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Guida pratica al NON uso del termine troia e affini. Ora in edizione per deficienti!

531910_444562725628231_1589469484_nDa Effetto Farfalla:

Trattasi dell’immagine condivisa dai soggetti della pagina facebook “La fiaccola dell’anarchia“. Notare altresì il font scelto, che procura diarrea a spruzzo

Caro lettore (eh sì, il maschile è intenzionale), probabilmente sarai uno di quelli che le compagne son sempre troppo separatiste e che vanno bene solo finchè ti danno ragione, puliscono e lavano i piatti. La casistica suggerisce anche che tu sia  quello che si mette sulla difensiva in qualunque contesto nel quale accada di dibattere di sessismo nei movimenti, quando non vai a defilarti come i bimbi  colti con le mani nella marmellata (che, a proposito, sono assai arrabbiati con me per averli appena paragonati al primo stronzo misogino che capita). Senza contare le battutine sui  culi delle persone e affini che potresti risparmiarti. E poi cacchio, i commenti falli sui culi di tutti, no? questa è una culocrazia e tutti i culi debbono avere pari commenti e dignità.

Ironia a parte, ti chiedo un piccolo grande sforzo, e cioè di riflettere su quanto sia poco anarchico innanzitutto trovarsi su un social network che trae profitti dalla tua condivisione ad minchiam di gattini, cazzate e immagini con scritte idiote e oppressive. In tal senso, l’analisi che offrono quell* di Ippolita.net potrebbe servirti a molto, ma veniamo ai fatti.

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Polonia: fermate per 24 ore attiviste che deturnavano messaggi sessisti

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Retroguard1a ci segnala questo fatto:

A proposito di subvertising, a Varsavia il 10 Marzo sono state fermate per una notte le attiviste che stavano praticando un deturnamento sui cartelloni pubblicitari giudicati sessisti. Un po’ di pittura su dei manifesti è così costata loro 24 ore di libertà, solo perché i proprietari dei cartelloni non rispondevano al telefono (!!!), o almeno così si sono giustificate le guardie.

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Università della Calabria, dove gli Studi di Genere sono considerati superflui

Laura Corradi me la sono vista spuntare al Feminist Blog Camp di Livorno con la sua splendida chioma brizzolata e la sua dimensione internazionale ed è davvero raro che le accademiche frequentino questi ambiti. Studiosa e attivista, ricercatrice e docente all’Università della Calabria, curatrice, tra le altre cose, anche del libro “Lo specchio delle sue brame” (2012), che analizza in termini socio-politici la pubblicità (secondo il genere, la classe, la razza, l’età e l’eterosessismo manifestato) e che nella nota a pagina 38 scrive:

“Il processo di arginamento della carica extra-istituzionale del femminismo si è intensificato in particolare dopo la conferenza delle Nazioni Unite sulle donne tenutasi a Pechino nel 1995, dove veniva di fatto sancita la supremazia del mainstreaming contro le tendenze più grassroots e militanti, in un processo di ulteriore istituzionalizzazione del movimento che ha depotenziato in termini di autonomia, creato dipendenze economiche sul piano della ricerca e rafforzato un establishment di api regine e piccole opportuniste – la letteratura in lingua inglese qui ci viene in aiuto con il termine femmocrats. Così vecchie trombone ed entusiaste damigelle hanno agito come filtri e gatekeeper nelle amministrazioni, nel sindacato e nelle università, spesso replicando elementi di sessismo interiorizzato, razzismo soft, omofobia latente, classismo accademico, pratiche esclusionarie verso i soggetti più critici o radical. Nei centri deputati allo studio ed alla implementazione di politiche per le donne, una serie di misure – quote rosa, azioni positive, pari opportunità – si sono dimostrate fortemente inefficaci a ridurre le disparità di genere, sia economiche che sociali, nel corso del quindicennio. E’ la storia di un fallimento. L’attività istituzionale infatti ha un senso se è collegata al movimento sociale da cui le istanze provengono. Se si tratta di misure istituzionali calate dall’alto esse tendono a spegnere l’attivismo e a rimpiazzarlo.

Nel libro infatti, con l’aiuto di studentesse e altre compagne femministe, lei si riappropria dell’analisi sulle pubblicità e la restituisce parlando di disuguaglianze. Tutte le disuguaglianze. La sua visione, d’altronde, è appunto internazionale, i gender studies per lei non sono una azione acritica delle pratiche femministe in cui si fa ortodossia e insegnamento del dogma. E’ sperimentazione, è apertura a nuove filosofie che non trovano in effetti granché spazio tra le stesse femministe istituzionalizzate e oramai fagocitate dai meccanismi della comunicazione populista, e figuriamoci se ne trovano nella società e in una dimensione universitaria come la nostra.

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