La fresca nomina di Isabella Rauti a consigliere del Viminale per le politiche di contrasto della violenza di genere e del femminicidio ci suggerisce qualche riflessione su quella grande kermesse mediatica che è stato il One Billion Rising. Isabella Rauti, infatti, in qualità di socia fondatrice e presidente dell’associazione HOW è stata tra le organizzatrici del flash mob svoltosi a Roma il 14 febbraio. Già allora, si erano alzate voci critiche [1] [2] [3] [4] [5] circa l’evento che inaugurava la stagione del “tutte unite contro la violenza”, un ritornello che ormai ha intasato l’etere, assolvendo alla funzione di arma di distrazione di massa a fronte di una crisi economica che cancella diritti e risospinge le donne, almeno quelle dei ceti medio-bassi, verso i tradizionali ruoli di cura e di ammortizzatori sociali.
Dunque, si diceva, la retorica del “tutte unite contro la violenza” non aveva convinto proprio tutte, sicuramente non chi scrive, memore del fatto che Isabella Rauti nel 2010 è stata la seconda firmataria della proposta di Legge Tarzia. La Tarzia, infatti, poneva come obiettivo la ridefinizione del “ruolo dei consultori non più strutture prioritariamente deputate a fornire in modo asettico una serie di servizi sanitari o pari-familiari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a promuovere la famiglia e i valori etici di cui essa è portatrice”, riconoscendo socialmente solo la famiglia e in particolare quella fondata sul matrimonio, “valorizzata e tutelata nelle sue caratteristiche di unità e fecondità” (articolo 1).
Ma la vera novità della proposta della Tarzia, già promotrice di Movimento per la vita e Family day, era l’apertura ad associazioni e gruppi pro-family e di volontariato che sarebbero dovuti entrare nel meccanismo di gestione e controllo dei consultori pubblici.