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Comunicazione politica, pratiche di esclusione e narrazione antiviolenza imposta

Da Abbatto i Muri:

Premetto: io sto sempre dalla parte delle vittime di violenza. Non sto dalla parte dei tutori. E questa cosa non è una banalità perché cambia proprio la prospettiva. Se fai antiviolenza in istituzionale/mode quando sarà un tutore a opprimere qualcun@ sarai dalla sua parte e giammai da quella della vittima. Dunque non ho problemi con l’antiviolenza. Io critico fortemente una certa antiviolenza egemone che giudico dannosa e che non è l’unica possibile anche se si autodefinisce tale. Con essa critico un pezzo dei femminismi istituzionali e anche quelli non sono gli unici possibili anche se si autodefiniscono tali. Vado perciò a raccontarvi un po’ di analisi.

L’antiviolenza che legittima il patriarcato (buono)

Quello che vedo in atto, è in generale, una pratica di esclusione contro soggettività e femminismi autodeterminati. Nulla di nuovo, in realtà, ma trovo comprensibile, perché già previsto, che il femminismo filo/istituzionale e moralista abbia sdoganato alcune distorte pratiche di attivismo accreditandole come si trattasse del più lieto e lungimirante femminismo del mondo. E trovo comprensibile che conseguenza ne sia, appunto, il tentativo di esclusione di femminismi non istituzionali, non moralisti e dunque autodeterminati.

Da quei femminismi istituzionali deriva anche una antiviolenza che legittima il patriarcato (buono) e che trova giusto che le donne siano definite “soggetti deboli” private della possibilità di scegliere se revocare una querela o meno, consegnate a tutori  dall’alto di una logica che ripropone uno schema vecchio quanto il cucco.

Nelle discussioni di questi anni ci siamo abituate a un altro paradosso. Non si parla più di libertà delle donne ma di dignità. La storia della difesa della dignità delle donne, dove non si capisce perché mai le donne dovrebbero essere “dignitose”, ovvero rispettose delle convenzioni sociali, la storia dell’allarme sull’uso del corpo delle donne e la incessante campagna che coinvolge gli uomini come destinatari di una rieducazione, ha rilegittimato infatti un patriarcato che altrimenti non avrebbe avuto grande spazio.

Continued…

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Disquisire di baci, molestie, restando sempre dalla parte dei tutori (si può!)

C’è lei che dopo essere stata messa in croce su ogni possibile media esistente per non aver corrisposto sacro amore nei confronti delle forze dell’ordine viene ancora messa alla gogna con l’accusa di “violenza sessuale” per una leccata impropria alla visiera di un casco della polizia.

Poi ci sono persone alle quali di lei o delle dinamiche e pratiche di movimento, a occhio, mi pare importi molto poco. Quel che sembra interessare è ribadire alcuni concetti a costo di accreditare la tesi dell’accusa.

C’è una signora che scrive: “Parte integrante della lotta non violenta è accettare le conseguenze che simili gesti comportano.” e lo scrive mentre sovradetermina nell’interpretazione la stessa versione che la protagonista invece ne dà. Addomestica la ribellione insita in quel gesto e riduce infatti tutto al solito pappone sentimentale non-violento di chi sogna abbracci e baci con i tutori. Così conclude:

Io comunque ringrazio xxxxx, per avermi regalato un altro bacio da non dimenticare: la manifestante che bacia il poliziotto.

Un bacio nel quale abbiamo visto ciò di cui avevamo bisogno: l’amore che vince sugli orrori del quotidiano.

Tanto scrive dopo aver fatto una analogia con un altro “bacio” impresso in una fotografia concludendo che “Insomma, si è trattato di molestie.

In sintesi sarebbe una azione non-violenta un po’ molesta e la protagonista della storia dovrebbe “accettare le conseguenze che simili gesti comportano“.

Un altro, parlando di questa questione, dopo aver riprodotto nomi, cognomi, perfino il nick name come farebbe La Repubblica con una qualunque NoTav, fornisce argomenti all’accusa. Filo/piddino, filo femminismi/istituzionali, abolizionista della prostituzione, non manca mai di bacchettare le femministe autodeterminate sulle pratiche (no postporno, no slut walk) e in questo caso ci illumina su quel che sarebbe “disobbedienza civile”. Così prende a “pretesto” una ragazza a rischio di denuncia/processo, sulla quale pesa una accusa ridicola, per ricucirle sulla pelle il proprio teorema.

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, NoTav, Pensatoio, R-esistenze.


Solidarietà alla vittima della molesta leccatrice di visiera

polizia-caschi-blu

Da Abbatto i Muri:

Volevo dare la mia solidarietà al poliziotto violentato perché deve essere stato davvero terribile vivere quello che ha vissuto lui. Nulla di paragonabile, ovviamente, a quanto hanno vissuto le donne che dopo Bolzaneto denunciavano di aver subito molestie o a quelle che denunciano uno che sta in questura e che in cambio di un permesso di soggiorno chiede servizi sessuali.

Deve essere stato tristissimo per lui restare lì in condizioni di inferiorità quando dall’altra parte c’era una persona che si permetteva di abusare del proprio potere a mettergli le mani addosso. Deve essere stato terribile come lo è stato per quella ragazza stuprata a L’Aquila da un militare, terribile come per lei che è quasi morta per quella vicenda. Io sono più che certa che il poliziotto violentato capirà perfettamente quanto sia stato atroce, triste, sentirsi dire, lei e tutte le altre, prima o dopo, che se l’erano cercata, perché quando una donna denuncia uno stupro, quando viene toccata, palpeggiata, apostrofata in modo negativo, sfottuta, molestata, quello che si sente dire è sempre che se l’è cercata, ed è dura dover combattere contro gli insulti, il sessismo, quando tutto questo ricade sulla tua pelle. Figuriamoci quanto questo possa essere brutto se poi ad agire come gruppo unico è una schiera militare, un plotone di soldati, che si coprono l’un l’altro, e che di fatto vedono spesso le donne come corpo estraneo anche se dicono di volerle difendere.

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