Da Abbatto i Muri:
Nancy Fraser scrive un pezzo sul The Guardian in cui sostanzialmente (traduzione non letterale e in qualche caso è una sintesi) dice:
Il femminismo è diventato l’ancella del capitalismo, bisogna riprendercelo. Un movimento iniziato come critica allo sfruttamento capitalista ha finito per contribuire alla sua ultima fase neoliberista.
Bisogna, ad esempio, separare le rivendicazioni che attengono al lavoro di cura da quelle che ci piegano alla logica della flessibilità nel mercato del lavoro capitalista.
Non so se sono d’accordo con tutto o se le soluzioni mi sembrano centrate. Secondo me c’è anche molto di più da dire ma questo mi sembra un discreto spunto per ragionare, dedicando ovviamente questo ragionamento anche alle politiche neoliberiste in Italia. Se c’è un momento in cui in Italia – forse – più donne, più di quelle che nel tempo avevano (me compresa) già intuito queste cose, si rendono conto che è così è proprio adesso. Il decreto #femminicidio usa la questione della violenza sulle donne per mettere in sicurezza cantieri (Tav) che favoriscono lo sviluppo del lavoro di impresa e non quello delle popolazioni locali. Il welfare è tutto ragionato su politiche di conciliazione, per dare una mano a noi donne che, povere, amiamo tanto la “cura” al punto tale che ci starebbe anche bene un qualunque lavoro flessibile che ci consenta di tornare alla famiglia. E di associazioni, orientamenti, che indirizzano le donne disoccupate e precarie al microcredito per sviluppare attività di “libera” e indebitata impresa ce ne sono tante. Chiediamoci il perché. Chiediamoci il perché vi siano in Italia organizzazioni di donne che spostino continuamente il dibattito su temi “unificanti” che tendano a rimuovere il conflitto di classe. Quei temi, ovviamente, non passano mai per i diritti di lavoratori e lavoratrici, dove lo sfruttamento è decisamente il primo elemento di sottrazione di diritti, autonomia, possibilità di autodeterminazione, per chiunque.