Da Abbatto i Muri:
Mi hanno toccato il culo e non per questo ho denunciato. Mi hanno strusciato le tette e ancora non l’ho fatto. Mi hanno chiamata troia, puttana, zoccola, e non ho denunciato. Perché le situazioni episodiche non condizionano perennemente la mia vita. Perché da una toccata di culo, una strusciata di tette, una parola proferita come insulto, posso difendermi e farlo anche piuttosto bene. Io non denuncio perché il carcere può andare bene soltanto a chi neppure sa cosa significa. Perché intrappolare qualcuno nelle maglie della “giustizia” significa rovinargli la vita e io non rovino la vita a uno che m’ha toccato il culo, m’ha strusciato la tetta o m’ha chiamata troia. Ci penserei bene anche su questioni un po’ più complesse figuriamoci per cose del genere.
Il carcere è una delle istituzioni più becere che ci sia. Legittimarla e avallare l’idea che lì una persona possa davvero migliorare, capire, crescere, è totalmente idiota. Legittimare le polizie, i tutori, come fossero parte di qualcosa di interamente sano, una organizzazione scevra di sessismo, e ancora più idiota. Il sessismo non lo risolvi con la galera e questo è certo. Lo risolvi con l’educazione e la cultura. E il punto è che la società è anche quella che costruisco io. C’è lui che mi tocca il culo e se ne fotte di quel che io desidero, penso, voglio, di quanto possa darmi fastidio, perché ritiene io sia un oggetto e poi ci sono io che so molto di più, ho più strumenti culturali e ho chiaramente una empatia che supera il mio ombelico, perciò non ho alcuna voglia di rivalsa, di vendetta, nei suoi confronti.
Non sono certo disposta a tollerare nulla. Ho piedi, gomiti e parole che m’avanzano. Ad aver bisogno d’aiuto m’è capitato di esercitare il figapower con altre amiche che in quanto ad autodifesa non erano da meno, e anche a venire fuori da una situazione in cui quella toccata di culo sull’autobus o per strada te la becchi cosa vuoi fare? Chilometri di carta avvocatizia, procedimenti legali, spese, il dito puntato contro di lui a dirgli che è un mostro e poi la gioia se viene condannato a qualche anno di galera e il dispiacere se non gliene danno abbastanza? Ma io davvero chiedo: quando è successo che abbiamo cominciato a misurare il grado di libertà che la società riconosceva come nostro diritto proporzionalmente agli anni di galera inflitti a qualcheduno? Quando è successo che abbiamo cominciato a immaginare che la repressione, il legalitarismo, la galera, costituissero la risposta ai nostri problemi? Quando è successo che invece che più libertà per noi abbiamo cominciato a chiedere più galera per chiunque?
Continued…