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Femminicidio: il suono di sottofondo della nostra vita

Dalle Dumbles:

Sì, è come un suono continuo, un acufene che non ci abbandona; puoi fare tante cose, scrivere, pensare, rilassarti, divertirti… che continuamente c’è questo suono, costante, scandito, quasi regolare, di una prevedibilità lancinante. Donne uccise.

E non diremo mai abbastanza quanto sia prezioso il nostro bollettino di guerra che le sottrae alla nuda cronaca passeggera per restituire a noi, per quanto possibile, una storia, una vita, un nome.
E non diremo mai abbastanza quanto invece sia grottesco un dispositivo giuridico puramente punitivo e criminalmente sovradeterminante nei confronti delle donne.

I femminicidi continuano, maturati dentro la loro cultura che implode ed esplode ogni volta che una donna cerca e vuole più libertà per sé, ogni volta che tenta di scegliere, autodeterminarsi; ogni volta che mancano, alle donne come agli uomini,  gli attrezzi per affrontare i problemi; attrezzi che non fornisce quel disegno di legge, né questa miscela cannibale che fagocita il “fenomeno” femminicidio, lo impasta con i peggiori valori familisti, te lo ripresenta come sensibilità che dovrebbe indurti a scegliere il prodotto nel quale viene reincarnato.

Oscene operazioni di brandizzazione; se ne sono fatte diverse; quella della sfilata di abiti da sposa con modelle  dal volto ricoperto di lividi e sangue, forse è l’ultima e forse no.
E non diremo mai abbastanza di quanto schifo ci facciano queste trovate di “sensibilizzazione” che in realtà rendono perversamente normale, accettabile, perfino fashion corpi di donna tumefatti e morti… e sul senso ironico del “finchè morte non ci separi”, un bel secchio di merda situazionista.

La politica lo ha usato per coprire operazioni repressive, la moda per vendere i suoi prodotti, le comari piddine e affini per promuovere se stesse, tutti rumori molesti che si aggiungono a quell’orribile suono di sottofondo, così sempre più lontano dall’essere eliminato.

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Dell’uso dei bloccanti della pubertà sugli adolescenti con varianza di genere: il dibattito dopo i fatti di Firenze

da Intersexioni:

di Egon Botteghi

Il 22 Ottobre 2013 si è svolto, presso l’auditorium della regione Toscana, il corso “Rete Toscana per l’accoglienza e l’assistenza alla disforia di genere”, inserito nel programma aziendale di formazione 2013  a seguito del quale è uscito l’articolo del Corriere Fiorentino “Pre cambio di sesso. Un caso che divide”

A questo pezzo hanno fatto eco altri di varie testate giornalistiche che hanno dato avvio ad un dibattito sull’opportunità o meno di introdurre in Italia l’uso di “bloccanti della pubertà” su minori con varianze di identità di genere, come già avviene in altri paesi europei come Inghilterra ed Olanda (ad esempio questo sul Fatto Quotidiano).

Controradio di Firenze ha intervistato sull’argomento la Dottoressa Alba Tonarti, neuropsichiatra infantile, che si occupa da molti anni di giovani con queste specificità a Roma (qui l’audio e la sbobinatura dell’intervista).

Essendo stato invitato al convegno internazionale dell’Osservatorio Nazionale Identità di Genere (ONIG), svoltosi venerdì e sabato scorsi a Napoli (25-26 Ottobre 2013) a cui il centro CIADIG dell’ospedale Careggi afferisce, ho approfittato della presenza di alcuni dei protagonisti della vicenda per avere dei chiarimenti.

Il primo giorno ho domandato, a latere del convegno, a due degli psicologi dello staff di uno dei centri toscani che si occupano di disforia di genere, come fossero andate veramente le cose.

Mi è stato risposto che c’è stato un travisamento da parte degli organi di stampa della discussione avvenuta all’interno del corso.
Il documento di richiesta pervenuto all’assessore della sanità regionale riguarderebbe infatti solo la creazione di una lista unica per le operazioni di riassegnazione del sesso per gli adulti facenti richiesta ed una omologazione delle pratiche in tutti i centri toscani che si occupano di DIG (disforia di genere).
Continued…

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Di quelle donne che reclamano un patriarcato “buono”

ansa171332040411135144_bigDa Abbatto i Muri:

Ci sono donne che fanno la manutenzione del patriarcato. Immaginano di fare un favore alle donne quando sollecitano un maggiore investimento emotivo responsabilizzando gli uomini al tema della violenza di genere.  Salvo indurli a riassumere ruoli paternalisti e patriarcali che sarebbe ottimo non interpretassero proprio più.

Quello che fa una donna che la pensa così è raccontare che l’uomo è cattivo, quasi non è un vero uomo e che per essere tale bisogna che faccia come dice Lei. Dunque tu, uomo, sarai un vero uomo se fai quello che dice Lei.

Sembra una barzelletta ma la sostanza è fondamentalmente colonialista. Si infonde la giustezza femminile nel maschile incivile e barbaro senza fare alcuna distinzione. Riconoscendo per gli uomini una oppressione, anche da loro subita, di una cultura sessista e bieca, soltanto quando essi assumono la prospettiva e il punto di vista di quella donna che suppone di rappresentare una superiorità morale in quando donna, in quanto vittima, in quanto boh.

Nulla a che vedere con il giusto scambio tra persone in cui si identificano cause di mali che insieme bisogna risolvere. Qui il punto è uno e uno soltanto:

L’uomo è il carnefice. E’ il sessista per antonomasia. E’ da “curare”. E’ colui il quale al minimo comunque gode di chissà quali privilegi. Le donne rappresenterebbero oggi l’universale. Quel che dicono o fanno sarebbe tutto giusto. Dunque esse stesse sono elette all’arduo compito di psichiatrizzare socialmente (e in forma coatta) tutto un genere e ogni astio generalizzato, livore, rappresaglia, opposizione, intimidazione morale sarebbero più che giustificati. Anche se arrivano da donne che non è certo detto, anzi che no, che siano portatrici di un verbo universalmente riconosciuto al femminile.

Continued…

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