Skip to content


Il vestito

Il mio vestito per la festa. Con i ricami azzurri e la scollatura come piace a me . Me l’ero fatto fare apposta. Lui lo ha strappato. E’ successo che quasi non lo ricordo più. Non riavrò mai più quell’abito e non potrò andare a quella festa. Un giorno avevo deciso di rubare un pezzetto di vita. Mio marito non c’era. Ero riuscita a cacciarlo via. Però era tutta un’illusione. Lui mi aspettava fuori casa, mi inseguiva, mi controllava. Certe volte mi convincevo che non c’era. Invece era lì.

***** 

Io non ci credo all’amore. Ma questa è la sua scusa. La usa per stare attaccato a me. Sempre più vicino. Come se non potesse respirare senza sentire il mio sudore. Quando io mi vedo schiacciata, lui pensa di essere da solo. Com’e’ possibile che ci siano modi così diversi di sentirsi rifiutati? Io non so ricucire le distanze con gli abbracci. Se lui non mi parla con calma, senza fretta, le sue mani mi sembrano quelle di un ladro.

“Ma che mi vuoi rubare? Non ho più niente. Come fai a pensare che se mi stringi allora non mi perderai. Acchiappami con le parole. Sono le uniche cose che possono portarmi vicino a te. Invece con le parole tu sei un disastro. Non riesci a pronunciare correttamente neppure il mio nome. Quando lo dici dalla tua bocca esce fuori un suono stridulo che mi mette paura. Vedo solo le tue mani che vogliono arraffare e schiacciare. Così pare che ci siamo chiariti. Ma non si chiarisce nulla. Una scopata è una scopata. E io non so scopare se non mi parli. E non voglio niente da te. A parte che potresti lasciarmi stare e smettere di fare quella faccia da animale disperato. Non puoi prendere quello che hai perduto.  Non ti stimo. Non mi interessa più nulla di te. Devi solo lasciarmi in pace. Ma come hai fatto a entrare? “

E' in casa, davanti a me. Quella scema della mia vicina gli ha aperto. Ora è qui a buttarmi addosso tutta la sua merda e a pretendere che gli calmi il dolore. Quella cosa lancinante che lo prende allo stomaco e che non sa come spegnere. Come se gli mancasse l’aria, come se stesse per morire. Ha bisogno di mangiarmi, succhiarmi, spaccarmi in mille pezzi per portarseli tutti in un taschino. Così non sente la mancanza, così non muore per abbandono. Quanti sono i modi per chiedere attenzione? Infiniti. Ma non serve che gli dica che va tutto bene. Che siamo soltanto cresciuti e dobbiamo andare avanti, ciascuno per la sua strada. Non si deve stare insieme per forza. 

“Ma chi ti ha detto che era per sempre. E’ una bugia, non lo capisci? Quando mai è successo che si sta insieme per sempre. Per solitudine? Per dividere l’affitto? Se non cresci con me io devo andare via. Se resto con te non mi fai crescere. Non mi permetti neppure di pensare, a meno che i miei pensieri non ti escludano. Ti fa paura ogni cosa che può portarmi via.”

Si aggrappa a me e piange. Urla e soffre. Cazzo come soffre. Non so come fermare il suo dolore. Non posso fare niente. Mi sento in pericolo. Se lo soccorro lui uccide me. Io voglio vivere. Voglio andare alla festa con il mio vestito. 

“Ma fermati, è inutile. Perché non vuoi farmi uscire? Ma cosa vuoi da me? Non ti posso salvare. Non posso fare niente.” 

Si arrampica per la stoffa. Comincia con quella. Ha smesso di ragionare. Non posso dirgli più niente. Non mi sente neanche più. Ora vuole solo prendersi quello che gli serve per tagliare il male. Strappa via un pezzo e gli occhi soffrono con soddisfazione. Come se mi dicessero che lui non ha scelta. Non può fermarsi. Lo deve fare, per sopravvivere. 

“Ma cosa c’entro io?  Perché devi ferire me?” 

Sono io. Lui non ha dubbi. Io lo sto facendo soffrire. Sto bevendo il suo sangue. Lo sto lasciando debole, asciutto, senza forze. Io sono una goccia d’acqua e lui deve spegnere un inferno intero. Io lo so: nessuno è mai come vorrebbe apparire. Somigliare ai propri mostri vuol dire mutare, cambiare pelle. Quella stessa pelle che invece è tanto vecchia e stantìa sulle anime nere di tutte le facce “buone”. 

“Sei bello così. Fatti guardare da vicino. Va bene, ti abbraccio. Smetti di frantumarmi." 

Mi schiaccia col suo peso. Mi accoltella col suo cazzo. Ora è calmo. Ha finito. Ha strappato il mio vestito e ha finito. Lui è okay e io non posso più andare alla mia festa.

[e.p.] 

Posted in Autoproduzioni, Corpi, Narrazioni ultimate, Omicidi sociali.