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“Cimitero dei feti”: tra strumentalizzazioni ed eccessi

Riceviamo e volentieri condividiamo questo intervento su una materia che trattiamo di frequente. Voleste esprimere la vostra opinione in proposito contattateci pure. Buona lettura!

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di Enrica Franco

L’ultima inaugurazione di un “cimitero per bambini mai nati” risale a pochissime settimane fa, è avvenuta a Monopoli, in Puglia, ed è stata seguita, come al solito, da infinite polemiche. La legislazione in materia risale a trent’anni fa, ma solo da pochissimi anni, in seguito alla spinta dei movimenti antiabortisti (in particolare il Movimento per la Vita), comincia ad essere applicata, con grande gioia dei cattolici.

Esistono anche associazioni slegate dalla Chiesa che hanno contribuito alla realizzazione di questi luoghi, come CiaoLapo, associazione di genitori che hanno subito un lutto perinatale. La sinistra, invece, si schiera compattamente contro. L’utilizzo strumentale di queste iniziative da parte delle organizzazioni cattoliche, che vorrebbero riconoscere ai feti pieni diritti e che quindi, come estrema conseguenza, vorrebbero che l’aborto volontario fosse considerato un omicidio, fa chiudere in trincea tutti coloro che difendono la 194, che vedono in queste iniziative un ulteriore attacco morale alle donne.

L’esigenza di difendere questo sacrosanto diritto rischia però di accecare i suoi sostenitori. Pur nella consapevolezza della strumentalizzazione dei cattolici, bisognerebbe essere più cauti nell’approcciarsi a certi argomenti. La libertà di scelta, che giustamente rivendichiamo con forza, dovrebbe valere anche verso chi sente l’esigenza di seppellire un feto. Se ci soffermassimo un attimo a riflettere sull’argomento potremmo accorgerci che, dietro la vergognosa strumentalizzazione dei cattolici, c’è qualcos’altro, un dolore che merita di essere rispettato.

Il lutto delle molte coppie che perdono un figlio prima della nascita non trova spazio in questa società, rimane inascoltato e crea disagio oltre che dolore. Le dichiarazioni di fuoco, i sit-in di protesta, non fanno altro che far sentire i protagonisti di queste dolorose vicende come “pedine” in giochi politici che avvengono sulla loro pelle. Il punto non dovrebbe essere la legittimità o meno di un embrione di essere considerato “persona”, ma la legittimità del dolore dei genitori.

Continued…

Posted in Pensatoio, Scritti critici.

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Noi diciamo RIVOLUZIONE

di BEATRIZ PRECIADO

Pare che i vecchi guru dell’Europa coloniale si stiano ostinando a voler spiegare agli attivisti dei movimenti Occupy, Indignados, handi-trans-froci-lesbiche-intersex e post-porn che non potremo fare la rivoluzione perché non abbiamo nessuna ideologia. Dicono «un’ideologia» esattamente come mia madre diceva «un marito».

Bene: non abbiamo bisogno né di ideologie né di mariti. Noi, nuove femministe, non abbiamo bisogno di mariti perché non siamo donne. Così come non abbiamo bisogno d’ideologie perché non siamo un popolo. Né comunismo né liberalismo. Né ritornello catto-musulmano-ebraico. Parliamo un altro linguaggio. Loro dicono rappresentazione. Noi diciamo sperimentazione.

Loro dicono identità. Noi diciamo moltitudine. Loro dicono controllare la banlieue. Noi diciamo meticciare la città. Loro dicono il debito. Noi diciamo cooperazione sessuale e interdipendenza somatica. Loro dicono capitale umano. Noi diciamo alleanza multi-specie. Loro dicono carne di cavallo. Noi diciamo saliamo in groppa ai cavalli per sfuggire insieme al macello globale. Loro dicono potere. Noi diciamo potenza. Loro dicono integrazione. Noi diciamo codice aperto. Loro dicono uomo-donna, Bianco-Nero, umano-animale, omossessuale-eterosessuale, Israele-Palestina.

Noi diciamo ma lo sai che il tuo apparato di produzione della verità non funziona più. Quanti Galileo saranno necessari, questa volta, per farci reimparare a nominare le cose e noi stessi? Loro ci fanno la guerra economica a colpi di machete digitale neoliberale. Ma noi non piangeremo per la fine dello Stato-sociale – perché lo Stato-sociale era anche l’ospedale psichiatrico, il centro d’inserimento per handicappati, il carcere, la scuola patriarcale-coloniale-eterocentrata. È tempo di mettere Foucault alla dieta handi-queer e di scrivere la Morte della clinica.

È tempo di invitare Marx a un atelier eco-sessuale. Non possiamo giocare lo Stato disciplinare contro il mercato neoliberale. Entrambi hanno già siglato un accordo: nella nuova Europa, il mercato è l’unica ragione di governo, lo Stato diventa un braccio punitivo la cui unica funzione è ormai di ricreare la finzione dell’identità nazionale sulla base della paura securitaria. Noi non vogliamo definirci né come lavoratori cognitivi né come consumatori farmaco-pornografici.

Noi non siamo né Facebook, né Shell, né Nestlé, né Pfizer-Wyeth. Noi non vogliamo produrre francese, ma neanche europeo. Noi non vogliamo produrre. Noi siamo la rete viva decentralizzata. Noi rifiutiamo una cittadinanza definita dalla nostra forza di produzione, o dalla nostra forza di riproduzione. Noi vogliamo una cittadinanza totale definita dalla condivisione delle tecniche, dei fluidi, delle semenze, dell’acqua, dei saperi. Loro dicono la nuova guerra pulita verrà fatta con i droni. Noi vogliamo fare l’amore con i droni. La nostra insurrezione è la pace, l’affetto totale. Loro dicono crisi. Noi diciamo rivoluzione.

Continued…

Posted in Critica femminista, otro mundo.

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Una giornata militante

Da RiotPorn:

Quando due ftm pansessuali queer yaoi-lovers si incontrano, uno dei due ha la mano nella mutande.
E l’altro pure.
[Semicit.]

Mio padre:  Ma perché non fai qualcosa di utile? 
Io:  Qualcosa di arrapante è sempre utile.

 

Il presidio è in fermento. Sono qui, con le cuffiette, e ascolto un po’ di elettronica. C’è un ragazzo “imbardato”, sciarpa nera e cappuccio sul volto. È lui.  Mi ghiaccia con lo sguardo, poi saluta, si avvicina, mi dà un bacio. Mi sciolgo in un laghetto rosa di glitter ed amore universale, ma  disgraziatamente, la polizia carica e devo ricompormi. Tutto intorno prende forma il caos, la folla va su e giù per la strada, a mo’ di corda di chitarra stuzzicata. La situazione si fa sempre più incasinata e  mi ritrovo con  lui, che mi prende per mano e mi trascina via correndo. Arriviamo a casa sua. Andrea, capelli mori, occhi castani ed un sorriso che sa sempre disarmarmi, abita in uno squat. È un luogo  pieno di vita e colori , gli stessi delle farfalle svolazzanti nel mio stomaco, che intanto comincia a farsi sentire dalla fame. Non sono l’unico e dunque ci affrettiamo ad ingurgitare il risotto avanzato del pranzo sociale di oggi; la consapevolezza di un pasto senza uccisioni aggiunge un certo grado di goduria al tutto.

Mi racconta  di sè, io racconto di me. Sprofondiamo in un silenzio imbarazzante: devo trovare il modo di uscirne. Entro a gamba tesa sulla quiete con una proposta indecente. «Guardiamo un po’ di anime?», insinuo.  «Sicuro», risponde.  Accendiamo il suo portatile, pieno di adesivi, e ci buttiamo sul divano. Guardiamo. Ok, è decisivo. Il mio interesse non è di certo diretto verso lo schermo impolverato del pc: quant’è fico. Voi non potete rendervene conto, ma la luce pomeridiana che entra dalla finestra incornicia il suo faccino adolescenziale. Sembra sceso dal paradiso, ricoperto di brillantini e meraviglia, è un lipgloss che si fa proiettile e va dritto al cuore…e come in un universo spleen al contrario, mi sento moltitudine gioiosa, l’interesse che provo mi si può leggere in faccia; mi porge un sorriso e la sua mano sulla mia. È fatta. Sposta le sue chiappe un po’ più vicino alle mie e piano piano si appiccica del tutto; sono statuario, immobile, congelato come il più freddo dei gelati di soia, mi mordicchia l’orecchio, passa alle labbra e mi infila la lingua in bocca. Pomiciamo appassionatamente. 


  Continued…

Posted in Affetti liberi, Corpi, Sensi.

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