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Le “donne/vittime” servono al capitalismo (di braccialetti e amuleti vari)

Da Abbatto i Muri:

Niente paura, non sei più sola, c’è il capitalismo umanizzato che ti vende – alla modica cifra di 25 euri al pezzo – un braccialetto salvavita. Lo indossi e sei bellerrima e felice. Sorridente, in estasi, manco t’avessero venduto una droga di quelle buone. Del lancio di questo nuovo prodotto “contro la violenza sulle donne” parla Enrica che ne svela legacci e retroscena. Alla faccenda pare sia legata quest’altra impresa con foto che tentano, non riuscendoci, di imitare i volti in fase di orgasmo dell’ultimo film di Lars Von Trier (erano meglio gli orgasmi). Retorica di destra, fedele all’ideologia vittimaria, che relega le donne alla posa di soggetti deboli che pur di stare al sicuro dovranno armarsi di pozioni e amuleti magici. Se mai la stessa impresa volesse “venderci” una spillina per salvarci dalla disoccupazione sarebbe il massimo: perché il “capitalismo dal volto umano” sfrutta l’ideologia vittimaria che è di per se’ una fabbrica di stereotipi e dispositivi di potere. Ti governo in nome del tuo essere vittima, io vendo in nome del tuo essere vittima, vendo gadgets, mi faccio prestare il volto di testimonial perché “donna” e “violenza sulle donne” sono un brand che vende perfettamente e il capitalismo investe su questi temi e non da ora.

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Posted in AntiAutoritarismi, Autodeterminazione, Comunicazione, Corpi/Poteri, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.


Premio Savonarola a Il Ricciocorno e Massimo Lizzi

Abbiamo di recente appreso del profuso impegno dei suddetti nel tentativo di far luce su verità scomode e gravissime. Amano raccogliere prove, indagare e inchiodare al muro chiunque non agisca a fin di bene quando si parla di violenza sulle donne essendo loro unici depositari della verità più vera che mai si possa immaginare. I prodi godono dell’aiuto di una squadra di fantastiche screenshottatrici e inoltre il Lizzi quando c’è da compiere interrogatori via blog lascia la parola alla entità virtual/femminea astratta di nome TK Brambilla.

A queste personalità degne, per il ruolo inquisitorio, per la delicatezza e la riservatezza, per il rispetto della privacy, per l’attitudine a realizzare gogne per il bene della comunità virtuale e per le sentenze chiare che enunciano in modo netto e senza tenere conto della presunzione di innocenza, va il nostro grazie pieno e il nostro premio occasionalmente istituito apposta per loro.

Ricciocorno e Lizzi stanno al momento conducendo una inchiesta delicatissima fottendosene dei risvolti, delle conseguenze e delle implicazioni (bravi, così si fa!). Hanno tirato in ballo Maschile Plurale, messo spalle al muro l’unico che tra loro sta tentando di dare una risposta e riportano accuse, vaghe illazioni, che parlano di uno del gruppo che avrebbe commesso violenza nei confronti di una donna che a quanto pare per questo si sarebbe rivolta ad un centro antiviolenza.

Il premio spetta a loro per aver ritenuto che una simile situazione debba essere trattata su blog e facebook a beneficio dei sensibili lettori e di tifoserie diffuse che aspettano da sempre con la forca in mano che qualcuno gli mostri un po’ di sangue.

Per non avere mai messo in dubbio che – in barba al garantismo – tra accusa e condanna c’è un’infinità di spazio. Per aver ritenuto di prestare fede a voci e affermazioni non pubbliche e non ufficiali. Per non aver preteso, come minimo, che la ragazza in questione spiegasse al mondo, dato che il mondo si vorrebbe fosse coinvolto e informato, perché non è andata alla polizia a denunciare il fatto invece di diffondere, come i suddetti affermano, una notizia che rappresenterebbe per adesso soltanto la sua semplice versione dei fatti. Per non aver tenuto in considerazione che un centro antiviolenza non accoglie soltanto persone effettivamente abusate ma anche quelle che hanno bisogno di essere assistite, in termini terapeutici, per uscire fuori da un momento di conflittuale separazione. Per non aver tenuto conto del fatto che il centro antiviolenza non potrebbe, anche volendo, ledere la privacy di nessuno e che perciò non potrebbe ristabilire alcuna verità solo per dare soddisfazione a due blogger prontissimi ad emettere sentenza di condanna. Continued…

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Costanza Miriano, la sottomissione, l’obbedienza e l’autodeterminazione

Da Abbatto i Muri:

Leggo su D di Repubblica una intervista a Costanza Miriano che parla del suo nuovo libro. Dopo “sposati e sii sottomessa“, “Sposati e muori per lei“, ecco che arriva “Obbedire è meglio“. Ho già scritto in passato che trovo sbagliato il fatto che qualcuno possa chiedere, come è stato fatto in Spagna, la censura dei suoi libri. Lei scrive, pubblica, io mi prendo il diritto di criticare. Parlo di questa intervista e non dei libri che non ho letto e non ho intenzione di leggere.

Partiamo dai titoli dei libri. Utili a vendere, certamente, contando anche sull’azione respingente che determinano, quasi che fosse trasgressivo e innovativo dire cose che vengono dette da secoli. Sottomettere deriva dal latino sub-mittere, mettere sotto, ridurre in suo potere. Il sottomesso o la sottomessa è colui/colei che sta sotto, cioè subordinato al potere di qualcun altro. I titoli dei primi libri della Miriano, anche se così potrebbe sembrare, comunque non si equivalgono. La sottomissione di cui parla, per quanto lei la rivendichi come scelta, non fa parte di un gioco di ruolo in una dinamica, più che legittima, di rapporto bdsm. Diversamente si userebbe il personal/politico, si rivendicherebbe il proprio desiderio a vivere quella esperienza secondo quei parametri senza farne derivare una imposizione normativa per le altre e senza lasciare immaginare che quel ruolo ci appartiene per “natura”. Perciò la sottomissione qui è raccontata come modalità passiva, come si trattasse, semplicemente, di una maniera per seguire le proprie “naturali” inclinazioni. “Muori per lei” invece è frase volta al recupero del ruolo epico, virile, dell’uomo dominatore, che comanda, dirige e conduce e sceglie di compiere grandi gesta per salvarla, tutelarla, proteggerla, difenderla. E’ il ruolo “attivo” del tutore/patriarca che tiene al sicuro le donne di casa, mogli, figlie, un po’ com’era un tempo. Legittimo, anche questo, nel senso che la dominazione è una scelta, purché sia consensuale e reciprocamente riconosciuta in senso attivo da entrambi i “soggetti” che la vogliono percorrere. Se diventa un obbligo sociale, con tanto di categorie normative che strutturano i “generi” tutto ciò si traduce, ovviamente, in oppressione.

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