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Le donne? Sempre oggetto e non soggetto

Ricordate tutta la storia sulla legge contro la violenza sessuale e sulle norme giuridiche relative la violenza sulle donne in famiglia? Ebbene, c'e' qualche novità. Il governo attuale, nelle persone dei ministri Pollastrini/Mastella/Bindi, ha prodotto un disegno di legge [Leggi Qui l'ultima versione] che dovrebbe fare bene agli umani di sesso femminile. Pare invece che – come spesso accade – si tratti di un papocchio che non aggiunge molto di buono e toglie anzi qualcosa al principio di autodeterminazione per le donne. Lo spiega la Associazione Giuristi Democratici in un documento che condivido con voi:

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Di nuovo la donna oggetto del diritto, dimenticando la strada del riconoscimento della soggettività femminile. Appunti a margine del ddl  Pollastrini-Mastella-Bindi.

L’Associazione Giuristi Democratici Bologna, pur apprezzando alcune delle modifiche introdotte, esprime il proprio rammarico a fronte del fatto che il Disegno di Legge 2169 sulle “Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona nell’ambito della famiglia, per l’orientamento sessuale, l’identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione” nel proprio impianto non soddisfi né valorizzi quanto richiesto a livello europeo ed internazionale per l’avanzamento dei Diritti delle Donne.

L’Associazione Giuristi Democratici Bologna in particolar modo si duole del fatto che, a fronte di nostra richiesta alle Istituzioni, avanzata mediante L’appello “Per Un Impegno Concreto, Per Una Donna Soggetto Di Diritto E Non Oggetto Di Diritti, Per L’Autoderminazione Femminile”, sia rimasta inaudita la richiesta di promuovere politiche volte ad accogliere le raccomandazioni avanzate dal Comitato per l’Applicazione della CEDAW e dalle Istituzioni Europee, così come è rimasta inaudita la richiesta di preventiva concertazione, inevasa per via di un dibattito pressoché inesistente che ha visto lo scarso coinvolgimento dei centri antiviolenza e il totale disinteresse per la consultazione di associazioni di donne, giuriste, operatrici sociali che con il loro lavoro quotidiano cercano di contribuire costantemente all’autodeterminazione delle donne.

L’Associazione Giuristi Democratici Bologna lamenta che, a fronte della necessità oggettiva di un intervento legislativo oculato volto a consentire l’effettiva ed immediata tutela delle donne vittime di reati contro la persona per motivi di genere, e ad incidere profondamente sul tessuto sociale, culturale, ed istituzionale, per eradicare le prassi discriminatorie e consentire il concreto avanzamento dei Diritti delle Donne, il Governo abbia invece scelto di convenire ad una soluzione legislativa di stampo emergenzialistico che non contempla tra le proprie priorità né un intervento organico atto ad incidere concretamente sull’ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna, né l’immediata ed efficace tutela della donna vittima di violenza, quanto più si preoccupa invece di colpire duramente l’atto femminicida in sé e non quell’ideologia dalla quale scaturisce, chiudendo l’occhio su tante altre problematiche di tipo sociale che ostacolano l’effettiva parità tra sessi, ovvero la fruizione da parte delle Donne dei Diritti Fondamentali della Persona.

Ancora una volta, ci si è avvalsi dello strumento legislativo per decontestualizzare un problema strutturale di riconoscimento della soggettività della donna e dei suoi diritti fondamentali nei vari ambiti sociali, (alla vita, alla dignità, ad un’equa retribuzione, alla salute, alla pari considerazione in ambito familiare) per rileggerlo in un’ottica antica, patriarcale, di tutela della donna non “in quanto tale”, ma in quanto moglie, madre, vittima bisognosa di tutela, col fine ultimo, malcelato, di garantire l’integrità morale e la riconciliazione dell’unità familiare, sovrapponendo in maniera confusionaria e di non facile decifrazione per l’interprete la disciplina di soggetti diversi, componendo un patchwork nel quale purtroppo si perde il senso originario che avrebbe dovuto motivare tale intervento.

In ragione di ciò L’Associazione Giuristi Democratici Bologna ritiene inderogabile dovere intervenire per evidenziare le gravi carenze del ddl 2169 e sollecitarne tanto l’eliminazione delle disposizioni che manifestamente confliggono con i principi di autodeterminazione e riconoscimento della dignità femminile, quanto l’integrazione nelle parti individuate come carenti, integrazione che dovrebbe seguire ad un dibattito che coinvolga il maggior numero di soggetti politici e sociali possibile.

In particolare:

– L’Associazione Giuristi Democratici lamenta:

a) Il disinteresse verso il contenuto delle Raccomandazioni mosse al Governo dal Comitato per l’applicazione della CEDAW, evadendo gli obblighi dello Stato Membro in base alla Convenzione, in particolare ostacolando la comprensione non solo dei cittadini ma anche delle Istituzioni sull’effettivo significato e sulla portata del problema della discriminazione contro le donne, in particolare per via della mancata traduzione e diffusione tra gli attori pubblici e privati dei Commenti Conclusivi del Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne, alla quale avrebbe dovuto seguire adeguato dibattito;

b) la mancata individuazione dell’oggetto, ovvero la mancata introduzione di una definizione di “discriminazione di genere” e “violenza di genere” sul modello offerto dall’art.1 CEDAW ( Raccomandazione n. 19/2005, Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne );

c) il mancato stanziamento di risorse e la mancata indicazione di fondi cui fare riferimento per promuovere le misure in oggetto;

d) il totale disinteresse della normativa in oggetto verso le donne migranti, evidenziato dalla mancata previsione dell’estensione a tutte le vittime di tratta del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, ma anche dalla mancata previsione della possibilità di accedere allo status di rifugiato per motivo di persecuzione correlato al genere (ad.esempio infibulazione), misure anche queste sollecitate dalle Raccomandazioni n. 31, 32, 35, 36 /2005 del Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne, nonché dalla Risoluzione del Parlamento Europeo n. 73 del 10/03/05;

e) il totale disinteresse della normativa in oggetto sullo stato di salute ed accesso alla sanità delle donne, in particolar modo per quanto riguarda incentivi che garantiscano :

– il monitoraggio sul numero di parti cesarei,

– il monitoraggio sulla prevenzione del cancro,

– l’assistenza delle donne anziane,

– l’accesso alla sanità da parte delle donni migranti ed irregolari,

– le politiche di prevenzione della trasmissione dell’AIDS

Aspetti, questi sopra elencati, che non possono prescindere da un testo che ambisce a prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione.

– L’Associazione Giuristi Democratici segnala inoltre:

a) la mancata previsione, nell’ambito dei principi e strumenti nel sistema dell’istruzione e della formazione di cui all’art. 2, di educational e professional training obbligatori nel corso di studio e sul posto di lavoro, rivolti agli operatori, agli educatori ed ai professionisti che nell’esercizio del proprio lavoro si trovano a dover affrontare casi di discriminazione/violenza di genere ;

b) la mancata previsione di un Codice di Condotta ed Autoregolamentazione dei Media per non diffondere un’immagine stereotipata della donna, nell’ambito di cui all’art. 4,come auspicato dal Committee for Equality between Women and Men del Consiglio d’Europa;

c) la mancata previsione, nell’ambito delle Statistiche sulla violenza, di cui all’art. 5, di:

– studi volti a calcolare i “costi della violenza”, già posti in essere nella maggior parte

dei Paesi Europei,

– statistiche atte a valutare l’efficacia deterrente delle misure di protezione della vittima,

d) la mancata previsione, nell’ambito del Sistema previdenziale di cui all’art. 6, del riconoscimento in toto per le lavoratrici pubbliche e private anche precarie, nel caso in cui siano vittime dei reati di cui agli art. 572, 609 bis e 609 octies c.p., del diritto a: indennità di previdenza sociale, riduzione e riorganizzazione dell’orario di lavoro, mobilità geografica, possibilità di sospensione del lavoro con conservazione del posto di lavoro;

e) la mancata previsione, nell’ambito del Sistema previdenziale di cui all’art. 6, dell’esenzione totale dal pagamento degli oneri sociali per le imprese che, durante i periodi di assenza delle lavoratrici vittime di violenza, assumano, con contratto a tempo determinato, personale che le sostituisca;

f) l’incauta previsione nell’art. 8 di interventi ai fini di ricomposizione familiare, che se indubbiamente possono considerarsi utili nel caso la vittima sia un minore vittima dei reati di cui all’articolo 8, indubbiamente si tratta di una infausta trovata del legislatore, lesiva della dignità della donna, se riferita, come è nell’articolo in oggetto alla lettera c), anche a donne che abbiano subito maltrattamenti in famiglia di entità tale che per uscirne si siano affidate allo strumento penale. Lo stesso valga per la lettera g) per l’inserimento in comunità di tipo familiare. Si auspica vivamente su questo punto un netto chiarimento del legislatore, e si continua a non capire perché, a differenza di tutti gli altri paesi europei, si siano previsti esclusivamente percorsi di accompagnamento psicologico e reinserimento sociale della vittima, e non li si siano affiancati alla previsione, su adesione volontaria, a trattamenti personalizzati risocializzanti per partners violenti, non solo nei casi in cui è percorsa la strada penale;

g) si ritiene che la presentazione a livello locale o da parte dei singoli centri antiviolenza di programmi di protezione sociale e reinserimento della vittima di cui all’art. 9, potrebbe neutralizzare i diritti della vittima di cui all’art.8. La possibilità di programmi differenziati localmente o da centro a centro potrebbe infatti portare ad una eccessiva frammentazione delle procedure ed una scarsa conoscibilità delle stesse da parte della vittima, che si vedrebbe disorientata, e potrebbe inoltre generare situazioni di tutela disciminatoriamente diverse a seconda dei fondi, delle strutture e dei mezzi disponibili: il primo diritto della vittima che è lo stato a dover assicurare è quello di ricevere immediata protezione sociale e ausilio all’inserimento, altrimenti si disincentiva la denuncia e la fuoriuscita da situazioni di violenza (Raccomandazione n. 23-31-32/2005, Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne), che ad oggi non si è stati in grado di gestire coordinatamente e tempestivamente.

Il problema più generale che sta a monte è che la legge non prevede raccordo tra misure penali, civilistiche e cautelari per neutralizzare il partner violento, né con la disciplina sull’affidamento dei figli, così che la donna che vuole uscire tempestivamente da una situazione di violenza si ritrova sperduta tra mille strade che potrebbe alternativamente percorrere e non si sente abbastanza tutelata da uscire allo scoperto, questo a fronte del fallimento nel coordinamento tra le varie agenzie di protezione sociale ed il sistema giudiziario. A tale fallimento è doveroso si faccia fronte a livello nazionale prevedendo una procedura di assistenza integrata con cui la comunità si faccia carico di far uscire al più presto la vittima dalla situazione di pericolo, attraverso il coordinamento tra pronto soccorso, operatori sociali, polizia, tribunali, ovvero il cosiddetto co-operative multiagency approach, da anni funzionante in altri paesi europei, il quale ha il vantaggio di non far ricadere sulla vittima l’onere dell’informazione e della ricerca di protezione e di assistenza legale ma, proprio attraverso il coordinamento tra “agenzie”, riesce a fornire immediatamente alla vittima protezione adeguata ed avvio delle procedure giudiziarie ritenute confacenti al caso, il che ovviamente non sostituisce ma integra e rende più efficace il lavoro di “prima accoglienza” attualmente svolto dai centri antiviolenza.

h) La mancata previsione, per i reati di cui al presente ddl, della possibilità di fare richiesta di sequestro cautelare, onde garantire alla vittima di vedersi concretamente riconosciuto il risarcimento del danno al termine del processo.

i) si ritiene una retrocessione rispetto alle politiche poste in esse fino ad oggi in materia, per il reato di atti sessuali con minorenne, il reinserimento della valutazione delle condizioni psicofisiche della vittima quale elemento per concedere l’attenuante, che potrebbe dare adito, come peraltro già successo, a soluzioni giurisprudenziali discriminatorie, considerando sempre che si tratta di soggetto minore di quattordici anni o infraquattordicenne il cui aggressore comunque abusa di una relazione di convivenza o affidamento in stretto contatto con il minore;

j) si nota che la forma del giudizio immediato potrebbe in taluni casi risultare sfavorevole alla vittima per via delle carenze investigative dalle quali è connotato e che, in corso di procedimento, potrebbero riverberarsi in maniera negativa sulle necessità di difesa della vittima.;

k) si auspica che la previsione di programmi di riabilitazione per il reo sia connotata da : adesione volontaria, nessun beneficio penitenziario, programmi personalizzati di reinserimento sociale;

l) si auspica che venga riconosciuta espressamente la possibilità per i centri antiviolenza e le associazioni femminili e di tutela dei diritti umani di costituirsi in giudizio come parte civile, riconoscendo simbolicamente in tal modo che un atto di violenza non tocca solo la dignità della singola donna, ma è un atto che viene sentito come lesivo dell’identità stessa femminile.

L’Associazione Giuristi Democratici si auspica che a tali osservazioni faccia seguito ampio dibattito e che possa risultarne un intervento organico di riforma atto a promuovere l’autodeterminazione della donna in tutti gli ambiti sociali ed a garantirne in maniera concreta ed uguale per tutte la fuoriuscita immediata da situazioni di violenza ed il reinserimento sociale.

ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI

Bologna, lunedì 12 marzo 2007

 

 

Posted in Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali.


2 Responses

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  1. FikaSicula says

    Mah!
    Neppure la fatica di mettersi un preservativo. Pure quello dobbiamo metterlo noi. Ma a chi è potuta venire questa geniale idea?
    Non basta che dobbiamo imbottirci di pillole e infilarci dentro di tutto? Anche la mantellina con il volant esterno…tipo colletto da dama vittoriana.
    E’ orribile. Hai ragione
    Baci :)*

  2. pippi* says

    conosci questo tipo di preservativo al femminile?
    lo trovo ancora una volta svilente per la dignità delle donne.. ecco il link
    http://www.comodo.it/preservativi/condom_femminile.php

    baci *:)