dediche e canti.

Ci sono questi borghi marinari che un tempo vivevano di
pesca e ora fanno solo finta di esistere per accogliere turisti appassionati di
scene esotiche e paesaggi intatti, con i mestieri di una volta recitati da
consumati attori che impersonano i siculi del passato per questione di
convenienza. Da queste parti le città più vicine sono paesi con più di
quindicimila abitanti. Per trovare un po’ di civiltà bisogna andare lì dove
c’e’ un ospedale, un’edicola un po’ più fornita, magari persino una libreria
con gli ultimi best seller, qualche fermata in più per la corriera o l’autobus
che permette fughe verso città più grandi solo un paio di volte al giorno, la
stazione di polizia e dei carabinieri, le scuole primarie secondarie e persino
qualche corso di specializzazione parauniversitario voluto dal parlamentare di
zona. Di treni neanche l’ombra. Si fa prima a circumnavigare l’isola a nuoto
per arrivare a prendere il traghetto in corsa sullo stretto di Messina o per
sperare di essere raccolti come immigrati clandestini dalla guardia costiera
per rintracciare il primo treno che viaggia per il continente.

Nel borgo invece c’e’ il palazzo che ospita la delegazione
comunale, una minuscola biblioteca e qualche mostra. Poi c’e’ l’ufficio postale,
una guardia medica, una farmacia, qualche fruttivendolo, un supermercato, un
tabaccaio e un bancomat perennemente esaurito.

A qualche chilometro di distanza esiste la simulazione di
una specie di parco acquatico dei divertimenti, alcuni campeggi e alberghetti,
residence e bed & breakfast, ristoranti, pub e un paio di grosse discoteche
che spesso ospitano personaggi a me sconosciuti che vengono dritti dritti da
qualche squallido reality show.

Le spiagge sono spesso libere, nel senso che non ci sono
lidi privati. A pulirle, nei mesi estivi, ci pensano ragazzi e ragazze dei
campi internazionali del lavoro. Robe ecologiste di incontro tra gente di
nazionalità diversa che viene ospitata in una scuola primaria e ogni mattina
all’alba camminano per chilometri lungo le spiagge per tirare via ogni pezzetto
di plastica e ogni cicca di sigaretta visibile. Di spiagge ce ne sono tante per
lo più ricavate da file di grossi massi piazzati apposta per rallentare
l’erosione delle coste. Quelle immediatamente vicine al paesetto sono stracolme
di famiglie con bambini e adulti di ogni tipo.

Io sono un po’ snob e non
sopporto di sentire le amenità dette da qualcuno di loro. Non sopporto gli
strilli e le risate sguaiate e soprattutto odio i bambini e quei grandi idioti
che giocano a palla e te la tirano inevitabilmente addosso. Mi piacerebbe avere
un coltello per squarciarla tutta intera non appena mi capita sotto mano. Odio anche
quei deficienti che se pure hanno a disposizione centinaia di metri di spiaggia
devono proprio venire a frantumarti la vita con generose spruzzate di sabbia,
fango o acqua gocciolante. Senza contare poi quelli che giocano a lanciarsi le
secchiate di liquido che quasi sempre finiscono addosso a quelle come me che:

a-     
non avevano alcuna voglia di giocare;

b-    
non avevano nessuna voglia di bagnarsi.

Tutt’attorno, per le campagne si vedono terreni recintati da
muri fatti di pietre bianche perfettamente incastrate tra loro. In passato
tanti contadini dovevano disossare da quelle stesse pietre i propri pezzi di
terra prima di poterli coltivare, così finirono per farci i recinti e anche
tanti originali e tipici guard-rail di bianco splendente.

La pietra bianca è famosa anche per le pietre di Pantalica,
dove stavano le costruzioni e le tombe bizantine. Ci sono almeno due province
siciliane che usano queste pietre per dare un contorno e una particolare
cromatura ai terreni giallastri, arsi dal sole di grano raccolto e di palle di
fieno. Di pietra, paesaggio giallo e rossastro e fichi d’india è fatto il
percorso che viaggia da Ragusa a Siracusa, da Santa Croce Camerina a Comiso, da
Avola a Noto, da Vendicari a CapoPassero.

In questo pezzo di Sicilia
meravigliose spiagge prendono nomi come Punta Secca, Punta Braccetto, Caucana,
Donna Lucata, Micenci e Cava D’Aliga, Ispica e Sampieri, Pozzallo, San Lorenzo
e Vendicari. Posti meravigliosi con un passato di lotte contadine e di gente
mandata al confino, di donne coraggiose
e di occupazione fascista, di sbarco
degli americani e di bombardamenti, di fame e povertà. Gli assessori al turismo dei Comuni dei dintorni
però preferiscono dire che questi sono i paesi del commissario Montalbano  piuttosto che dei tanti che hanno
sacrificato la vita per ottenere riparo a qualche ingiustizia. Questione di
immagine e di ignoranza degli amministratori.

Una storia di merda 

Capita sempre quando vengo da queste parti: mi viene la
diarrea. Non perché il posto faccia cagare, tutt’altro. E’ l’ideale per
sentirsi un po’ fuori dal mondo e godersi un buon bagno dentro qualcosa che
abbia ancora l’odore, la consistenza e il sapore del mare. Mi succede che
cambio alimentazione e metabolismo e sono costretta a stare per almeno una
settimana a contorcermi e a cercare di restare il più possibile in zona
cesso. 

Qualche volta devo correre dalla spiaggia a casa per evitare
di farmela addosso. Stavolta però questa storiaccia non aveva intenzione di
smettere. Anzi era sempre peggio e un bel giorno mi venne la febbre
accompagnata da fortissimi crampi allo stomaco. Dopo un paio di giorni la
questione riguardò anche mia figlia e poi mia madre e fu così che mi resi conto
che forse c’era qualcosa che non andava. L’immagine successiva riguarda tre
donne, diversa generazione ma uguale incazzatura, con passo veloce e cacca
liquida incombente, che si precipitano dalla guardia medica.

Troviamo un giovanissimo medico allenato a farsi i cazzi
suoi e a riferire a memoria quanto altri gli hanno ordinato di dire. Fa due
punturone di antispastico a me e a mia madre. Poi prescrive a tutte noi un
bell’antibiotico antivirale e tanta fantastica enterogermina per ripristinare
la flora batterica. Chiediamo di che si tratta e ci dice che boh, forse è il
mare, un’alga tossica, oppure è una roba di origine virale magari contagiosa,
una cosa di tipo oro-fecale e ci consiglia di non usare l’acqua del
rubinetto neppure per cucinare.

Ci dice anche di non mangiare frutti di terra
intrisi d’acqua come il melone, l’anguria o cocomero che dir si voglia e cose
del genere. Usciamo da quel posto più confuse che persuase e soprattutto
preoccupate perché la quarta donna della famiglia ha un problema mica da
niente: è paraplegica e se prende a cagarsi addosso rischia di prendere ogni
genere di infezione e lesione per i repentini e frequenti cambi di cateteri cui
sarebbe costretta. La questione comunque era che avevamo bisogno urgentemente
di sapere come minchia fare a non fare prendere questa cosa X virale
a mia sorella.

Oltretutto eravamo un po’ incazzate, perché il dottore ci aveva
detto che la storia durava da più di un mese e quando gli abbiamo chiesto cosa
ci consigliava di fare, per evitare il problema, quello ci ha fatto chiaramente
segno con la mano di andarcene. Il punto dunque era che tutti sapevano di
questa cosa, a tal punto che in farmacia i farmaci adeguati alla cura del
problema erano andati esauriti e quelli propinavano altre marche con lo stesso
principio attivo. Tutti sapevano, ma nessuno voleva dire nulla di ufficiale per
impedire che il virus contagiasse altra gente.

Decisi di andare ad indagare un
po’ e provai a chiedere al personale della delegazione comunale per sapere se ne
sapevano qualcosa o se fossero state lasciate loro disposizioni in merito
alle informazioni da dare alla cittadinanza
. Nessuno sapeva nulla, anzi
risero e furono sorpresi che qualcuno andasse a chiedere informazioni su una cosa
che si preferiva lasciare al fato. Uno mi disse che persino l’assessore al
ramo
era a casa con gli stessi sintomi. Chiedo un po’ in giro e la gente
dice che si tratta di una cosa che ha colpito un po’ in tutta la costa e
che nessuno sa più di quello che sapevo io.

Scena successiva: siamo in quattro, una quest di tutto
rispetto, tutte munite di assorbenti, pannolini e pannoloni, a seconda della
tipologia e quantità di liquidi e sostanze coagulate che ciascuna di noi ha la
sfiga di far gocciolare, espellere, sputare fuori, perdere. Facciamo un
po’ di chilometri e alla guida di una macchina con il cambio automatico c’e’ la
mia sorellina. Solita trafila per il trasferimento del suo culo sul sedile
dell’auto. Pieghiamo e riponiamo nel cofano dell’auto la sua sedia a rotelle e
poi si parte.

Arriviamo al paese/città vicino dove c’e’ un ospedale del quale
my sister è cliente fissa per ogni sorta di rifornimento e controllo. Dentro ci
troviamo anche un bell’ufficio igiene momentaneamente chiuso. Una dottoressa è
così gentile da farci entrare e ci mette in contatto con il responsabile
sanitario dell’ufficio igiene del comune che ci riguarda. Mia sorella gli chiede
gentilmente, dato che è paraplegica e vorrebbe evitare complicazioni che la
costringerebbero in cura o in ospedale per lunghi periodi, se ha delle
informazioni più precise riguardo il virus che sta contagiando tutti nei borghi
lungo la costa. Il tipo si chiama M.M. e risponde con tono sarcastico.

Prima
chiede a mia sorella cosa ci fa una paraplegica lì e come ha fatto ad arrivarci,
come se sconoscesse totalmente le possibilità riabilitative delle moderne unità
spinali e la possibilità d’uso delle auto per disabili. Mia sorella appare
accigliata e si che ne ha viste davvero tante e ha dovuto subire monache e
preti o finti civili di pronta fede cattolica che volevano perennemente
convincerla che il suo male era una specie di dono di dio e doveva goderselo
con gioia infinita. Il dirigente continua con il tono a sfottò e chiede da chi
avesse avuto lei quelle informazioni, di cosa stesse parlando e se per caso non
avesse fatto una sua personale, privata indagine statistica che le desse
elementi così certi, tanto da farla parlare così.

La dottoressa presente, nel
frattempo, intuendo il tono della conversazione scuoteva la testa mortificata.
Mia sorella insiste dicendo che è un problema che non si può ignorare e che
alla guardia medica nove casi su dieci riguardano questa cosa. La
conversazione infine si chiude senza molti convenevoli. Il tipo dopo qualche
giorno si mette in ferie lasciando la patata bollente ad una sostituta.

Intanto in casa non si fa altro che mangiare riso in
bianco e solo così ci rendiamo conto di poter evitare di defecare, anzi
gocciolare merda, e vomitare dalla mattina alla sera. Io cammino a chiappe
strette e riesco a trovare una postazione nell’unico e affollatissimo internet
point dal quale continuano ad uscire uomini grassocci, corpulenti e dallo
sguardo arrapato e soddisfatto dopo una sequenza di sesso virtuale con una di
quelle donne che scrivono in una lingua fatta di troppe consonanti. Mi fa un
po’ senso sedere al posto dell’ultimo eiaculatore solitario da cabina. Spalanco
la tenda per non sentire il puzzo di sudore e mi ritrovo davanti la schermata
con una bella femmina vogliosa e tutta nuda che chiede in lingua inglese di
poter chattare con qualcuno.

Rispondo di avere urgenti problemi di cacca e di
non poter stimolare nulla che sia in prossimità del nervo vago, altrimenti non
mi sarebbe sufficiente il pannolino raccogli perdite. Chiudo la
comunicazione e scrivo una mail a tutti i maggiori rappresentanti istituzionali
comunali e provinciali della zona e ad una mia cara amica che forse può
aiutarmi a denunciare il problema e ad evitare a mia sorella di prendere il virus. Cerco anche il sito
della Asl del territorio per vedere se qualcuno nel frattempo non abbia avuto
la bontà di scriverci due righe di comunicato per spiegare di cosa si tratta e
come fare ad evitarlo. Nulla. Solo dieci righe che tranquillizzano su certe
voci che girano sulle alghe tossiche che stanno in una zona XY e precisano che
la questione è sotto controllo e che il mare è balneabile. Esco dall’internet
point, arrivederci e grazie e vado via.

Resto chiusa in casa per
qualche giorno, con la febbre e scariche frequenti, e quando la storia mi da tregua esco di nuovo e torno a vedere
se qualcuno degli esimi rappresentanti della zona mi ha degnato anche solo
di una misera risposta. Altro arrapato, altra donna nuda, stessa trafila ma
niente sulla mia casella di posta.

Altra scena: io e mia figlia andiamo al mare. Mia madre sta
ancora così e così e mia sorella, pur non avendo al momento problemi di perdite
cagherecce, non può comunque venire con noi perché da queste parti non c’e’
nulla che sia attrezzato per permetterle di arrivare in spiaggia e fare un
bagno. C’e’ una specie di pedana che arriva quasi fino al mare sbilenca, piena
di storture e buchi e buchetti che per una sedia a rotelle possono essere
fatali. Arrivata laggiù però lei dovrebbe aspettare che qualcuno la prenda in
braccio e, catetere in spalla, la immerga in acqua senza poterla lasciare mai.

Nulla di divertente. Perciò lei a mare non viene e si gode l’afa terribile che
la investe sul terrazzo di casa. Dicevo, comunque, che io e mia figlia siamo
andate al mare ed è a quel punto che mi ha telefonato la mia amica, che ha
telefonato al deputato regionale di zona, che avrebbe parlato con il sindaco e
mi avrebbe fatto richiamare presto. Dopo un po’ mi chiama niente po’ po’ di
meno che il sindaco F. in persona dicendomi che il deputato tizio e la signora
caia sono stati interpellati da me per saperne di più sulla questione.

Spiego
qual’e’ il problema è, dimostrando di essersi informato, mi legge dai suoi
appunti che si tratta di un virus blah blah (non perché non abbia capito ma
perché non mi ha spiegato bene il nome) a trasmissione oro-fecale con un 15% di
trasmissibilità e contagio. Mi dice, precisando che prima di essere un sindaco
è un medico, che c’e’ stato un versamento di liquidi (presumo acque nere, di
fogna insomma) nella rete idrica il giorno tot (dopo un mese dall’inizio delle
prime avvisaglie di contagio) ma che tutto era rientrato dopo 48 ore.

Mi dice
di stare attenta all’igiene, di evitare l’uso dell’acqua del rubinetto e di non
mangiare frutti pieni di acqua e verdure crude. Io riferisco delle
conversazioni avute con medici e con il dirigente. Mi risponde che da queste
parti evidentemente i medici non amano assumersi delle responsabilità. Chiedo
se sono stati fatti esami e mi dice che si fanno prelievi frequenti. Chiedo
allora come mai non è stata avvisata la gente prima che il virus prendesse a
diffondersi in questo modo e se mai faranno locandine, volantini, manifesti per
spiegare come evitare il contagio. Mi dice che in fondo si è trattato solo di
qualche giorno di diarrea e io rispondo che a molte persone me compresa la cosa,
tipo una gastroenterite spastica, è durata per dieci giorni con febbre
altissima e vari sintomi e che per quello che ne sapevo io poteva anche
trattarsi di tifo.

Solo nel terzo mondo, e qui evidentemente lo siamo, si evita
di informare la gente di un fattore di contagio così elevato per così tanto
tempo. Il sindaco poi mi dice che in questa zona l’informazione va più
lentamente
. Me lo spiega quasi come fosse un fatto ineluttabile e
fisiologico. Mi da poi i saluti per la signora e il deputato, che io avrei poi
riferito per dire che il sindaco aveva fatto il suo dovere, e  mi dice che dopo una quindicina di giorni
sarebbe stato diffuso del materiale informativo. Rispondo che ringraziavo per
l’informazione data a me (personalmente) e che speravo fosse riservata la
stessa possibilità anche agli altri cittadini. Passano giorni e settimane e ne’ alla guardia media, ne’ in
farmacia e tantomeno in altri luoghi è mai stato affisso nulla che riguardasse
il problema.

Mia sorella è allora tornata alla carica richiamando l’ufficio del
dirigente sanitario. Ha risposto la sostituta cortese e preparata. Ha dato le
informazioni di cui disponeva e affermava di stare monitorando la situazione.
Niente informazione al pubblico, quindi, a meno che il pubblico non faccia una
telefonata nei luoghi giusti o non disturbi persone che possono occuparsi di
questi problemi ad altri livelli. Conclusione: abbiamo smesso di cagare e mia
sorella non ha preso il virus. Si trasmetteva anche usando le stesse posate o
sedendosi sulla stessa tavolozza del cesso. Mia sorella si è salvata perché
abbiamo corretto l’alimentazione, abbiamo smesso di usare l’acqua del
rubinetto, lei non usa mai la posata di qualcun’altro e certamente non può mai
sedersi in nessuna tavolozza del cesso. Che culo, eh?

Posted in Corpi, Fem/Activism, Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Personale/Politico.


8 Responses

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  1. francesco says

    la sicilianità è un privilegio che poche altre popolazioni hanno avuto l’onore di ricevere.é frutto del lavoro di migliaia di anni,nei quali le popolazioni succedutesi in quella terra,hanno combattuto quotidianamente una guerra per ‘campare’ con dignità,orgogliosi del loro sudore versato per un pò di pane.è anche frutto di un post-indipendenza italiana,nel quale feudatari e nobili,hanno tratto profitto,approfittando della fame dei loro conterranei.riflettiamo su tutto questo,e chissà che la sicilia…..

  2. FikaSicula says

    peace-ano ma ti trasferisci qui?
    http://si-culo.blogspot.com/
    fammi un segno appena inizi (io ci guardo pure)
    che ti linko immediatamente 🙂
    bacio

  3. FikaSicula says

    perchè “fu peace-ano”?
    chiariscimi questa cosa che senno’ mi pare che devo vivermi una perdita e comincio a mettere in scena tutta la sceneggiata sicula del lutto (mi metto pure la veletta nera o una felpa incappucciata se per te va bene lo stesso :P) 🙂
    la risposta ha tempi lunghi e i cambiamenti non li vedremo noi e neppure quelli che verranno dopo di noi. passeranno secoli e se l’umanità non si estingue prima o la sicilia non si desertificherà definitivamente allora forse si potranno vedere dei miglioramenti. ogni cambiamento culturale ha tempi lunghi e noi non siamo altro che piccole mollichine che tentano di interferire con la storia. speriamo che si fermino tanti piccioni a nutrirsi che almeno sfamiamo di idee e pensieri altri senza casa come noi…
    io della sicilianità non posso liberarmi – anche se sono cittadina del mondo – perchè è quella grazie alla quale sono quello che sono. se non fossi nata e cresciuta in sicilia non avrei la forza che ho e non sarei mai diventata parte attiva della mia vita e un poco dei processi sociali. la mia resistenza è cominciata lì a partire da casa e poi in ogni metro che ho percorso.
    l’ironia a lungo andare ti viene, anche amara e piena di fiele, perchè sopravvivi grazie ad essa e se non vuoi farti consumare in sicilia l’ironia te la devi far venire fuori. è un’arma e spesso ti aiuta a sopravvivere 🙂
    e poi guarda quanta gente sexy strafiga e affascinantissima produce quel po’ po’ di terra arabo-normanna-spagnola etc etc?

    bacio

  4. Il fu peace-ano says

    E poi mi chiedo che ce la tengo a fare io ancora la residenza lì, dopo oltre sei anni che vivo qui. Che ci torno a fare, ogni volta? Per votare? Ma a che serve votare se la risposta non è politica ma culturale e ha tempi, evidentemente, molto lunghi?
    Mi guardo e mi trovo a pensare che di questa sicilianità troppo spesso non so che farmene. E a prenderla in giro non riesco, perché l’ironia resta sempre amara e gocciolo fiele.

  5. Il fu peace-ano says

    E poi uno si chiede – e non può non chiedersi – ma che ci torno a fare sempre in Sicilia? Ma perché ho ancora la residenza lì anche se abito qui da oltre sei anni? Ma a che serve andare a votare se la risposta è evidentemente molto culturale e poco politica – nonché indubbiamente di lunghissimo periodo?
    Ci penso e io proprio di questa sicilianità non so quasi mai che farmene. E però non riesco neppure a prendermene gioco abbastanza perché ogni ironia poi mi viene fuori amara e gocciolo fiele.

  6. FikaSicula says

    ciao Gino,
    non ho dubbi su quello che dici. infatti io ne ho raccontata solo una piccola piccola e non è neppure così grandiosa o tra le peggiori…
    solo una piccola storia di vita quotidiana!
    grazie della visita 🙂
    a presto

  7. ginoilsalumiere says

    Penso che in Sicilia siano diverse le storie di merda…
    saluti siculi.

Continuing the Discussion

  1. NON (E') SOLO "COSA NOSTRA" linked to this post on Marzo 18, 2009

    L’horror è catartico. Lo sanno gli esperti in questioni di cinema. Basta che guardi film di mostri incredibili e quando torni alla realtà ti sembra tutto più tranquillo. Perchè la catarsi avvenga è necessario per&og