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Hannah Arendt, quella straordinaria pensatrice indipendente

Da Abbatto i Muri:

Se Hannah Arendt fosse vissuta e avesse sviluppato il suo discorso sulla “banalità del male” ai tempi dei social network sarebbe stata sicuramente vittima di cyberbullismo e cyberstalking. Ai suoi tempi, ovvero non moltissimi decenni fa, esistevano telefonate e lettere, oppure gli editoriali al vetriolo di persone che l’hanno definita arrogante, traditrice, e via di questo passo. Perché?

Chi ha letto la Arendt come l’ho letta anch’io e dalla sua opera ha tratto insegnamento sicuramente non è rimast@ affatto sorpres@ vedendo il film. Quello che il film dice è cosa nota. C’è lei, raccontata con una meravigliosa destrezza (per quanto ad alcun* il film non sia piaciuto) da quella splendida regista che è Margarethe Von Trotta, bravissima l’attrice interprete nel ruolo della Arendt, Barbara Sukowa, e poi c’è un frammento, certo insufficiente ma importante, di quel suo percorso, ai tempi in cui in Israele si celebrò il processo contro Eichmann e la Arendt chiese al New Yorker di inviarla ad assistere per farne una cronaca. In realtà poi scrisse un saggio politico e filosofico noto a tutti con il titolo de “La banalità del male“, diviso in cinque parti sulla rivista e in seguito pubblicato anche come libro.

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Dopo lo stupro? Io sto benissimo!

da Abbatto i Muri:

Lo stupro è quella cosa che succede quando qualcuno viola la tua libertà di scelta. C’è lui che eiacula sul tuo corpo anche se ti fa schifo e avevi detto no. E può accadere in tanti modi, violenti, tragici, patetici, ricattatori, ridicoli e così via. E poi succede che qualcuno dice “prendilo in bocca” e tu lo fai perché così lui va via. Succede nei rapporti più o meno casalinghi, quelli consensuali, adoperi lo stesso metodo quando non hai voglia ma lui ti dice “su, facciamo questo e quello” e allora ansimi un po’, gli offri gentilmente un buco in cui può eiaculare, infine ti dimeni e quello, tempo tre secondi, viene. Mi sono spesso chiesta perché farlo a pagamento fosse peggio. Di fatto, in realtà, non lo è, mi dicono, ché anzi lì hai la certezza che quella tua finzione non dovrà durare, notte dopo notte, per mesi o, peggio, anni. La paga è nettamente superiore e oltre a quello non devi lavare, stirare, non devi fare tutte quelle cose che una moglie, quando da lei si esige svolga quei doveri, deve fare. Dicono che un marito poi però ti è accanto quando hai bisogno di qualcosa. Io mi ricordo che quando quel marito c’era ero io che dovevo calmarlo e incoraggiarlo mentre tentavo di ricucire una ferita. Lui andava nel panico e poi aveva fretta di consegnarmi a un altro tutore, per togliersi l’impiccio e placare l’ansia. Sarà che sono ingiusta, probabilmente è vero, ma in questo momento mi pare di vedere le cose con chiarezza. Perciò lasciatemi dire che trovo fuori luogo l’insistenza per cui dovrei abdicare anche al cinismo, alla lucidità, all’obiettività, per raccontare la pretesa di una felicità che è effimera e frutto spesso di illusione.

Lo stupro è quando lui ti struscia un pene sulla faccia e non è quello che vorresti. Potrebbe piacerti in altre circostanze ma quella volta proprio no. La consensualità è il limite. Espressa chiaramente e altrettanto chiaramente negata, ché non si può rimproverare solo a un uomo l’incapacità di intuire quello che passa nella mia testa se io stessa non so definire quello che voglio. Ci sono alcuni che pensano che il proprio pene dovrebbe essere sempre gradito e sono io, in realtà, che in quel caso non ho detto no con una decisione che sarebbe stata utile. Come distinguere la sensazione di un abuso se in generale la vita di una donna parrebbe devoluta al sacrificio, all’abnegazione, alla dissimulazione? Mi avevano insegnato che qualunque cosa fosse dovevo sempre dir di si. Mi avevano insegnato che mio marito per me doveva essere tutto. Sii forte, figlia mia, diceva mamma, perché tu sola sei il pilastro di quella famiglia, e quando quel legame sarà solido me ne sarai grata. Così, notte dopo notte, imparavo a immaginarmi brava moglie e quando guardavo in faccia mia madre vedevo la stessa fantasia idiota che non corrispondeva alla realtà.

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L’antiviolenza istituzionale e il femminismo carcerario

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da Abbatto i Muri:

Io non so se ricordate com’era la discussione sull’antiviolenza fino a un po’ di anni fa. Vivace, certo, come sempre, ma mentre a Bologna le Sexyshock parlavano di spazi liberati, le macho free zone, con la mappatura delle zone “sicure”, l’attraversamento delle città, la campagna che raccontava come securitarismi, zone rosa, blindature e ronde non servissero a niente e mentre si organizzava la grande manifestazione contro la violenza sulle donne del 2007 a cura del movimento Sommosse, caratterizzata proprio dal rifiuto del securitarismo, con un ragionamento che intendeva ribellarsi alle speculazioni e strumentalizzazioni fatte da Lega, Pdl e Pd a proposito di “sicurezza”, anti-immigrazione, con un No deciso al pacchetto sicurezza di allora in cui si parlava di stupri e stranieri nello stesso capitolo normativo, noi dicevamo che non ci interessava più galera, le aggravanti, le ronde, e tutta la retorica che elevava la soglia del danno sulla persona a seconda del fatto che quel danno ti veniva inferto da una mano bianca, nera, povera, e poi la riduceva quando c’era (e c’è) di mezzo un militare, un tutore di quelli intoccabili che giammai andavano stigmatizzati perché in quel caso tutto il castello di balle raccontate crollava miseramente.

sciaccaInsomma, il ragionamento era lo stesso di mille altre volte: non si faceva una discussione reale sulla violenza tenendo conto delle istanze che arrivavano dal basso. Si calava dall’alto una visione delle cose che corrispondeva a partiti e governi. Nulla di più e nulla di meno. Pd e sue pari provarono a cavalcare la faccenda, finanche rubando la scena, il microfono, immaginando di parlare a nome delle altre, però non ci riuscirono. Furono malamente cacciate e dunque si urlò allo scandalo, dissero che le ragazze in piazza, e il numero si aggirò sulle 150.000, erano violente. Da lì iniziò il percorso di invisibilizzazione e criminalizzazione dei femminismi autodeterminati e non filo/istituzionali. Pd e partiti vari cavalcarono la storia della tutela del corpodelledonne e dopo un po’ vedevi magliette rosa targate Snoq, a cura di una Snoq ora separata dal resto dei comitati cittadini, indosso a calciatori fascisti. Parole d’ordine divennero “indignazione” e “dignità” a sostituzione di ribellione e libertà. Noi eravamo diventate nemiche giurate perché allora, come adesso, la galera ci stava stretta, combattevamo per raccontare una battaglia anche antirazzista, antisecuritaria e quel che abbiamo sempre detto è che rivendicare libertà non significava decisamente chiedere più galera per qualcun@.

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